lunedì 6 dicembre 2010

Approfondiamo la Parola domenicale: II Domenica di Avvento 2010

Le lectio del prete Carmine Miccoli

“Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (cf. Matteo 3,2)

Note di esegesi per la comprensione del testo


Il brano evangelico di oggi ci presenta uno spaccato della predicazione dei profeti

al tempo in cui Gesù già viveva, attorno alla fgura di Giovanni il Battezzatore.

Questi è una fgura centrale di tutto il NT: vi è nominato oltre 100 volte, in tutti

e quattro i vangeli. I Sinottici (Mt, Mc e Lc) lo descrivono come il precursore di

Cristo con caratteristiche comuni: vi è concordia sul nome, sul fatto che opera

nel deserto di Giuda, i temi della sua predicazione sono la conversione fondata

sulla confessione dei peccati, il lavacro nell’acqua del Giordano e infne la citazione,

di stampo messianico, di Isaia (40,3). L’evangelista Mt a queste caratteristiche,

comuni con gli altri due evangelisti, aggiunge il tema della vicinanza del regno (v.

2), la zona geografca, lo stile di vita del profeta (v. 4)1. Giovanni riprende la predicazione

profetica sotto la prospettiva della preparazione e dell’impegno a predisporre

la strada in cui Dio dovrà passare. Gesù riprenderà da Giovanni la sua

predicazione iniziale con l’invito alla conversione come atteggiamento permanente

del credente (Mc 1,15; Lc 13,3-5). Dopo la risurrezione lo stesso invito verrà

fatto dagli apostoli e da Paolo (Lc 24,47; At 2,28; 26,20). La conversione, ovvero il

capovolgimento della mentalità e della vita, diventa un cammino vocazionale dove

ciascuno di noi, insieme come Chiesa, vive la propria missione profetica per affrontare

la vita in maniera qualitativamente più densa, più impegnata e vera.

In questa prospettiva, Dio non poteva prendere una strada diversa da quella che

intrapreso Gesù: farsi ultimo, farsi povero, mettersi in fla con i peccatori perché

solo partendo dalla vita negata poteva giungere a proclamare la pienezza della

vita. Non esiste una vita facile, nemmeno per Dio, perché anche lui deve sperimentare

cosa signifchi crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti

agli uomini» (cf. Lc 2,52). Le prove della vita possono essere un motivo di morte

oppure un appuntamento con lo Spirito Santo che mai ci farà mancare i suoi doni

perché possiamo essere resistenti ad ogni avversità come solo un germoglio sa e

può esserlo.

Possiamo realizzare tutto questo confrontandoci con la fgura di Giovanni il Battista

e la sua austera personalità, fgura centrale nella nuova alleanza, di sicura rilevanza

storica, perché è presente in tutti i vangeli di cui in qualche modo costitui sce il prologo.
Nei Sinottici precede Gesù come precursore, come annunciatore,

come amico; in Gv invece segue l’eternità del Lògos che indica come «agnello di

Dio» (Gv 1,36), davanti al quale assume solo la forma di una «voce», cioè poco

più di un cartello stradale per segnare la direzione (cf. Gv 1,37-38).

I vangeli sinottici, oltre alle caratteristiche comuni che abbiamo già citato2, sulla

scorta di Isaia presentano la predicazione del Battista come una evocazione dell’esodo

nuovo (cf. Is 43,16-19) che raccoglierà i fgli dispersi d’Israele nell’esilio attorno

alla fgura e alla parola del Messia che così viene presentato come un nuovo

Mosè, un condottiero che guiderà il “resto” d’Israele fno al Regno di Dio. Modifcando

la citazione di Isaia che aveva invitato a preparare una via «nel deserto»,

gli stessi Sinottici fanno di Giovanni «una voce che grida nel deserto», attribuendogli

così la missione dell’amico dello sposo che chiama la sposa (Gv 3,29) e la

funzione profetica di Osea che porta la fdanzata nel deserto per legarla a Dio

con legami d’amore (Os 2,16; Ger 2,2). Questi pochi accenni aprono invece una

prospettiva grande: il NT nello stesso annuncio dell’arrivo di Gesù unisce i due

grandi temi che fanno da perno all’AT, il tema dell’esodo e quello della nuzialità

della nuova alleanza che qui sono simboleggiati dalla presenza delle acque del fume

Giordano, che come un nuovo Mar Rosso immerge gli uomini e le donne del

nuovo Regno nelle acque della vita per rigenerarli ad una pienezza fondata sull’amore.

I quattro vangeli si inseriscono nella prospettiva dell’universalità profetica

che fa superare il particolarismo esclusivo di Israele: Dio non viene più per un

popolo solo, come è stato sul monte Sinai, dove ha dato la Toràh e con essa la coscienza

di popolo ad una massa di schiavi. Il Dio di Gesù Cristo, preannunciato da

Isaia e proclamato prossimo e presente da Giovanni Battista, viene per chiunque

si pente e si converte. Si potrebbe dire, parafrasando le parole dei profeti, che

Dio si converte a coloro che si convertono a lui (Dt 30,1-5; Ger 3,22-4,1; Ml 3,7)

fno al punto di pentirsi del male che avrebbe potuto fare (Ger 18,7-8). Qui è delineata

con chiarezza la teologia del «resto d’Israele» come è annunciato nell’oracolo

del «sentiero di Isaia» che abbiamo già ascoltato (Is 2,1-5).

L’annuncio-invito della conversione percorre tutto il NT dall’inizio della vita pubblica

di Gesù a dopo la risurrezione, dagli Atti degli Apostoli a Paolo perché costituisce

la chiave di volta dell’incontro tra Dio e ciascuno di noi3. La tradizione giudaica

ha letto la storia dell’umanità da Adam ed Eva fno ad Abramo come un

progressivo allontanamento da Dio che diventa inevitabilmente come una divaricazione

dell’uomo dall’uomo. Al contrario, la storia della salvezza da Abramo fno

a Mosè è letta come un processo di lento avvicinamento che proseguirà con la

predicazione profetica, interrotta con l’esilio e ripresa con il nuovo esodo descritto dal 2° Isaia.
Gesù inaugurando gli ultimi tempi, guida l’umanità allo stato

originario dell’Eden che si compirà alla fne della storia: questo appuntamento è

preceduto da un tempo di «conversione». Nel vangelo, «conversione» traduce il

termine greco metànoia, che indica letteralmente un capovolgimento del pensiero.

Troppo spesso pensiamo che convertirsi riguardi il solo comportamento o

atteggiamento esteriore, ma non è così; la conversione riguarda il pensiero, cioè

le ragioni che fondano la vita e i criteri che usiamo per organizzarla; le modalità e

gli stili di vita sono una conseguenza di questo superamento di sé interiore. La

conversione pertanto non è il riconoscimento, magari intellettualistico, di un Dio

onnipotente, ma la scoperta di un Dio che ha dimenticato se stesso per

permetterci di stare al suo fanco. Spesso identifchiamo la conversione con il

rimorso o con il senso di colpa, come se Dio dovesse stare lì a chiedere il conto

senza sconti e misericordia. La conversione è un impegno totale sulla proposta di

vita fatta da Dio in Gesù che diventa il nostro fondamento e la nostra misura. La

prospettiva del Regno di Dio ci obbliga a guardare in avanti, non a ripiegarci sul

passato: il passato possiamo solo accettarlo e, in un contesto di conversione,

offrirlo a Dio come un dono che ci appartiene.

Chi si converte ripone in Dio la fducia della propria salvezza (Ger 17,5-11; 31,16-

22; Is 2,6-22) e si fda di Dio, per cui il convertito è colui che fa l’affdamento della

sua vita ed è certo di non essere né frainteso, né deluso. Il segno di questo abbandono

avviene nel simbolismo dell’acqua che materialmente accoglie, circonda

e avvolge. Al tempo di Gesù erano diffuse molte forme purifcatrici d’acqua, come

le abluzioni di purità, il battesimo come lavacro che si svolgeva a Qumran, ecc.

Tutto queste forme di lavacro avevano la caratteristica di essere date da se stessi

per se stessi e ripetute tutte le volte che ve ne era bisogno. Con il battesimo di

penitenza di Giovanni inizia una nuova prospettiva: il battesimo è dato da un battezzatore,

cioè è un invito, un segno e un dono che si ricevono dalle mani di un

altro; lo si riceve così una sola volta, perché così diventa un impegno per tutta la

vita. Qui nasce l’etica come conseguenza di una scelta di vita e non come sua

premessa, come segnale che ci rivela la nostra consistenza e la nostra dimensione

interiore.

A differenza della religiosità del suo tempo, Giovanni invita ad entrare in un Regno

qualitativamente diverso, frutto di una doppia convergenza: Dio ci appartiene

per dono e noi gli apparteniamo per misericordia e per abbandono. In questo

rapporto siamo radunati con i nostri limiti e i nostri pregi; in essa confrontiamo

tutto ciò con la Parola di Dio, da cui sperimentiamo la comunione di vita che impongono

una conversione del cuore che ci rende liberi e veri. Qui insieme sperimentiamo

la conversione come abbondanza di amore che si mette a servizio: la

conversione come diaconìa, perché sperimentiamo la fragilità di Dio che pur di

conquistarci alla sua intimità non esita ad annientarsi fno a farsi servo (cf. Fil 2,6-

11).

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1 Lo stile di vita del Battista, il suo vestito di pelli e il suo nutrimento sono un richiamo e
una sintesi di tutte le fgure profetiche dell'AT, specialmente di Elia, come viene anche affermato
nella tradizione giudaico-cristiana delle origini (cf. Mc 9,11; Mt 11,14).
2 Gli evangelisti modifcano l’ambientazione geografca della citazione di Is 40,3 in questo
modo: (Is. 40,3) «Una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore, appianate nella
steppa i suoi sentieri»; (Mt 3,3 e par.) «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri».

3 Mc 1,15; Lc 13,3-5; 24,47; At 2,28; 26,20.

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