sabato 24 ottobre 2009

Approfondiamo la Parola: le lectio del prete Carmine Miccoli

Marco 10, 32-45


Il brano del vangelo che abbiamo ascoltato parte dal 3° annuncio della passione
che, come i due precedenti, provoca reazioni scomposte da parte degli apostoli,
che vogliono invece allontanare e rifutare il momento della prova; addirittura,
due di loro pensano di cambiare la situazione a loro favore, cercando di “fare carriera”.
Gesù usa due immagini per descrivere la sua passione: il calice e il battesimo2
con le quali l’evangelista dimostra che Gesù aveva piena coscienza di quello a
cui stava andando incontro. Le due immagini sono connesse strettamente, perché
nell’AT esse sono il simbolo dell’ira di Dio, cioè del giudizio sui peccatori.

Al v. 38 Gesù fa una domanda ai suoi: essa esige grammaticalmente una risposta
negativa, mentre gli apostoli ne danno una affermativa, perché sono ubriachi della
sensazione di potere che immaginano e non si rendono conto che essi non potranno
mai imitare il loro maestro e nemmeno somigliargli. Essi, infatti, al primo
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1 Mc 10,33-34, purtroppo omesso dalla liturgia della Parola festiva; gli altri due brani, giù
incontrati in passato, sono Mc 8,31 e Mc 9,31.


2 Del calice parla espressamente il profeta Isaia (51,17) e il profeta Geremia (25,15). Il calice
deve essere bevuto fno alla feccia (Ger 25,28; Ez 23,31-34) perché non è facoltativo,
ma è la strada obbligata attraverso cui deve procedere il Messia, nella cui esperienza il calice
acquista anche un valore scarifcale (Nm 4,14; 7,23; 19,25; Zc 9,15). L’aspetto sacrifcale
è espresso, ad esempio, dal quarto canto del «Servo di YHWH» e che descrive la componente
espiatoria della vita del Messia (cf. Is 53,10). Gesù, nell’ultima Cena, ribalta questa
condizione (Mc 14,23-24); prendendo su di sé il giudizio dell’ira di Dio fno alla conseguenza
estrema della morte, egli trasforma l’ira in alleanza. L’altra immagine, quella del
battesimo, è sulla stessa linea e ha lo stesso signifcato di giudizio senza appello (cf. Lc
12,49-50), ma sotto l’aspetto più propriamente cosmico: l’acqua, il vento e il fuoco sono
elementi della natura che sovrastano il cosmo e simboleggiano il giudizio di Dio sul creato,
solidale al destino di morte del genere umano (Rm 8,20-23). Gesù si sostituisce al
mondo materiale prendendo su di sé la distruzione che questi elementi portano (cf. Sal
42[41],8). Egli si immerge nella maledizione dell’ira di Dio manifestata dall’acqua per fare
emergere la vita rinnovata di un mondo nuovo (cf. Is 43,18) e di una nuova umanità (cf. Ef
4,22-24).

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momento della prova si dilegueranno abbandonandolo (cf. Mc 14,50) e Pietro, che
avrebbe dovuto essere la «roccia» della stabilità, non solo lo rinnegherà tre volte
(cf. Gv 18,18.25-27), ma dichiarerà di non conoscerlo (Mc 14,71; Mt 26,72.74).
Gli apostoli saranno associati lo stesso al martirio e alla sofferenza del Maestro fno
alla fne del mondo, perché quando diventeranno annunciatori del vangelo,
compiranno nella loro carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, cioè la
sofferenza del mondo (cf. Col 1,24). In questo modo troviamo qui una dimensione
di senso per la sofferenza che il cristiano incontra nella sua vita: essa non è voluta
da Dio, ma è una realtà che appartiene all’esistenza; ogni volta che la vita ci
presenta un calice da bere, noi non ci possiamo rifutare di assaporarlo fno in
fondo. Abbiamo due possibilità: o lo rendiamo inutile, ripiegandoci sul lamento di
come siamo «disgraziati», oppure possiamo assumerlo, vivendolo in Dio nella
partecipazione che Cristo esprime in ogni esperienza umana. Ogni sofferenza
vissuta nella Trinità è un atto di condivisione con quell’umanità schiacciata e senza
forze che aspetta da noi il nostro sostegno per stare in piedi. Spesso noi
vanifchiamo la parte migliore della nostra vita buttandola nella spazzatura del
superfuo, mentre Dio può trasformare la nostra impotenza e la nostra inutilità in
benedizione e calice di vita. Stare ai piedi della croce signifca imparare a scrutare
l’orizzonte della vita dando valore a ciò che realmente conta. Accanto a questa
sofferenza che potremmo chiamare «naturale» vi è l’altra sofferenza, più intima e
grave, che nasce dal rifuto, dall’emarginazione, dal giudizio degli altri, dal
fallimento, dal tradimento, che tocca la dignità e l’onorabilità. Quando a motivo
delle idee, si è messi in condizione di marginalità, è allora che la croce diventa un
faro che illumina e una ragione di vita.

L’episodio dei due fratelli in carriera si comprende meglio alla luce di questo contesto
generale ed è ancora più chiaro nella redazione di Matteo (Mt 20,20-28),
dove Gesù ha appena detto che essi giudicheranno le tribù d’Israele (Mt 19,28)
come ministri di Dio giudice (Mt 25,31). Già il profeta Daniele aveva previsto che
Dio avrebbe delegato il potere di giudicare i pagani al Figlio dell’uomo (Dn 7,9-
10); in questo atto fnale, il Figlio dell’uomo sarebbe stato attorniato da un tribunale
di magistrati assisi sui troni del giudizio, descritti dall’autore dell’Apocalisse
(cf. 4,4.10 et passim). Gli apostoli pensano di essere loro questi assessori giudicanti
e la conferma si trova nella domanda dei fgli di Zebedèo a Gesù (in Mt invece
è la madre dei due apostoli a rivolgersi a Gesù, cf. 20,20-21).

Il v. 45 del vangelo è uno dei versetti più importanti di tutto il NT, perché contiene
due idee fondamentali nella nuova economia che devono essere caratteristiche
della Chiesa: il servizio e il riscatto. Il servizio è l’atteggiamento proprio di chi
crede in Dio e non si ritiene padrone di nulla, cosciente di rappresentare il Servo
che muore sulla croce, in antitesi con la mentalità mondana del potere (Mc
10,43). Non è un semplice augurio: nel testo greco, Gesù usa il verbo “essere” al
presente indicativo per indicare un’azione o uno stato permanente e duraturo, un
obbligo morale che ha il peso di un comandamento. L’idea di riscatto è più articolata
teologicamente: in ebraico, “riscatto” si dice ghe’ullàh (da cui go'el, “riscattatore,
vendicatore”3) e ha in sé l’idea di uno scambio sotto garanzia; nel NT, questa
missione redentiva è assunta direttamente da Dio, che attraverso Gesù di Nazareth
dona se stesso come pegno per la realizzazione della pienezza di vita dell’umanità.

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3 Il go’el è colui che esercita un diritto di prelazione su cose e/o persone, per es. un parente
prossimo che riscatta una vedova o un terreno. Il riscatto (ghe’ullàh) non c’entra
nulla con il concetto di «vendetta» che ha la nostra cultura, ma esprime la salvezza offerta
in vista di compito o una missione (cf. Rut 4,1-11).
4 Nella tradizione biblica, quando una persona veniva portata in giudizio davanti agli anziani
che si riunivano alla porta della città, poteva essere assolta o condannata in base alle
prove portate, che a volte potevano non essere schiaccianti. Se qualcuno dell’assemblea,
anche uno dei giudici, persona stimata per la sua dirittura morale da tutta la comunità, si
alzava e si metteva in silenzio accanto all’accusato, il tribunale in forza della presenza di
questo go’èl, che impegnava tutta la sua autorevolezza e la sua dignità a favore dell’accusato,
sospendeva il giudizio e dichiara la non procedibilità verso l'imputato. Il termine forte
di «vendicatore» si comprende nella cultura orientale: il «go’èl», con il suo gesto, «vendica
» l’innocenza, cioè distrugge l’accusa ingiusta e la mostra in tutta la sua mostruosità. Egli
è colui che riporta le cose alla loro proporzione, al loro «in principio». Gesù sulla croce
svolge questo compito di go’èl: lasciandosi inchiodare sulla croce come un malfattore, egli
si è assiso a fanco dell’umanità accusata di peccato e non si è limitato a dichiararne l’innocenza
che non c’era, ma ha chiesto che la condanna spettante all’umanità ricadesse su
di lui, donando il suo Spirito, ossia la sua stessa vita.

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Nel vangelo di Gv, questo compito è svolto dallo Spirito, defnito “Paràclito”.
L’uomo nella sua condizione non ha nulla da offrire: la morte consuma ogni
cosa e alla morte non c’è scambio umanamente possibile, come Paolo dice
espressamente (cf. Rm 5,7-8); solo Dio può presentare un riscatto (cf. Sal
49[48],9.15; Is 52,3) ed è questo il senso della missione del «Servo di YHWH» (Is
53,10). Egli dà la vita, cioè la offre volontariamente a favore non di pochi ma di
«molti» (che, in greco e in ebraico, ha il senso di «tutti/e», dell’universalità). Il
giorno in cui nella Chiesa questa prospettiva del «Servo di YHWH», Gesù, diventerà
il programma pastorale del popolo e della gerarchia, quel giorno sarà l’inizio
del riscatto di tutta l’umanità, il primo giorno della pace universale e l’anticipo degli
ultimi tempi della grazia.

Approfondiamo la Parola: le lectio del prete Carmine Miccoli

Marco 10, 46-52

Il racconto di guarigione dalla cecità è un classico riportato da tutti è quattro i
vangeli, ciascuno secondo la propria prospettiva. Il testo di Mc è più dettagliato
degli altri sinottici (Mt 20,29-34; Lc 18,35-43); da parte sua Gv vi dedica un intero
capitolo e sviluppa una teologia tutta particolare (Gv 9,1-41). Mc e Lc parlano di
un solo cieco, Gv di un cieco nato e Mt di due ciechi; anche l’invocazione del cieco
non è uniforme, ma è riportata con alcune varianti. Tutti e tre i sinottici sono univoci
sia nel titolo «Figlio di Davide» che attribuisce a Gesù una portata messianica,
che nella richiesta del perdono come condizione della guarigione; si differenziano,
invece, nell’invocazione del «Nome»: Mc usa il nome proprio «Gesù», dopo il titolo
messianico; Lc, al contrario, lo pone prima del titolo; Mt invece lo sostituisce
con il titolo pasquale «Signore». L’uniformità difforme o concordanza discordante è il
segno che queste invocazioni ben presto divennero formule liturgiche delle rispettive
comunità usate fuori da ogni contesto storico. L’invocazione riportata da
Mc è forse la formula originale.
Un’altra differenza consiste nel fatto che Mc 10,49-50 sono esclusivi di questo testo
perché conferiscono a tutto il racconto la portata di una iniziazione alla fede:
la guarigione del cieco diventa così lo schema di un rituale di catecumenato; esamineremo
questo rituale passo dopo passo secondo il metodo sapienziale per imparare
anche noi lo stile della conversione. Il cieco, infatti, è simbolo della comunità
dei discepoli che ancora non sa vedere la vera personalità di Gesù che è già
alle porte di Gerusalemme, dove incontrerà la morte. Il cieco è ciascuno/a di noi
quando rifutiamo il «collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista» (Ap 3,18),
restando così prigionieri della nostra immagine di Dio.
(v. 46ab) Giunsero a Gerico. Mentre Gesù partiva da Gèrico... Il cammino della
fede non inizia da una decisione della volontà, ma da un fatto: Dio nella persona
di Gesù deve passare per la strada dove noi ci troviamo. L’iniziativa è di Dio, a noi
il compito di accorgerci della sua presenza. La partenza di Gesù ha il sapore di un
esodo da Gerico a Gerusalemme, alla terra promessa del monte Calvario: dopo
l’esodo dall’Egitto e la traversata del deserto, Gerico è la prima città della terra
promessa conquistata da Giosuè non con le armi, ma con un atto liturgico, la processione
dell’arca che «circonda» sette volte le mura della città al suono delle
trombe (Gs 3,1-17; 6,1-27). Il cammino di fede non è un punto di arrivo, ma un
esodo nuovo: per arrivare, bisogna partire. A volte nella nostra vita di fede ecclesiale,
non solo diamo la sensazione di essere arrivati, ma anche di essere piantati
nell’immobilismo più degradante. Credere è avere scarpe da montagna per camminare
verso una mèta che il Signore indicherà e che noi già conosciamo: vivere
in comunione con Gesù di Nàzaret, il Figlio di Dio.
(v. 46c) Il fglio di Timeo, Bartimeo, che era cieco. Riportare il nome in un contesto
dove quasi tutto è anonimo, può signifcare che si tratti di un personaggio conosciuto,
oppure che il fatto riportato abbia avuto una tale eco che se ne parlava
ancora dopo tanti anni. Di questo «fglio di Timèo» sappiamo tutto: il suo nome,
quello del padre, la sua condizione di cieco. Nella Bibbia la cecità è simbolo delle
tenebre che si oppongono alla luce: il profeta Isaia, per annunciare la fne della
catastrofe del 732, lo annuncia come una guarigione collettiva dalla cecità (Is 9,1);
Gv descrive la lotta escatologica messianica come lotta tra luce e tenebre (Gv 1,5).
Essere fglio e avere un padre non è uno scudo suffciente per proteggere dalla
«cecità»; Bartimeo si trova in una condizione che defnisce e condiziona la sua
esistenza: non è una persona perché di lui ci accorge perché «era cieco» e dal
contesto si evince che dà anche fastidio. Essere cieco non signifca solo la
privazione di una facoltà, ma signifca essere tagliati fuori dall’esistenza perché
impone una dipendenza e una provvisorietà senza soluzione, fno alla morte.
Spesso si è ciechi, pur vedendoci, perché non siamo in grado di leggere i segni dei
tempi e di vedere la vita e il suo senso profondo (Gv 3,19-21).
(v. 46d) Sedeva [gr. kàthemai, “se ne stava seduto”] lungo la strada a mendicare. Il testo
greco dice letteralmente che se ne stava seduto, come se fosse inchiodato sulla
strada, mettendo in evidenza lo stato di immobilismo. La strada, che è il luogo del
movimento, diventa il luogo dell’immobilità: sedere sulla strada signifca non vivere,
essere alla mercé di tutti e ciò vale anche per la vita di fede perché credere è
andare verso qualcuno, non starsene immobili nel recinto di una religiosità che
apparentemente assicura sicurezza, mentre al contrario chiude nel proprio narcisismo.
Non credere è essere inchiodati all’immobilità della vita, camminare è stare
nel cuore della vita che è movimento e ricerca.
(v. 47a) Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire... Bartimèo non
vede Gesù perché è cieco, ma «sente» la sua presenza. Gli occhi sono solo un
mezzo, la vera vista è quella del cuore. In mezzo alla strada, nel traffco, tra la
«molta folla» (Mc 10,46) egli è capace di «vedere», oltre la sua stessa cecità: la sua
voglia di incontrarlo è tale che rende possibile anche l’impossibile. La sua capacità
di ascolto non è solo una compensazione della cecità, ma è la sua stessa sopravvivenza,
perché attraverso l’ascolto egli può partecipare alla vita della città, dalla
quale sarebbe escluso. Ascoltare per il cieco è vivere. Come fa ad ascoltare la presenza
«diversa» in mezzo alla folla vociante che lui certamente ormai «conosce»
bene? Probabilmente, percepisce la novità che passa accanto a lui: se è vero che
Gesù deve passare da quella strada è anche vero che il cieco deve ascoltare il suo
passaggio. Nulla accade per caso, ma tutto avviene perché ha un senso e noi possiamo
coglierne la novità, se siamo attenti e non siamo superfciali, se siamo «presenti
» e sappiamo riconoscere che è «Gesù Nazareno». Il cieco chiede a quelli
che passano che cosa sta succedendo e ora ha un nome: sa che passa «Gesù Nazareno
», defnito col titolo più antico, dato non solo a Gesù, ma anche ai primi
cristiani, chiamati inizialmente «nazareni»; ha sentito che è un uomo straordinario,
che sta dalla parte degli emarginati; si rivolge all’uomo, non al Cristo, non al
Figlio di Dio, ma a «Gesù Nazareno», perché ne conosce il nome e quindi è già in
comunione con lui prima ancora di incontrarlo. Credere è chiamare il «Nome».
(v. 47b) “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. L’invocazione del cieco è coerente:
egli sa per sentito dire di un uomo, di cui conosce il nome e anche il paese di
origine, un villaggio della Galilea che tutti riconoscevano come «Galilea delle
Genti» (Mt 4,15), cioè territorio di fatto pagano. Egli, però, sa anche che «Gesù»
(ebr. Y(e)oshuà) signifca che «Dio è salvezza»: è l’occasione propizia, quella che Paolo
chiama kairòs (Rm 6,10). Il cieco rompe il gracidare della folla, sovrasta il chiasso
indistinto e la sua voce, disperata e speranzosa fa risuonare sulla strada il
Nome della salvezza, Gesù, accompagnato dal titolo messianico, “Figlio di Davide”.
Bartimèo sa che il Messia deve essere discendente di Davide, e chiamandolo con
quel nome, annuncia profeticamente alla folla che l’era messianica tanto attesa da
Israele, è qui, tra «molta folla» sopraffatta dalla sua curiosità; solo un cieco, capace
però di ascolto, capisce e vede i «segni dei tempi» (Mt 16,3). Bartimèo grida la
sua supplica, prendendo su di sé l’anelito del salmista (Sal 28[27],1-2). La fede è
rischiare oltre l’esperienza, aprirsi alla novità. Il primo grido che si leva dal’uomo
cieco non è la richiesta di guarigione, ma l’invocazione del perdono: egli vuole essere
visto, vuole raggiungere lo scopo perché sa ciò che vuole: grida, a rischio di
essere accusato di bestemmiare, che quell’uomo è il Messia, e quindi supplica il
perdono. Qui troviamo tutta l’ebraicità dell’uomo e della circostanza: la cecità fsica
era considerata conseguenza del peccato perché qualsiasi malattia è un castigo
di Dio. Egli sa che la guarigione passa dal perdono, perché solo Dio salva e può
riammettere nella comunità dei redenti. Il povero non ha nulla da difendere e rischia
perché ha solo la voce per gridare la sua disperazione e il suo bisogno di
perdono: credere è farsi sentire.
(v. 48) Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte... Il cieco
raggiunge il suo scopo perché la folla capisce che quel grido non è normale e
nello stesso tempo contesta al cieco il suo diritto di aprirsi a Dio e vi si oppone.
La folla è sempre un ostacolo alla relazione e all’incontro perché vive dell’indistinto
e dell’anonimato; lo sgridano per farlo tacere. C’è sempre qualcuno che
mette il bavaglio ad un altro, in nome dell’opportunità, delle convenienze, e anche
in nome di Dio. Ciò che più colpisce in questo versetto è il fatto che la folla è la
stessa del v. 46, quella cioè che segue Gesù nel suo viaggio. Questa folla, apparentemente
«discepola», vuole impedire che il cieco «veda», facendosi ostacolo tra il
cieco e Gesù. Coloro che seguono, che credono, che frequentano, possono essere
un ostacolo attivo all’incontro di Dio con gli altri/e. Quel cieco che essi incontravano
ogni giorno davanti alla porta e che forse hanno consolato o commiserato,
ora viene emarginato ancora di più «in nome di Dio». C’è sempre qualcosa
d’importante e di urgente che impedisce di ascoltare le persone e la vita. Ma il bisogno
del cieco è più forte dell’indifferenza della folla: egli grida più forte; il cieco
non accetta di essere messo a tacere, perché sarebbe stato complice del suo
stesso male. Egli contesta la folla con l’urlo della sua vita: vuole la vista per potere
credere. Credere è vedere Gesù in tutto lo splendore della sua umanità; credere è
avere una coscienza sveglia, attenta e capace di gridare.
(v. 48) “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Se il grido è più forte, l’invocazione
è la stessa: prima bisogna attirare la sua presenza, poi gli presenterà la sua richiesta.
Colui che nella sinagoga di Cafarnao si era presentato come il compimento
della profezia del profeta dicendo che era venuto a dare la vista ai ciechi, l’udito
ai sordi, a far camminare gli storpi (cf. Lc 4,18-19; Is 61,1-2), ora è preso sulla
parola e il cieco lo obbliga a svelarsi: se sei il Messia, inizia a darmi il perdono di
Dio perché il tuo perdono è il fondamento della guarigione. Credere è essere perdonati,
credere è guarire.
(v. 49a) Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Il grido del povero ha il potere di fermare
Dio davanti al bisogno dei suoi fgli/e, come fa Bartimeo, come recita ogni
ebreo con il Salmista (Sal 4,2; 4,4; Sal 28[27],1; Sal 130[129],1-2). Gesù a questo
punto si rende conto di tutto, della necessità del cieco e dell’atteggiamento della
folla. Da grande pedagogo quale è, coinvolge la folla, che prima era stata d’impedimento,
obbligandola a condurgli il cieco, per riscattare la folla dal suo peccato di
orgoglio e trasformarla in strumento di guarigione del cieco. Credere è essere
capaci di fermare Dio sulla propria strada e di lasciarsi coinvolgere nel suo disegno
di liberazione.
(v. 49b) Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». La folla si trasforma
da ostacolo e impedimento a strumento consapevole dell’incontro; gli
stessi che sgridavano il cieco per non disturbare l'«evento», ora si fanno prossimi,
consolano, incoraggiano e aiutano direttamente («Àlzati», in greco, è lo stesso
verbo della risurrezione di Gesù, ègheire: cf. Mc 14,28; 16,6). Chi prima dispensava
la morte dell’emarginazione, ora offre la mano per la risurrezione: un capovolgimento
totale di mentalità e di mezzi. Credere è alzarsi dalla propria condizione e
lasciarsi accompagnare da chi chiama.
(v. 50) Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Il mantello è l’abito
più importante dell’individuo in Palestina, specialmente per un povero: serve
a coprirsi durante la notte e spesso è la sola proprietà dei poveri. Tanto è importante
che, al tempo di Gesù, se uno faceva un debito poteva dare in pegno il suo
mantello, ma il creditore doveva consegnarlo al debitore al tramonto del sole, per
usarlo lungo la notte; poi se lo riprendeva la mattino... e così via fno all’esaurimento
del debito (cf. Es 22,25-26; Dt 24,12-13). Bartimèo butta via anche ciò che
è necessario per la sua sussistenza di fronte a Gesù che chiama, schizza fuori dalla
sua immobilità e butta la sua sicurezza; nonostante sia cieco, si presenta davanti a
Gesù, tra due ali di folla che lo conducono. Anche quando si è schiacciati dal male
e si è immersi nell’oscurità e non riusciamo a vedere nulla, è suffciente ascoltare
la Parola per essere capaci di «risurrezione», balzare in piedi e correre. Credere è
essere liberi anche dalle necessità e avere gambe buone per correre.
(v. 51a) Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io ti faccia per te?”. La situazione è
capovolta: prima era il cieco che pregava, ora è Gesù che prega il cieco. La prova
che la nostra preghiera è autentica l’abbiamo quando sperimentiamo che è Dio
stesso a parlare con noi. Nella preghiera noi sperimentiamo la richiesta di domanda
di Dio che viene a vedere di cosa abbiamo bisogno. Credere è mettere
Dio in condizioni di pregarci per farci «quello che chiediamo».
(v. 51b) E il cieco gli rispose: “Rabbunì [= Maestro mio], che io veda di nuovo!”. Senza
mediazione alcuna, il cieco va subito al cuore della questione: vuole la vista. Egli sa
ciò che vuole e per questo non si perde in parole inutili, ma supplica con affetto:
«Rabbunì». Non dice più «Figlio di Davide»: ora davanti al cieco c’è una persona
che egli non vede, ma di cui sente la voce che diventa sua perché ascolta con tutto
se stesso. Accade un evento straordinario: l’uomo isolato sulla strada entra in
relazione con il Maestro che passava di là e non a caso. Anche chi legge si accorge
che sta accadendo un «nuovo esodo» perché cambia la vita di un uomo, per sempre.
A questa consapevolezza affettuosa Gesù risponde in modo singolare.
(v. 52a) E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Bartimèo chiede la vista e riceve
la salvezza fondata sulla fede. Apparentemente la risposta di Gesù è fuori
tema. Qui il termine «fede» signifca avere riposto la fducia in Gesù e questo genera
la salvezza. Se per il cieco la salvezza è vedere, per Gesù vedere signifca credere.
Gesù non dà altro che se stesso, facendosi sperimentare, come Giovanni dirà
in modo magistrale: credere è toccare fsicamente la Parola della vita (cf. 1Gv 1,1-
4). Senza l’umanità di Gesù noi non abbiamo accesso alla sua divinità e senza
esperienza non può esserci visione, come dimostra Bartimèo: per credere deve
vedere. Il nome «Gesù» invocato dal cieco trasforma la strada in tempio e il «Dio
che salva» entra nella storia di un uomo, svelandone il senso e la grandezza. Credere
è ricevere la totalità di Dio.
(v. 52b) E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. La vista non è la conclusione
fnale perché come abbiamo già visto, il cieco è iniziato alla fede che gli offre
il vero obiettivo: camminare con lui lungo la strada. Siamo partiti da una strada,
simbolo di immobilismo, per arrivare ad una strada strumento di movimento.
Acquistare la vista produce un movimento verso Gesù e verso nuovi orizzonti
che sono già contenuti nella strada, che da sé porta e conduce. Da ora in poi il
cammino si aprirà solo camminando insieme: è la missione. Si acquista un dono
non per sé, ma per andare e annunciarlo agli altri/e con i quali si condivide il percorso,
diventando parte viva di una comunità in cammino. Credere è camminare
con gli altri verso lo stesso obiettivo, seguendo l’unico Gesù, in perenne esodo
verso la pienezza del Regno e la sua pace.

Suffragi di Carità


Venerdì 30 - Domenica 1 novembre
al Cimitero gli operatori della Caritas
raccoglieranno offerte di suffragio.
VENERDI’ 6, alle ore 18.30
sarà celebrata la S. Messa
in chiesa parrocchiale
per tutti questi defunti.

Settimana biblica a Lanciano


Lunedì 26 – Venerdì 30, ore 19.00
tenuta dal vescovo Carlo:
chiesa Cattedrale Madonna del Ponte


Approfondiamo la Parola domenicale


Parola che si fa Vita

Alcuni brani biblici a commento della Parola domenicale:
ci aiutano ad accoglierla come avvenimento di salvezza nella nostra vita.

1Giovanni 1,5-10
Dio è Luce… se noi riconosciamo le nostre tenebre.

Isaia 42,1-16 Giovanni 1,4.12
Ti ho formato perché fossi luce ai ciechi.

Luca 24,13-35 Si aprirono i loro occhi...

Efesini 5,8-14 Svegliati! Cristo ti illumina.

Michèa 7,7-9. 18-20 Signore, mia luce!

Agenda settimanale: 26 ottobre - 2 novenbre 2009


Agenda settimanale
26 Ottobre - 2 Novembre 2009
* * *

Lunedì 26, ore 19.00 - Settim. Bibl. Lanciano
ore 20.30 - Cena dei Catechisti
ore 21.00 - Messa a Paglieroni

Martedì 20: Incontro diocesano dei preti
ore 18.30 - Messa a san Giorgio

Mercoledì 28
ore 21.00 - Condividiamo la Parola:
Incontro nella Parola domenicale

Giovedì 29, ore 18.30 - S. Messa in chiesa p.

Sabato 31
Festa di tutti Santi e Sante
ore 18.30 - S. Messa in chiesa p.le
ore 19.00: Veglia missionaria in cattedrale

Domenica 1 Novembre

ore 9.00 - S. Messa in san Giorgio
ore 11.00 - S. Messa in chiesa p.le
ore 16.00 - S. Messa in Cimitero
e Benedizione delle Tombe
* * *
Lunedì 2

Commemorazione di tutti i Defunti
ore 8.00 - S. Messa in chiesa p.le
ore 18.30 - S. Messa in san Giorgio
ore 21.00 - S. Messa a Paglieroni

Preghiera mensile in casa Bianco

Una comunità che celebra - La liturgia domenicale: XXX domenica del T.O.B - 25 ottobre 2009

GESU’, LUCE di chi vive nelle tenebre

Invocazione penitenziale

Signore Gesù, Figlio che riconduci tutti al Padre e consolaci!
Signore, pietà!
Cristo Risorto, Luce che illumini il mondo, vinci le nostre tenebre e rinnovaci!
Cristo, pietà!
Sacerdote della nuova Alleanza che condividi la nostra debolezza,
abbi compassione di noi.
Signore, pietà!

Inno di lode: Gloria a Dio…

Preghiera dell’Assemblea

+ O Padre, nel tuo Figlio, sacerdote compassionevole per chi geme nell’oppressione e nel pianto, hai dato la luce ai ciechi e la gioia ai tribolati.
Ascolta il grido della nostra preghiera: in Lui tutti riconoscano la tenerezza del tuo amore di padre e ritornino verso di Te. Per il nostro Signore... Amen.

LITURGIA DELLA PAROLA

Dal libro del profeta Geremia
31,7-9
Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe,esultate per la prima delle nazioni,fate udire la vostra lode e dite:“Il Signore ha salvato il suo popolo,il resto d’Israele”.Ecco, li riconduco dalla terra
del settentrione e li raduno
dalle estremità della terra;fra loro sono il cieco e lo zoppo,la donna incinta e la partoriente:ritorneranno qui in gran folla.Erano partiti nel pianto,io li riporterò tra le consolazioni;li ricondurrò a fiumi ricchi d’acquaper una strada dritta
in cui non inciamperanno,perché io sono un padre per Israele,Èfraim è il mio primogenito».
Parola di Dio.

Salmo responsoriale - 125

R./ Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.
Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.
Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.

Dalla lettera agli Ebrei 5,1-6

Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nel l’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato (Salmo 2,7), gliela conferì come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek (Salmo 110,4).
Parola di Dio.

Alleluja, alleluja!
Il Salvatore nostro, Cristo Gesù, ha vinto la morte
e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo. Alleluja!

+ Dal vangelo secondo Marco
10,46-52
E giunsero a Gerico. Mentre [Gesù] partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?».
E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Parola del Signore!

Professione di Fede

La Parola si fa Preghiera

+ Fratelli e sorelle, la nostra esistenza sarebbe nel buio se Cristo Gesù non avesse vinto la morte con la sua Risurrezione. Con gratitudine e fiducia, rivolgiamo a Lui la nostra preghiera:

R./ Illuminaci, Signore!

- La tua Chiesa, sia casa per tutti i popoli che cercano la luce della vita, preghiamo.

- Chi governa le nazioni, sia illuminato da Te nelle sue scelte, preghiamo.

- I cristiani si facciano compagni nel cammino di chi è smarrito; preghiamo.

- Chi è in missione sia sostenuto dalla nostra preghiera e carità; preghiamo.

- Tu che hai ridato la vista ai ciechi, illuminaci con la tua Parola; preghiamo.

- I cristiani, si sentano responsabili dei diritti e della libertà di tutti con azioni concrete nella società; preghiamo.

- A tutti i preti dona la tua compassione verso i loro fratelli; preghiamo.

- Fa’ che ti riconosciamo nei poveri e nei sofferenti come adesso, qui, nel sacramento dell’Eucaristia, preghiamo.

Dalla Parola all’Eucaristia

+ Ti ringraziamo, o Padre, per il tuo Figlio crocifisso e risorto che ha infranto le nostre tenebre e ci ha illuminati conducendoci fino a te.
Veniamo a te portando pane e vino, segni della vita nuova che tu continui a donarci in Cristo Gesù, nostro Signore.
Amen

Dimensione mondo

In margine alla giornata missionaria mondiale


C’è, nella nostra chiamata di discepoli di Gesù, un aspetto universale che interpella tutte le nostre resistenze, che sentiamo profondamente in questo tempo di crisi e di paura, a considerarci membri di un'unica famiglia umana, traendone tutte le conseguenze.
Forse l'aver confinato le nostre speranze negli angusti orizzonti del mondo o forse l'aver privatizzato anche il Cielo ci fanno accaniti nel difendere il nostro diritto alla felicità e irosi verso chi sembra minacciarla venendo con ostinazione in mezzo a noi. Per questo abbiamo inventato un nuovo reato: l'immigrazione clandestina. Credere al sogno di Dio di una sola famiglia umana non significa l'insostenibile buonismo di un'accoglienza senza remore.
Chiede piuttosto, insieme all'accoglienza, la passione di cercare le cause di certi fenomeni, riconoscendo la parte che vi abbiamo e dandoci da fare perché esse siano sanate. Prima che una questione di aiuti internazionali, è una questione di giustizia di rapporti. Ma questa parola è troppo clandestina nei nostri discorsi e nella nostra vita perché il mondo si raddrizzi e gli scambi fra i popoli avvengano nella tranquillità di una conoscenza reciproca e non nell'affanno di naufraghi.
Ma, allora, "ansia e passione di illuminare tutti i popoli con la luce di Cristo", cui ci esorta il Papa nel suo messaggio per l’83a Giornata missionaria mondiale, che cosa vogliono dire?
Teresina Caffi
www.saveriane.it

lunedì 19 ottobre 2009

Approfondiamo la Parola domenicale: 18 ottobre 2009 - XXIX anno B


Parola che si fa Vita

Alcuni brani biblici a commento della Parola domenicale:
ci aiutano ad accoglierla come avvenimento di salvezza nella nostra vita.

1Corinzi 9,1-6. 15-23
Mi sono fatto servo di tutti.

Matteo 28,11-20
Mi è dato ogni potere.

Apocalisse 2,1-7
Alle chiese scrivi...

Luca 22,25-27
Chi comanda… come servo!


Filippesi 2,1-11
Abbiate in voi gli stessi
sentimenti di Cristo Gesù:… si fece servo.

1209 - 2009: VIII CENTENARIO FRANCESCANO


1209 - 2009
VIII Centenario Francescano

SABATO 24 OTTOBRE, ore 18.3O
SALA AV: MIRACOLO EUCARISTICO

P. Egidio Monzani, ofmconv
“Francesco d’Assisi
una pro-vocazione evangelica
per il nostro tempo”.

Settimana biblica a Lanciano


Lunedì 26 – Venerdì 30, ore 19.00
tenuta dal vescovo Carlo:
chiesa Cattedrale Madonna del Ponte

Agenda settimanale: 19 - 26 ottobre 2009


Agenda settimanale
19 - 26 Ottobre 2009
* * *

Lunedì 19, ore 21.00 - Messa a Paglieroni

Martedì 20: Incontro zonale dei preti
ore 18.30 - Messa a san Giorgio

Mercoledì 21
ore 21.00 - Condividiamo la Parola:
Incontro nella Parola domenicale

Giovedì 22, ore 18.30 - S. Messa in chiesa p.

Venerdì 23
ore 18.30 - Liturgia dei Vespri:
preghiera missionaria
ore 21.00 - Comm.ne catechesi adulti

Sabato 24
XXX Domenica Anno B
ore 18.30 - S. Messa in chiesa p.le

Domenica 25
ore 9.00 - S. Messa in san Giorgio
ore 11.00 - S. Messa in chiesa p.le

Una comunità che celebra - La liturgia domenicale: XXIX domenica TO/B: 18 ottobre 2009

GESU’, l’AMORE che riscatta e libera


Invocazione penitenziale

Gesù, Servo del Padre, che per noi doni la tua vita, abbi pietà di noi.
Signore pietà!
Cristo Risorto, che prendi su di te le nostre debolezze, abbi pietà di noi.
Cristo pietà!
Gesù Maestro, che ti fai nostro servo liberaci dall’arrivismo e abbi pietà di noi.
Signore pietà!

Inno di lode: Gloria a Dio…

Preghiera dell’Assemblea

+ O Padre misericordioso, in Cristo sommo sacerdote, ci hai amati di amore gratuito. Fa’ che, immersi anche noi nel sacrificio del tuo Figlio, possiamo donare la nostra vita facendoci, ogni giorno, servi dei nostri fratelli.
Per il nostro Signore... Amen.

LITURGIA DELLA PAROLA

Dal libro del profeta Isaìa
53,2a.3a.10-11
[Il servo del Signore]
è cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come radice in terra arida.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire.
Al Signore è piaciuto prostrarlo
con dolori. Quando offrirà se stesso
in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà
del Signore. Dopo il suo intimo tormento
vedrà la luce e si sazierà
della sua conoscenza.
"Il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità".
Parola di Dio.
Salmo responsoriale - 32

R./ Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.
[Bonum est confidere in Domino. Bonum sperare in Domino.]

Retta è la parola del Signoree fedele ogni sua opera.Egli ama la giustizia e il diritto;dell’amore del Signore è piena la terra.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,su chi spera nel suo amore,per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:egli è nostro aiuto e nostro scudo.Su di noi sia il tuo amore, Signore,come da te noi speriamo.

Dalla lettera agli Ebrei 4,14-16

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
Parola di Dio.

Alleluja, alleluja!
Il Figlio dell’uomo è venuto per servire
e dare la propria vita in riscatto per molti.
Alleluja!

+ Dal vangelo secondo Marco
10,(32-34) 35-40 (41-45)
32Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: 33"Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, 34lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà".
35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: "Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo". 36Egli disse loro: "Che cosa volete che io faccia per voi?". 37Gli risposero: "Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra".Gesù disse loro: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice (di dolore) che io bevo, o essere [immersi come me nella sofferenza] battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?". 39Gli risposero: "Lo possiamo". E Gesù disse loro: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e [sarete immersi come me nella sofferenza] nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato".
41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: "Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". Parola del Signore!

Professione di Fede-Simbolo degli Apostoli

Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

la Parola si fa Preghiera

+ Fratelli e sorelle, il Signore Gesù intercede a nostro favore presso il Padre Fiduciosi, rivolgiamo a Lui, la nostra preghiera: R./ Ascoltaci, Signore!

- La tua Chiesa, sia casa di comunione e scuola di servizio agli altri; preghiamo.

- I nostri governanti, siano onesti e umili, al servizio di tutti i cittadini; preghiamo.

- Le comunità cristiane più lontane nel mondo e più povere, sentano almeno oggi la nostra fraterna vicinanza; preghiamo.

- I nostri missionari non si scoraggino nelle difficoltà quotidiane; preghiamo.

- Noi, che ascoltiamo la tua Parola, maturiamo l’impegno di metterci a servizio di chi è in necessità; preghiamo.

- I cristiani, si sentano responsabili dei diritti e della libertà di tutti con azioni concrete nella società; preghiamo.

- La nostra Assemblea, che celebra qui l’Eucaristia, viva intensamente anche gli altri incontri settimanali; preghiamo.

dalla Parola all’Eucaristia

+ Ti ringraziamo, o Padre, per il tuo Figlio venuto tra noi non per essere servito, ma per servire. Portiamo pane e vino, segno della sua vita data in riscatto per tutti e del nostro servizio agli altri.
Per Cristo, nostro Signore. Amen!

Preghiera Eucaristica - Acclamazioni

+ Prendete, e mangiate… per voi.
- E’ il Signore Gesù: si offre per noi!

+ Prendete, e bevetene… memoria di me.
- E’ il Signore Gesù: si offre per noi!

+ Mistero della fede!
- Tu ci hai redenti con la tua Croce
e la tua Risurrezione.
Salvaci, o Salvatore del mondo!
alla Comunione

“Il Figlio dell’uomo è venuto per dare
la sua vita in riscatto per tutti gli uomini”.

83a Giornata Missionaria Mondiale - 18 ottobre 2009

Le Nazioni cammineranno alla sua Luce”.
Apocalisse 21,24


Scopo della missione della Chiesa infatti è di illuminare con la luce del Vangelo tutti i popoli nel loro cammino storico verso Dio, perché in Lui abbiano la loro piena realizzazione ed il loro compimento. Dobbiamo sentire l’ansia e la passione di illuminare tutti i popoli, con la luce di Cristo, che risplende sul volto della Chiesa, perchè tutti si raccolgano nell’unica famiglia umana, sotto la paternità amorevole di Dio.
E’ in questa prospettiva che i discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo operano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze e donano la vita. Riaffermo con forza...: la Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo.
Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell’umanità, specialmente di quella più sofferente ed emarginata, perché crediamo che “l’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo… è senza alcun dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità” (EN 1), che “conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza” (RM 2).
1. Tutti i Popoli chiamati alla salvezza.
2. Chiesa Pellegrina.
3. Missione a tutti.
4. Chiamati ad evangelizzare anche mediante il martirio.
La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità delle nostre Chiese. Invito, allo stesso tempo, tutti a dare un segno credibile di comunione tra le Chiese, con un aiuto economico, specialmente nella fase di crisi che sta attraversando l’umanità, per mettere le giovani Chiese locali in condizione di illuminare le genti con il Vangelo della carità. Ci guidi nella nostra azione missionaria la Vergine Maria, stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al mondo il Cristo, posto come luce delle genti, perché porti la salvezza “sino all’estremità della terra” (At 13, 47).
A tutti la mia Benedizione.

Benedetto XVI