sabato 25 settembre 2010

Approfondiamo la Parola domenicale: LUCA 16,19-31

Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)
LECTIO DIVINA

“Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”
(cf. Lc 16,31)

Dopo un’opportuna introduzione, si può invocare lo Spirito santo.
+ O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare la tua
parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’ tacere in noi ogni
altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella tua parola, letta, ma non
accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita, contemplata, ma non realizzata,
manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro
incontro con la tua parola sarà rinnovamento dell’alleanza e comunione con te e con il
Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto nei secoli dei secoli. A.: Amen.

 Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Luca 16,19-31 (trad. CEI 2008).

[Gesù disse ai farisei:] 19 «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di

lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20 Un povero, di nome Lazzaro,

stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21 bramoso di sfamarsi con quello che cadeva

dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22 Un giorno

il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e

fu sepolto. 23 Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo,

e Lazzaro accanto a lui. 24 Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di

me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua,

perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25 Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati

che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; 26 ma ora in questo

modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi

è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono,

né di lì possono giungere fino a noi”. 27 E quello replicò: “Allora, padre, ti prego

di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli. Li ammonisca

severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29 Ma

Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30 E lui replicò: “No, padre

Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31 Abramo rispose:

“Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse

dai morti”».


Note di esegesi per la comprensione del testo

La parabola evangelica che abbiamo appena ascoltato è propria di Lc e sconosciuta

agli altri evangelisti; le sue origini sono antecedenti alla stessa composizione

evangelica, visto che probabilmente Gesù stesso ha ripreso un racconto egiziano1,

giù conosciuto in Israele e riadattato alla teoria giudaica della retribuzione (o del

contrappasso). Questa teoria si basa sul rovesciamento delle situazioni al di qua e

al di là della morte: un capovolgimento radicale, in cui chi fu ricco diventa povero,

chi fu povero diventa ricco; chi godeva soffre e chi soffriva gode. Lc descrive in

questa parabola quello che annuncia con il Magnifcat di Maria, la donna di Nàzaret

che prende atto di Dio come «rovesciatore» delle situazioni (cf. Lc 1,52-53)2.

Di questa teoria teologica, molto vivace al tempo di Gesù, il vangelo è pieno: basti

pensare alle beatitudini, specialmente nella versione di Lc (6,20-26), dove la contrapposizione

anche sociologica tra ricchezza e povertà diventa una discriminante

per l’accesso al regno di Dio. A quattro «beati» corrispondono simmetricamente

quattro «guai», scanditi dall’avverbio «ora» a sottolineare la contemporaneità

quasi speculare del rovesciamento certo che vi sarà. Allo stesso modo, il ricco

stolto sogna granai e benessere, mentre morirà la stessa notte in cui gioisce per i

suoi beni (cf. Lc 12,16-21). Per scampare a questa tagliola, non c’è che un solo

modo: vivere la vita prima della morte fondata sulla giustizia, che non signifca

solo fare una perequazione dei beni materiali, ma assumere una prospettiva di

vita, in cui “giusto” è colui che non si appropria di ciò che non è e non ha, ma

condivide se stesso e ciò di cui dispone con tutti coloro con cui vive. Tutto ciò

che esiste, infatti, è dono da condividere affnché nessuno sia nel bisogno, ma tutti

abbiano il necessario. Nessuno di noi è «tutto», ma ciascuno di noi, nessuno

escluso, è «parte» di un tutto. Il giusto non dirà mai «questo è mio», perché egli sa

che solo Dio è Creatore e tutte le cose di cui dispone sono solo e sempre in comodato

gratuito fno alla morte. Il concetto di proprietà privata è un monstrum da

un punto di vista etico e religioso (con buona pace di certo magistero cattolico,

prima e dopo Pio X) e ciò è tanto vero che ancora oggi in Israele nessuno è proprietario

della terra che è una e indivisibile perché è ’erez Israel, «terra d’Israele»
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1 FITZMYER J. A., The Gospel According to Luke, New York 1985,1126-1127.

2 Anche Dante nella Divina Commedia ricorre molto spesso a questa pena: «Perch’io parti’

così giunte persone, / partito porto il mio cerebro, lasso!, / dal suo principio ch’è in questo

troncone. / Così s’osserva in me lo contrapasso» (cf. Inferno XXVIII,139-142).
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in quanto terra di Dio sulla quale si abita provvisoriamente (cf. Gs 1,2-4; cf. Dt

11,24-25). Qui sta anche il fondamento del rispetto della terra e del suo

equilibrio sistemico: gli esseri umani stanno distruggendo la terra, sottraendone la

disponibilità ai posteri, cosa che non è lecita perché alla fne vincerà la terra e

travolgerà tutto ciò che essa contiene. Quando l’umanità dimentica di essere solo

«custode» e non proprietaria della terra (cf. Gen 2,15), assume atteggiamenti

dittatoriali e non si rende conto che sfruttare la terra signifca suicidarsi. Una

prova in più che il concetto di proprietà privata, come è concepito e vissuto dalla

nostra «civiltà» sedicente cristiana, è un’aberrazione criminale. La proprietà

privata, su cui si basa il capitalismo, a sua volta causa e fonte di genocidi di massa,

non è un assoluto, non è un diritto naturale perché essa nasce da un furto

ancestrale. In origine Dio ha creato la terra e l’ha consegnato alla custodia di

Àdam ed Eva, cioè all’umanità intera nel suo complesso, senza preferenze di

civiltà. A questa universalità si è opposta subito la bramosia dei progenitori che

non vollero condividere il «giardino» con Dio, ma lo pretesero tutto per sé (cf.

Gen 2,16-17; 3,6-8). Fu il primo «mio» pronunciato dall’uomo e ne derivò la

rovina di generazione in generazione, in un crescendo di violenza armata che ha

posto le fondamenta delle guerre, sempre basate sul furto della terra e dei suoi

beni, spostando i confni per allargare sempre più i propri, restringendo quelli

degli altri (cf. Dt 19,14; 27,17; Gb 24,2). Questa è l’origine storica dei regni, dei

principati, degli imperi, ecc. La dottrina sociale della Chiesa, per difendere la

«proprietà privata», deve fare alcuni strani contorsionismi, in cui non può negare

la supremazia dell'interesse e del bene comune su ogni appropriazione, anche

giustifcata3.

È singolare che il brano evangelico di oggi non dica nulla sulla condizione morale

dei due protagonisti. L’evangelista non dice che Lazzaro è «buono» e il ricco è

«cattivo»; non dice che il ricco si trova all’inferno per inadempienze religiose,

anzi, probabilmente era uno uomo pio molto praticante, che deve aver subito un

forte shock nello scoprirsi all’inferno, proprio lui che aveva fatto del tempio la

sua seconda casa con una pratica religiosa ineccepibile nella forma e nella rituali -

tà. La prospettiva è nei fatti: il ricco è condannato perché si considera «solo ed

esclusivo» proprietario della terra, senza tenere conto del suo «prossimo» che
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3 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica (= CCC), nn. 2401-2403: «Il settimo comandamento

[...] prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro

umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e

del diritto di proprietà privata. […] All’inizio, Dio ha affdato la terra e le sue risorse alla

gestione comune dell’umanità, affnché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro

e ne godesse i frutti. I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano. […]

L’appropriazione dei beni è legittima al fne di garantire la libertà e la dignità delle persone,

di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di

cui ha la responsabilità. Tale appropriazione deve consentire che si manifesti una naturale

solidarietà tra gli uomini. Il diritto alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo,

non elimina l’originaria donazione della terra all’insieme dell’umanità».
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«stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che

cadeva dalla tavola del ricco (Lc 16,19-21). Uno moriva di fame, l’altro s’ingozzava

e non si accorgeva di ciò che accadeva alla sua porta. Gesù non fa un discorso

morale: non dice, per es., che la ricchezza è cattiva o che la povertà è buona. Egli

afferma un principio antropologico e religioso contemporaneamente: la ricchezza

incontrollata impedisce di vedere la realtà che circonda. Non è per ciò che

facciamo di male che siamo condannati, ma per ciò che non siamo più capaci di

vedere e scorgere, riconoscendo nel volto dell'altro il volto dell'Altro (cf. Mt

25,43.44.45). Se credere è vedere la realtà con gli occhi di Dio, non credere ed

essere dannati non può essere altro che essere ciechi, incapaci di riconoscere in

Gesù la Parola salvifca di Dio (cf. Gv 1,11).

La parabola risente del clima sociale dei cristiani di 1a e 2a generazione, prevalentemente

poveri e in costante tensione con il mondo dei ricchi, come si evince da

alcune pagine signifcative di Atti4. L’insegnamento è semplice: i ricchi sono così legati

al loro orizzonte immediato, fatto di cose e denaro che non sono in grado di

scegliere radicalmente la prospettiva della «Via» (termine con cui i primi cristiani

indicavano la fede, cf. At 19,9.23; 22,4). I poveri per natura e per condizione, a differenza

dei ricchi, sono più liberi perché meno ingombranti e più pronti a tagli

radicali, più legati alla provvisorietà delle condizioni di vita. Lo stesso Signore aveva

messo in guardia della pericolosità della ricchezza, dopo l’incontro con il ricco,

molto religioso, cui ricorda come gli mancasse una cosa sola: vendere i suoi beni

distribuirli ai poveri e poi seguirlo nell'annuncio del Regno. Di fronte alla reazione

del ricco, Gesù commenta: «Quanto è diffcile, per quelli che possiedono ricchezze,

entrare nel regno di Dio! (cf. Lc 18,23-25). Lc ammonisce i ricchi che non possono

essere nello stesso tempo credenti senza mettere in discussione la loro

condizione: o condividono i beni o sono tagliati fuori dal Regno. La parabola del

ricco cattivo ed egoista è così un esempio illustrativo di ciò che signifca essere

cristiani: è una scelta che coinvolge tutta la vita in ogni suo aspetto (cf. Lc 10,27).

Nella logica di Lc, come abbiamo visto domenica scorsa nella parabola dell’amministratore

scaltro (cf. Lc 16,8-13), la ricchezza deve essere condivisa soprattutto

con i poveri, altrimenti si è «fgli di questo mondo». Lc ammonisce i cristiani ad

evitare l’immoralità della cupidigia per seguire l’esempio di Gesù che «non ritenne

un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso» (cf. Fil 2,6-7).

La parabola contrappone due condizioni: «un uomo ricco» e «un mendicante»; il

ricco, che come abbiamo detto in Lc, è sempre una connotazione negativa, è quindi

anonimo, senza storia, mentre il povero ha un nome, Lazzaro (in ebr., “Dio è il mio aiuto”):
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4 Barnaba vende un campo e ne dà il ricavato agli apostoli per i poveri (cf. At 4,36-37); al

contrario, la coppia Anania e Saffra, che non vogliono perdere la faccia, ma neanche il patrimonio,

cercano d’ingannare gli apostoli, tenendo parte del patrimonio per sé, svelando

così la loro malvagità che li porterà alla morte (cf. At 5,1-16). Anche nella Lettera di Giacomo

si condanna con forza la ricchezza e l’atteggiamento di reverenza di fronte al ricco, tenuta

da molti cristiani persino nelle assemblee eucaristiche (cf. Gc 2,2-4; Gc 5,1-6).
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 la ricchezza darà prestigio agli occhi del «mondo», ma toglie il

«nome», cioè la propria identità, la personalità, a differenza della povertà che

invece non avendo nulla da difendere espone ed esprime la personalità e

l’identità. Il ricco «indossava vestiti di porpora e di lino fnissimo», mentre l’altro

«giaceva alla sua porta»; il ricco «ogni giorno si dava a lauti banchetti», mentre

Lazzaro era «coperto di piaghe» (Lc 16,19-20). Secondo la logica corrente e la

religione del tempo, la ricchezza doveva essere il segno della benedizione

protettiva di Dio, mentre la povertà doveva essere il sigillo della maledizione di

Dio in sconto di qualche peccato proprio del povero o dei suoi antenati; Gesù fa

piazza pulita di questo modo di pensare e agisce di conseguenza, affermando la

centralità della persona, amata da Dio indipendentemente dalla condizione o

dello stato in cui si trova, soprattutto quando essa vive nel dolore a causa

dell'ingiustizia. Non solo: Lazzaro viene accolto nel Regno, quando la sua

condizione di impurità legale, a causa delle piaghe, era ritenuta motivo di

esclusione dal tempio e dal banchetto escatologico, come si diceva anche negli

scritti di Qumran5. Gesù capovolge le regole religiose e di purità vigenti, per

affermare il valore assoluto della persona degli esclusi, che egli dichiara «beati».

Ciò, nel contesto del suo tempo, equivaleva ad una rivoluzione radicale di

mentalità, strutture, usi e culto: la purità o l’appartenenza al gruppo sociale non

dipende dalla circostanze della vita, ma unicamente dall’attitudine del cuore che

regola il rapporto con Dio e di conseguenza con i propri simili.

La 2a parte della parabola è più protesa verso una visione escatologica, che così

corregge ciò che nella 1a parte poteva essere letto solo in chiave sociologica. Ora

non si tratta più di ricco e di povero, ma della fede che insegna a leggere i segni di

Dio nella storia e della cupidigia che impedisce di vedere anche l’ovvio. Per i ricchi,

la morte è semplicemente la conclusione della vita, dell’unica vita che hanno

sperperato e abusato, ma quando si accorgono che la vita non si esaurisce con la

morte, corrono ai ripari e pensano di evitare la loro sorte ai propri congiunti.

Alla richiesta del ricco di inviare ai propri fratelli un messaggio straordinario,

come l’apparizione di un morto, Dio afferma che non servono i miracoli a buon

prezzo perché gli strumenti che ciascuno di noi ha a disposizione sono due: l’intelligenza

della fede per capire gli eventi e la Parola di Dio come criterio di discernimento.

Il vangelo odierno ci insegna l'inutilità di ogni “segno prodigioso” in

mancanza di fede: nessun miracolo ha mai convertito qualcuno, se lo Spirito Santo

non ha già predisposto alla fede e l’interessato non sia disponibile al cambiamento

del cuore. Al contrario, chiedere miracoli è tentare Dio (cf. Lc 4,12). Dopo

l’intervento di Gesù nella nostra Storia, non abbiamo bisogno di altro, né di miracoli,

né di apparizioni, né di rivelazioni o segreti più o meno occulti, né di messag -

gi che annunciano guai e punizioni. Nella Parola di Dio che ci è mediata dalle

Scritture c’è tutto ciò che è necessario per essere fgli/e di Dio che camminano
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5 Cf. 1QSa (=Regola della Congregazione) II,5-22 (in particolare, nn. 3-8); vd. F. G. MARTÍNEZ

(a cura di), I testi di Qumran, Paideia, Brescia 1996, 238.
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insieme altri uomini, donne e popoli per la costruzione del Regno di Dio che in

terra ha il suo inizio e alla fne della storia il suo esito. Chiedere segni come

mezzo per convincersi è una forma di paganesimo, di religiosità infantile e di

chiusura alla conversione: la fede non è roba da circo per divertirsi in qualche

annoiato sabato sera, né può essere ridotta a strumento per governare la paura

delle masse o per addomesticare le proprie angosce interiori. Il cristiano non ha

bisogno di altro che di questi due pilastri: la vita e la Parola, i due scrigni dove Dio

ha deposto il tesoro dei suoi comandamenti di gioia e di pace. La Parola diventa

vita in un solo modo: condividendo con gli altri ciò che si è e ciò che si ha, perché

solo se riconosciamo che tutti/e, nessuno escluso, siamo fgli/e di un solo Dio, il

Padre del Signore Gesù è anche Padre «nostro».

- pro manuscripto -

venerdì 24 settembre 2010

MESE MISSIONARIO 2010: "Spezzare pane per tutti i popoli"

MESE MISSIONARIO 2010:
“spezzare PANE per TUTTI i popoli”

Mese di preghiera ed offerta
a sostegno delle comunità cristiane
più povere del mondo

27 settembre - 3 ottobre
CONTEMPLAZIONE
Contemplerò la bontà del Signore.

Venerdì 1, primo del mese, ore 18.30:
Celebrazione e Adorazione eucaristica.

4 - 10 ottobre VOCAZIONE
Considerate la vostra vocazione.
Venerdì 8, ore 18.30: Via Crucis


11 - 17 ottobre RESPONSABILITA’
Un dovere per me predicare il Vangelo.

Venerdì 15, ore 18.30: Rosario missionario

18 - 24 ottobre CARITA’
Se vi amerete gli uni gli altri sapranno che siete miei discepoli.

Giovedì 21, ore 19.30:
Veglia di preghiera missionaria in Cattedrale.

Domenica 24
Giornata Missionaria

Come siamo soliti, in questa domenica, verranno confezionati dolci
che potranno essere acquistati
per raccogliere offerte da inviare
alle chiese più povere nel del mondo.

25 – 31 ottobre RINGRAZIAMENTO
Ti ringrazio, Signore: mi hai salvato!

Venerdì 29, ore 18.30: Vespri “missionari” di ringraziamento

Agenda settimanale: 27 settembre - 3 ottobre

AGENDA SETTIMANALE
27 SETTEMBRE - 3 OTTOBRE 2010
* * *
Lunedì 27, ore 21.00: Messa in Paglieroni

Martedì 28, ore 18.30: Messa in S. Giorgio

Mercoledì 29, ore 21.00:  Attorno alla Parola domenicale
(in casa p.le e portare la Bibbia)

Giovedì 30, ore 18.30: Messa in chiesa p.le
ore 21.00: Incontro catechisti I.C.

Venerdì 1 ottobre, ore 18.30: Celebrazione e Adorazione eucaristica

Sabato 2 ottobre, ore 15.30, in chiesa p.le:
Inizio anno catechistico

XXVII DOMENICA DELL’ANNO C

ore 18.30: Messa in chiesa p.le

DOMENICA 3 OTTOBRE

ore 9.00: Messa in S. Giorgio

ore 11.00: Messa in chiesa p.le

Battesimo di ALESSANDRO AGNIFILI

e di MICHELLE VERÌ

ore 15.30, Sala Mazzini a Lanciano:

INCONTRO DIOCESANO DELLE FAMIGLIE

Approfondiamo la Parola domenicale: XXV domenica C

PAROLA CHE SI FA VITA

Alcuni brani biblici a commento della Parola domenicale:
ci aiutano ad accoglierla come avvenimento di salvezza nella nostra vita.

Ricchi e spensierati?
Luca 6,20-26 Giacomo 4,13- 5,6    1Corinti 15, 12...34

Gesù, povero. Isaia 52,13– 53,6  Luca 18, 8-30

L’amore vero. 1Pietro 4,7-10

Puoi pregare:
Salmo 81 - Al povero Tu fai giustizia.
Salmo 128 - Il Signore è giusto.
Luca 1, 46-55 - I poveri colmi di beni.

Una Comunità che celebra: La Liturgia della XXVI domenica dell'anno C: 26 settembre 2010

GESÙ, SAZIA I POVERI E AI RICCHI APRE LE MANI!

La liturgia di oggi, domenica 26a del tempo ordinario C, prosegue il tema profetico di



domenica scorsa, riportando testi che sono attualissimi per contenuto e denuncia. La


1a lettura e il salmo sono stati scritti otto secoli prima di Cristo, la 2a lettura e il vangelo


quasi duemila anni fa: l’argomento è di quelli per cui si rischia oggi l’accusa di «comunisti


». Dopo secoli di queste letture bibliche, siamo ancora di fronte allo scandalo di


una difesa ad oltranza della civiltà cristiana, nello stesso momento in cui i popoli che la


compongono detengono il primato della ricchezza, del lusso e della violenza, il cui costo


pesa esclusivamente sulla massa sterminata di popoli, schiacciati dalla povertà, causata


dall’irresponsabile ingordigia dei popoli «cristiani». Il 20% del mondo consuma


l’80% delle ricchezze mondiali, possesso di quel restante 80% dei popoli che per le


loro condizioni miserevoli non riescono nemmeno a consumare ciò che hanno. Nemmeno


Dio può fare combaciare questa equazione e infatti nella liturgia di oggi lo dice


a chiare lettere con un linguaggio comprensibile anche agli analfabeti religiosi che non


vogliono mai sentire.


La Parola di Dio è unanime: coloro che detengono la ricchezza senza condividerla in


modo equo e solidale con l’umanità intera non entreranno a fare parte del Regno di


Dio. È il senso dell’universalismo della fede o, per chi vuole, della società che vuole essere


«civile». La Parola di Dio dice che nessun oppressore può fare parte del Regno,


per cui la ricchezza che causa la sofferenza e la morte è una discriminante di salvezza


o di dannazione. Nella logica del vangelo, non bastano preghiere e genuflessioni per


riscattare stili di vita che causano genocidi; non è concepibile che un dirigente di industria


guadagni quattrocento volte di più dei propri operai, o che i manager di banche e


multinazionali si attribuiscano benefit che un loro dipendente non guadagnerà mai nemmeno


in cento vite! Il capitalismo che vige nei paese a maggioranza «cristiana» genera


questi mostri e semina morte, con la benedizione del potere ecclesiastico che ha perso


tutta la sua capacità profetica e critica, assoggettandosi all’idolo perverso del


«mercato» liberista che è un sistema strutturale speculativo per generare la povertà dei


molti come sostegno permanente della ricchezza per pochi. Bisogna convertirsi, cioè


cambiare rotta e modo di pensare: un rovesciamento a livello di cuore per i singoli, a livello


di strutture per le istituzioni. La Chiesa come istituzione non solo deve essere povera, ma


deve anche apparire povera perché la sua forza è riposta nel suo Signore. I cristiani stanno


nel mondo (cf. Gv 17,11), ma fanno fatica a non essere del mondo (cf. Gv 17,14), perché


spesso sono complici e a volte artefici dell’ingiustizia che regola quella civiltà a cui ci si


appella spesso in nome di Dio, della religione e dei suoi simboli: cristiani che manifestano


contro gli immigrati e fanno prosperare la schiavitù anche di minori, incrementando


la prostituzione; che esprimono sentimenti ignobili di xenofobìa fino a insultare


la religione degli altri; che pagano la Libia per impedire le migrazioni, sapendo che la


maggior parte degli sventurati moriranno nel più totale abbandono, quando non saranno


violentati e uccisi; costoro non perdono occasione per «difendere il crocifisso»


come ornamento dei locali pubblici, ma uccidono senza pietà e senza pentimento Colui


che quel simbolo indica, l’uomo e il Dio Gesù Cristo, che vive negli impoveriti e


nei violentati di questo mondo. Questa inciviltà è già stata ripudiata dal Dio del vangelo


che non difende i crocifissi-arredo, ma i crocifissi di carne, inchiodati sulla croce


della miseria, della fame e della sete. I cristiani non s’indignano più di fronte a questi


autentici sacrilegi e non reagiscono nemmeno di fronte al degrado legislativo, anche


quando l’abuso privato della legge è manifesto e palese: al contrario, la maggior parte


di coloro che sostengono governi immondi e ignobili sono sedicenti cattolici


praticanti che contribuiscono attivamente e palesemente al radicamento dell’illegalità,


da cui traggono benefici per sé e i loro cari. Ad esempio, la contribuzione fiscale è il


primo atto di giustizia sociale in un contesto di consapevolezza del «bene comune».


Non più l'elemosina occasionale, ma la carità come struttura sociale che si fa carico dei


deboli e dei piccoli. Non possiamo rassegnarci di fronte alla miseria del «Corpo di


Cristo» che geme in due terzi del terra; per noi risuonano oggi le parole di Amos


profeta: «cesserà l’orgia dei dissoluti» (Am 6,7).


La descrizione della società del sec. VIII a. C., come abbiamo anticipato domenica


scorsa, sembra lo specchio della nostra società contemporanea che ha smarrito il senso


della giustizia come diritto di ciascuno ai beni essenziali della vita (cf. Am 6,6);


mentre la «civiltà occidentale e cristiana» si coccola nel lusso, la casa di Giuseppe, cioè la


vita dei poveri, va in rovina (cf. Am 6,6; 5,6). Non c’è alternativa per il cristiano che


vuole seguire Gesù: o si salva insieme agli altri o da solo si danna sicuramente1. Lc riecheggia


lo stile e l’animo di Amos quando nelle beatitudini ai quattro «beati» fa corrispondere


altrettanti «guai» (cf. Lc 6,20-22.24-26) indirizzati ai ricchi e a quanti non pensano che


di tutto ciò che esiste tutto è in funzione e per il benessere di tutti i popoli.


Il salmo responsoriale è una litania impressionante perché elenca senza fiato dieci azioni di


Dio in difesa del «povero», termine sintetico per indicare ogni forma di marginalità. Il


ritmo dei verbi è incalzante come le dieci parole del decalogo (cf. Es 20,1-17). Il verbo


più forte è il settimo: «protegge i forestieri» (Sal 146[145],9b), che esprime l’idea di


Dio, scudo protettivo dello straniero che in una terra e in una cultura non sue diventa


debole e facile preda del mercato nero o degli schiavisti. In ebraico si usa il verbo shamàr,


lo stesso che si usa nell’espressione «custodire» la Toràh o i comandamenti: è un


verbo impegnativo perché esprime l’adesione religiosa all’alleanza. Dio «custodisce il


forestiero» come ad Israele è chiesto di «custodire» la Legge. Nella 2a lettura l’autore


invita Timoteo ad essere consapevole della sua funzione di autorità non spadroneggiando


sulla comunità, come se fosse una proprietà da gestire, ma attraverso la testi -


monianza coerente, affinché chiunque lo osservi possa riconoscere che i garanti della


sua fede sono Cristo e Dio (1Tm 6,13). L’autorità nella Chiesa, prima di essere esercizio


di verità, è servizio di carità (cf. Mc 10,40-45). L’autorità nella Chiesa non è proprietaria


di essa, ma serva e ministra e quindi l’ascolto precede il comando. Il vangelo propone


la parabola conosciuta come «il ricco cattivo e il povero Lazzaro», riportata solo


da Lc; ciò dimostra che questi, nella sua comunità, facendo delle ricerche personali (cf.


Lc 1,3), disponeva di materiale esclusivo sull’insegnamento e sulla vita di Gesù. Tutte


le parabole hanno protagonisti anonimi, mentre questa è l’unica che riporta il nome:


Lazzaro (ebr. “Dio aiuta”; cf. Lc 16,20). Manca il nome del ricco, di cui si descrive la


degenerazione: è un crapulone, un godereccio2. Sullo sfondo si collocano i fratelli del


1 «Ho imparato che il problema degli altri è uguali al mio. Sortirne tutti insieme è la


politica. Sortirne da soli è l’avarizia» (SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, Libreria


Editrice Fiorentina, Firenze [s.d.], 14).


2 Solo un’altra volta, in tutto il vangelo, viene riportato il nome di un protagonista, nel


contesto di un miracolo: Bartimèo (cf. Mc 10,46). Le uniche volte che il vangelo riporta i


nomi di personaggi protagonisti, ricorda nomi di poveri, oppure quello di peccatori e


scomunicati che vengono chiamati a seguire Gesù (Levi in Lc 5,27; Zaccheo in Lc 19,2).


ricco, ignari della sorte del fratello di cui perpetuano lo stile di vita, vivendo da


buontemponi. Predisponiamoci pertanto all’ascolto, con il cuore e con l’intelligenza,


invocando lo Spirito Santo perché di doni un cuore docile ad ascoltare la Parola


liberatrice.


INVOCAZIONI PENITENZIALI


Signore, noi siamo sempre attaccati al denaro e alle cose materiali.

Kyrie, elèison!

Cristo, noi cerchiamo il nostro benessere e non ci curiamo di chi è in necessità.

Christe, elèison!

Signore, noi facciamo finta di non vedere i gravi problemi del nostro mondo.

Kyrie, elèison!

INNO DI LODE: Gloria a Dio…



PREGHIERA DELL’ASSEMBLEA

+ O Padre, tu ami tutti, poveri e ricchi: capovolgi con giustizia la sorte di tutti gli oppressi e poni fine all'orgia degli spensierati. Fa' che aderiamo in tempo alla tua Parola per credere nel Cristo, risorto dai morti, che ci accoglierà nel tuo regno. Egli è Dio e vive… Amen!



LITURGIA DELLA PAROLA

Dal libro del profeta Amos
6.1a.4-7

Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina [della discendenza] di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti.

Parola di Dio!

Salmo responsoriale - 145

R./ Loda il Signore, anima mia.

Bonum est confidere in Domino. Bonum sperare in Domino.

1.Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

2. Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama chi rende giusto,
il Signore protegge i forestieri.

3. Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre, il tuo Dio,
o Sion, di generazione in generazione.



Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 6,11-16

Tu, uomo di Dio, evita [l’avidità del denaro] tendi invece alla giustizia, all’amore di Dio, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutto, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento ricevuto, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi rivelato:
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l'immortalità,
che abita una luce inaccessibile:
Nessun uomo lo ha mai visto
né potrà vederlo. A lui onore e potenza, per sempre! Amen.

Parola di Dio!



Alleluja, alleluja!

Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Alleluja!

+ Dal vangelo secondo Luca 16,19-31

In quel tempo. Gesù disse ai farisei: «Un uomo era ricco e vestiva con porpora e finissimo lino, festeggiando ogni giorno splendidamente. Un povero, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma anche i cani venivano a leccare le sue piaghe. Avvenne poi che il povero morì e fu portato dagli angeli con Abramo. Morì poi anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide Abramo da lontano, e Lazzaro con lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del suo dito e a rinfrescarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella tua esistenza, hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro in modo simile i suoi mali; ma ora qui lui è consolato, tu invece sei tormentato. E in tutto ciò, tra noi e voi è stato fissato un abisso, così che: coloro che da qui vogliono passare da voi, non possono, né da lì possono giungere fino a noi”. Allora replicò: “Dunque, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, ho infatti cinque fratelli, affinché li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. Ma lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno viene da loro, cambieranno modo di vivere (si convertiranno)”. Abramo gli rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Parola del Signore!

PROFESSIONE DI FEDE-SIMBOLO DEGLI APOSTOLI

Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

LA PAROLA SI FA PREGHIERA

+ Fratelli e sorelle, al Signore, che con la sua parola di vita ci richiama ad un modo di vivere sobrio e solidale, rivolgiamo la nostra fiduciosa preghiera:
R./ Cambia i nostri cuori, o Signore!

1. Perché nella tua Chiesa poveri e ricchi vivano senza distinzioni e siano solidali tra loro, per una credibile testimonianza al mondo, preghiamo.

2. Perché nella nostra società chi ha doveri politici denunci le ingiustizie e difenda i più deboli, preghiamo.

3. Perché le nostre famiglie educhino i figli ad uno stile di vita sobrio e solidale, sentendosi responsabili delle sorti del nostro pianeta, preghiamo.
4. Perché aiutiamo i giovani nella loro crescita cristiana, scoprendo nel Vangelo i veri valori della vita, preghiamo.

5. Perché la nostra comunità cristiana si accorga dei poveri presenti in paese e si attivi in opere di vera carità, preghiamo.

6. Perché noi, qui riuniti in Eucaristia, scopriamo che la comunione all’unico Pane fa di noi un solo corpo, e viviamo in conseguenza di questo dono, preghiamo.

DALLA PAROLA ALL’EUCARISTIA
+ Ti ringraziamo, o Padre, perché ci fai sedere alla tua mensa, ricchi e poveri insieme e, almeno qui, ci fai sperimentare che siamo veramente fratelli e sorelle che condividono l’unico Pane in Cristo Gesù, nostro Signore. Amen!

PREGHIERA EUCARISTICA - Acclamazioni

+ Prendete, e mangiate… per voi.
- E’ il Signore Gesù: si offre per noi!
+ Prendete, e bevetene… memoria di me.
- E’ il Signore Gesù: si offre per noi!

+ Mistero della fede!
Annunziamo la tua morte, Signore;
proclamiamo la tua risurrezione;
nell’attesa della tua venuta!

LITURGIA EUCARISTICA

Alla comunione
“Il povero fu portato con Abramo e il ricco negli inferi tra i tormenti”.

CATECHESI… UN CANTIERE APERTO

“L’Iniziazione Cristiana si presenta oggi, alle nostre chiese, come una sfida cruciale e come un grande cantiere aperto, dove c’è bisogno di dedizione e passione formativa ed evangelizzatrice, di sicura fedeltà e, al contempo, del coraggio di affrontare creativamente le difficoltà odierne”.
(Card. Camillo Ruini al Convegno Ecclesiale di Verona 2006)



In questo mese di settembre ci stiamo dedicando alla catechesi di iniziazione alla vita cristiana dei nostri figli/e: teniamo incontri di formazione e di programmazione con i catechisti e con i genitori.

Alla base di questo impegno ci sono alcune convinzioni condivise:

1. La catechesi è un compito affidato a tutta la comunità cristiana: siamo tutti alla scuola dell’unico Maestro Gesù, per crescere con Lui e insieme tra noi, come persone libere, responsabili, capaci di amare come figli di Dio! Tutti abbiamo la responsabilità di curare la nostra formazione e quella delle nuove generazioni, per essere “Sale della terra e Luce del mondo” (Matteo 5,13-16 - Itinerario comunitario di formazione 2010-2011).

2. I figli sono educati nella famiglia: nessuno può e deve sostituire i genitori, ma essi non sono soli! La comunità parrocchiale ha il dovere di accompagnarli, di sostenerli, con ogni mezzo e risorsa. Prete, catechisti, animatori, educatori, genitori: tutti insieme per crescere insieme!

3. Non mandiamo figli al catechismo per fare la prima comunione o la cresima, ma per aiutarli a vivere con noi la vita cristiana! (I.C.= Iniziazione alla vita Cristiana)

4. Per questo motivo hanno grande importanza i gruppi nei quali bambine/i, ragazze/i sono inseriti e accompagnati dai loro catechisti. E’ un cammino composto di diverse tappe che scandiscono la nostra continua e progressiva scoperta di Gesù e del suo messaggio nel vangelo che illumina e dà sapore alla nostra esistenza.

5. A questo scopo continuiamo ad aggiornare il nostro Progetto Catechistico Parrocchiale di I.C. ed elaboriamo un Itinerario Catechistico Annuale in base al quale scegliamo anche i percorsi più consoni, i testi più adatti, le iniziative più coinvolgenti.

Ora che i vari gruppi dei genitori con i catechisti si sono organizzati e hanno scelto il giorno più adatto per la catechesi, siamo quasi pronti a partire: SABATO 2 OTTOBRE ALLE ORE 15.30 in chiesa p.le, tutti insieme, ci ritroveremo per invocare lo Spirito che non ci lascia soli nel nostro cammino e per iniziare la “nuova avventura” alla scoperta di “ciò che conta di più”. DOMENICA 3 OTTOBRE, durante la celebrazione eucaristica delle ore 11.00, all’inizio del mese missionario, conferiremo ufficialmente il mandato ai nostri catechisti.

Un vero cantiere aperto, come se ne vedono tanti per le contrade del nostro paese in continua crescita! p. Roberto Geroldi