giovedì 10 febbraio 2011

TRIENNIO 2011-2013:
EDUCARE ALLA VITA NELLA FRAGILITÀ
Sfida e profezia per la pastorale della salute


Uno strumento per la pastorale


A partire da quest’anno, l’Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità propone una

programmazione triennale attraverso uno strumento pastorale condiviso con la sua Consulta

e con un Gruppo di lavoro comprendente anche i rappresentanti della CISM e dell’USMI.

L’intenzione non è quella di offrire un documento di approfondimento ca -

techistico o di riflessione dottrinale, ma di mettere a disposizione di chi programma e di

chi opera nella pastorale della salute una presentazione sintetica di alcuni obiettivi comuni

e di temi sui quali concentrare l’attenzione. A partire da questa sintetica esposizione dei

temi centrali e degli obiettivi del prossimo triennio, si lavorerà, seguendo le indicazioni dei

Vescovi italiani, a valorizzare in chiave operativa, nelle nostre realtà, i numerosi documenti

del Magistero già esistenti su questi temi e la nota pastorale “Predicate il Vangelo e curate

i malati”.

PROGRAMMAZIONE TRIENNALE 2011-2013 
TEMA XIX GIORNATA MONDIALE DELMALATO

Presentazione

La finalità di questo strumento, perciò, è quella di supportare il lavoro nella pastorale

della salute a livello diocesano e di raccordarlo inoltre al cammino della Chiesa che è in

Italia, secondo le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana contenute negli Orientamenti

pastorali per il prossimo decennio “Educare alla vita buona del Vangelo”. L’applicazione

del presente strumento pastorale è pensata per tutti coloro che sono impegnati,

a qualsiasi titolo, nel mondo della salute e si presenta con ampia flessibilità e possibilità

di adattamento e di integrazione, secondo le specifiche situazioni in cui la programmazione

si andrà a concretizzare.

Si è ritenuto, perciò, di valorizzare i tempi liturgici e di integrare, in un percorso unitario

e coerente, le tematiche della Giornata del Malato, dei Convegni Nazionali e delle altre

iniziative, con obiettivi precisi e con strumenti per la verifica. Si provvederà poi, nel

corso dell’intero triennio, a fornire strumenti di lavoro basati sui testi del Magistero in

materia di vita e salute, con una particolare attenzione agli ambiti di integrazione pastorale

nella vita ecclesiale e a eventuali problemi specifici che emergano nel dibattito culturale

e civile o che siano importanti per sostenere e sviluppare il lavoro pastorale locale.

“Educare alla vita nella fragilità. Sfida e profezia per la pastorale della salute” è il

tema che l’Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità e la sua Consulta adottano per

il prossimo triennio 2011-2013, in linea, come anticipato, con gli Orientamenti pastorali

della CEI per il decennio in corso. Direttrici fondamentali entro cui si muove la nostra

azione educativa sono da intendersi il servizio e la presenza accanto all’uomo nel tempo

della fragilità, cioè nel momento in cui la vita umana è attraversata dalla sofferenza e

dalla povertà e necessita di un maggiore sostegno. Nel contesto dell’impegno educativo,

poi, si vuole valorizzare anche il tema dell’educare mediante la fragilità. La vita acquista,

nel tempo della malattia, un senso nuovo e può sviluppare relazioni autentiche e profonde.
In questi passaggi si può assumere la fragilità come risorsa e possibilità di crescita,

attraverso il reciproco riconoscimento e l’accettazione della fragilità stessa, presente nei

sani e nei malati, in chi educa e in chi è educato. Nondimeno, una specifica attenzione educativa

viene riservata alla promozione della vita e della salute e degli stili di vita buona, ai

percorsi formativi per gli operatori sanitari e pastorali, così come alla concreta realizzazione

di “comunità sananti” (cfr Nota pastorale PVCM, 51), che sono luoghi privilegiati per

la collaborazione e l’integrazione tra i diversi ambiti in cui si articola l’azione pastorale.

In questo triennio vogliamo riaffermare che la vita viene prima di tutto, e che ogni

sforzo va fatto per promuoverla e tutelarla; che l’uomo va accolto come persona e mai

come strumento o oggetto e va curato con il rispetto che si deve alla sua dignità di persona.

Infine, a tutti gli esseri umani, in quanto esseri umani, vanno garantiti il diritto alla vita,

l’accesso alle cure primarie e la miglior tutela possibile della salute, per dovere di

giustizia e per testimonianza di carità.

Pertanto, i temi al centro della nostra attenzione pastorale nel prossimo triennio

saranno:

– anno 2011 - “Prima di tutto… la vita”

– anno 2012 - “Curare tutto l’uomo”

– anno 2013 - “La salute, un bene di tutti”.

Nel percorso così delineato, il termine “tutto” si declina nei tre temi e, in un certo senso,

li raccorda. Esso dice un lavoro ad ampio raggio – potremmo dire “a tutto campo” –

nell’affermazione della vita come fondamento (anno 2011), un approccio olistico alla

cura della persona (anno 2012) e, infine, una riflessione sul bene comune in relazione al

mondo della salute (anno 2013).

Attraverso lo sviluppo dei singoli temi annuali, nell’orizzonte dell’educare alla vita nel

tempo della fragilità si perseguiranno, nell’arco dell’intero triennio, i seguenti obiettivi

generali:

1. partecipare al cammino della Chiesa che è in Italia, secondo gli Orientamenti Pastorali

della CEI per il decennio, declinandone i temi e le istanze nell’ambito della pastorale

della salute.

2. Condurre la pastorale della salute in Italia a fare un salto di qualità nella capacità di porre

all’attenzione le questioni legate alla tutela e alla promozione della vita e della salute,

affinché tali questioni siano rettamente affrontate nel contesto sociale e percepite

come questione fondamentale della missione della Chiesa e, segnatamente, della nuova

evangelizzazione.

3. Diffondere e radicare fra i credenti e nella società, mediante idonee opportunità formative,

una cultura di accoglienza e sostegno alla vita umana, specie quando questa si

trovi in condizioni di fragilità e grave limite.

4. Supportare e promuovere la progettualità pastorale delle Chiese locali in campo sanitario,

raccordandola ad iniziative condivise ed unitarie in ambito regionale e nazionale.

5. Far emergere le buone prassi di integrazione della pastorale della salute nella pastorale

ordinaria delle comunità ecclesiali e sollecitarne la conoscenza e l’ampia diffusione.


Tema per l’Anno Pastorale 2010-2011
“Prima di tutto… la vita”

All’inizio del percorso triennale che abbiamo sin qui delineato, l’anno pastorale 2010-

2011 ha l’obiettivo di stimolare la conoscenza e l’approfondimento delle ragioni per le

quali il cristiano riconosce alla vita umana un valore particolare e unico in ogni momento

e condizione in cui questa può venire a trovarsi, specialmente nella disabilità o malattia.

Gli operatori sanitari e le comunità cristiane sono spesso disorientati da una lettura

riduzionistica della vita che inevitabilmente impoverisce il loro sguardo sull’uomo malato

e riduce la loro capacità di promuovere forme autentiche di servizio e di cura.

Affermare “la vita, prima di tutto” significa riconoscerla come fondamento dell’umano.

Da questo può scaturire la base condivisa – per credenti e non credenti – della stima

e del rispetto di essa nell’intero suo arco, dal concepimento fino al suo naturale compimento

e la convinzione che tale fondamentale valore inerisca in modo eguale ad ogni vita

umana, senza possibilità di discriminare tra forme qualitative di vita.

Instancabili cercatori di felicità sono, infatti, gli uomini, anche nel tempo della malattia

o della sofferenza; e non solo per il loro comprensibile desiderio di liberarsi di

queste, bensì anche perché essi hanno la capacità di cercare e trovare un senso a ciò che

accade. Certo, non sono né la malattia né il dolore in se stessi ad avere senso. Anzi, presi

solo per se stessi, essi contraddicono il disegno divino di amore e di bontà. La volontà

di Dio, pienamente manifestataci nel Figlio Unigenito, è la vittoria sul peccato e sulla

morte e il dono della vita («Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza

» – Gv 10,10) e della comunione nell’amore ad ogni uomo ed ogni donna, in ogni

tempo («Rimanete nel mio amore. […] perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia

piena» – Gv 15, 9b-11). Queste parole di Cristo aprono la nostra mente e il nostro cuore

a considerare più profondamente il mistero della vita: essa non solo ha valore, ma è valore

in se stessa. È la prima e fondamentale perfezione dell’essere, che si esprime in pienezza

proprio nell’essere umano. Perciò, specie quando è segnata dalla sofferenza, la vita

esige la scoperta dei suoi più profondi significati, che permettano di attingere alla beatitudine,

pur sempre contenuta e nascosta anche nel tempo dell’afflizione (cfr Mt 5,4).

Il senso della vita nel tempo della malattia, in prima battuta, può essere cercato e

trovato nel desiderio di guarire, di essere curati o di poter guardare al futuro con speranza.

Tuttavia, anche nelle condizioni più estreme o nelle malattie inguaribili, il senso

si ritrova cercando più in profondità, per esempio nelle relazioni personali che si generano

o nell’esperienza di scoprirsi vivi giorno per giorno, assaporando i piccoli e grandi

doni velatamente nascosti tra le piaghe di una malattia o nella condizione di disabilità.

Lungi da ogni intellettualismo, l’esperienza di chi ha attraversato la sofferenza o si è fatto

compagno di chi è nella malattia e nel dolore, è un tesoro di umanità e di verità che

arricchisce tutti. Per questo, è assolutamente importante e urgente evitare che la malattia

sia vissuta senza consolazione, fino a diventare un’esperienza desolata e maledetta;

per questo, anche, è necessario valorizzare e comunicare la straordinaria forza vitale

che si sprigiona dalla vita fragile e da chi se ne prende cura, specie in un tempo segnato

dall’utilitarismo e dall’individualismo. Il nostro impegno di programmazione nella pa-

storale della salute in questo anno si orienta a farsi carico proprio di queste sfide, per evidenziare

la ricchezza contenuta nell’esperienza della vita fragile e per mettere in atto percorsi

che rendano la sofferenza luogo di apprendimento della speranza (cfr Lettera

Enciclica Spe Salvi, n. 36).

“Prima di tutto… la vita”, dunque, per ridare slancio vitale all’uomo contemporaneo,

che ha difficoltà a percepire il senso della malattia e della sofferenza.

“Prima di tutto… la vita”, ancor di più, perché in essa possiamo cogliere il senso del

divino nell’esistenza e, amandola sempre, fino alla fine, costruire una società più umana

e più fraterna.


XIX Giornata Mondiale del Malato

“Dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pt 2,24)


L’esperienza umana della sofferenza non sempre conduce a riconciliarsi con il Creatore,

con Colui che è la fonte della vita. Anzi, nelle persone colpite dalla malattia sorge una

naturale domanda, spesso unita a un senso di ribellione, che può tramutarsi in una sorta di

implorazione: “Perché? Perché devo soffrire?”. A quell’implorazione fa eco il grido del

Cristo sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Sal 22,2; Mc 15, 34;

Mt 27, 46).

Il Cristo ha raccolto, in quel grido, il dolore dell’umanità di ogni tempo e lo ha presentato

al Padre. Le piaghe di Cristo racchiudono in sé tutta la fragilità dell’umano. Non

dobbiamo però dimenticare che esse non sono un esercizio di dolorismo “eroico”, né sono

fini a se stesse. Nel mistero pasquale del Cristo, il male non ha l’ultima parola e la sofferenza

accettata e offerta per amore diventa forma di guarigione e di salvezza. Il dramma

del Venerdì Santo procede verso la luce della Domenica di Risurrezione.

Molto opportunamente, il tema scelto dal Santo Padre per la XIX Giornata Mondiale

del Malato ci provoca a guardare in questa direzione, senza timori reverenziali verso i linguaggi

e le prassi dell’utilitarismo e dell’edonismo contemporaneo.

Il cristiano è chiamato ad esercitare il suo spirito di profezia proprio laddove l’umano

è in scacco ed è tentato di ripiegarsi nell’egoismo o di cedere alla sfiducia.

Per esercitare questo spirito di profezia siamo chiamati a convertire il nostro sguardo,

contemplando il Cristo crocifisso e risorto, potenza dell’amore del Padre. Il Battesimo, che

ci immerge nel cuore del mistero pasquale, è la vita divina che ci è donata e ci rende capaci

di profezia e di diventare, in unione con Cristo, co-redentori dell’esperienza della

sofferenza. La grazia del Battesimo e degli altri Sacramenti e una vera contemplazione

orante del mistero pasquale, pertanto, lavorano nel trasformare la nostra vita in dono per

gli altri e in quella “nuova umanità” che è la pietra viva per la costruzione del Regno.

Lo sguardo d’amore di chi accompagna i poveri, i sofferenti, gli emarginati, annuncia

la venuta del Regno e, nello stesso tempo, lo rende presente. Nello sguardo di coloro che

si fanno carico di chi soffre, di chi vive le proprie sofferenze in unione con Cristo o di chi

muore nella fiducia e nel totale abbandono all’amore del Padre, riverbera una luce speciale,

come da una finestra aperta sul mistero di Dio.

Una comunità che celebra: La liturgia domenicale della VI Domenica Anno A: 13 febbraio 2011

GESU’ È LA NUOVA LEGGE DELL’AMORE



Invocazioni Penitenziali

Signore, tu che vedi in ogni cuore, tendi la tua mano e salvaci!
Signore, pietà!

Crocifisso Risorto, con la sapienza del tuo Spirito, annulla la nostra presunzione.
Cristo, pietà!

Maestro, l’unica legge dell’amore illumini i nostri pensieri e cambi i nostri atteggiamenti.
Signore, pietà!

INNO DI LODE: Gloria a Dio…
PREGHIERA DELL’ASSEMBLEA - COLLETTA

+ O Padre, che nell’amore riveli pienamente la tua volontà, fa’ che il popolo cristiano, qui radunato per offrirti il sacrificio di lode, sia coerente con le esigenze del Vangelo, e diventi per ogni persona segno di riconciliazione e di pace. Per il nostro Signore… Amen!

LITURGIA DELLA PAROLA

Dal libro del Siràcide
15,16-20*

Se vuoi osservare i suoi
comandamenti, essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli esseri umani stanno la vita
e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro
che lo temono,egli conosce
ogni opera umana. (…)
Parola di Dio!

Salmo responsoriale - 118

R./ Beato chi cammina nella legge del Signore.

1. Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.

2. Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti.

3. Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.

4. Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza,
perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 2,6-10

Fratelli e sorelle. Tra coloro che sono cristiani adulti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei potenti di questo tempo, che sono destinati al nulla.
Parliamo invece della sapienza di Dio: il suo progetto di farci partecipare della sua vita, che Dio ha tenuto nascosto prima della creazione. Nessuna potenza di questo tempo l’ha conosciuto; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore glorioso. Ma, come sta scritto nella Bibbia: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha fatte conoscere per mezzo dello Spirito che conosce bene tutto, anche i pensieri segreti di Dio. Parola di Dio!

Alleluja, alleluja!
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno. Alleluja!


+ Dal vangelo secondo Matteo 5,17-24

In quel tempo. Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge di Mosè o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà una sola virgola o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredisce uno solo di questi minimi precetti e insegna agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno di Dio. Chi invece li osserva e li insegna, sarà considerato grande nel regno di Dio.
Io vi dico infatti: se la vostra obbedienza al volere di Dio non supera quella dei maestri della Legge e dei farisei, non entrerete nel regno di Dio.
Avete inteso che fu detto ai vostri antenati: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio (Deut. 5,17).
Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al tribunale supremo; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco inestinguibile (Geènna).
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Parola del Signore!

PROFESSIONE DI FEDE-SIMBOLO DEGLI APOSTOLI
Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen!
LA PAROLA SI FA PREGHIERA

+ Fratelli e sorelle. Cristo ci dona se stesso come “nuova legge” ed anche come modello di obbedienza al Padre. A lui chiediamo un cuore nuovo:
R./ Donaci, Signore, un cuore nuovo!

1. La tua Chiesa annunci a tutti il Vangelo come via sicura di salvezza e di felicità.
2. Nella società civile tutti si impegnino per il bene degli altri, soprattutto se deboli, indifesi, sofferti per ogni disagio.

3. I credenti in Gesù si sentano impegnati nell’“educare alla vita nella fragilità”, cominciando dai più piccoli e in famiglia.

4. Sia la sapienza del Vangelo ad illuminare le nostre scelte e a dare sapore ai nostri comportamenti.

5. Nei paesi tormentati dalle violenze prevalga il senso di fraternità per trovare la via della giustizia e della libertà.

6. Celebrando la Pasqua del Signore sperimentiamo che “dalle sue piaghe siamo stati guariti” e condividiamo le sofferenze degli altri.
DALLA PAROLA ALL’EUCARISTIA

+ Ti ringraziamo, Padre, nel tuo Figlio Gesù ci hai liberati dal peccato e dalla colpa e ci hai resi liberi di obbedirti nell’amore. Il pane e vino che ti presentiamo siano il segno della nostra comunione e non di divisione, in Cristo Gesù, nostro Signore. Amen!

LITURGIA EUCARISTICA

PREGHIERA EUCARISTICA - ACCLAMAZIONI
+ Prendete, e mangiate… e bevetene tutti…
- E’ il Signore Gesù, si offre per noi!

+ Prendete e bevetene tutti…memoria di me.
- E’ il Signore Gesù, si offre per noi!
+ Mistero della fede!
- Annunziamo la tua morte, Signore...

+ Celebrando… come popolo sacerdotale.
- Noi ti ringraziamo, o Padre!

+ Ti preghiamo… un solo corpo.
- Un cuor solo, un’anima sola per la tua gloria, o Padre!

+ Ricordati… popolo cristiano.
- Un cuor solo, un’anima sola per la tua gloria, o Padre!
+ Ricordati… la luce del tuo volto.
- Ricordati, o Padre!

+ ...canteremo la tua gloria:
- Per Cristo, con Cristo, in Cristo… Amen!

ALLA COMUNIONE

Chi osserva e insegna agli altri precetti del Signore, sarà grande nel regno di Dio.

Le lectio del prete Carmine Miccoli: Matteo 5,17-37 (Domenica VIA - 13 febbraio 2011)

Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)


LECTIO DIVINA

“...non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (cf. Mt 5,17)

Canto (facoltativo), a scelta della comunità.

Dopo un’opportuna introduzione, si può invocare lo Spirito Santo con il canone Veni Sancte Spiritus o

Vieni, Spirito Creatore (Taizè), o altra preghiera simile, come la seguente.

P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare

la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’

tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella

tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,

contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e

a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnova -

mento dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto

nei secoli dei secoli. A.: Amen.

Canto (facoltativo): Alleluia (Taizè).

L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Matteo (Mt 5,17-37;

trad. CEI 2008).

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:] «17 Non crediate che io sia venuto ad

abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.

18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un

solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19 Chi dunque

trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto,

sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà

considerato grande nel regno dei cieli.

20 Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei,

non entrerete nel regno dei cieli. 21 Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai;

chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22 Ma io vi dico: chiunque si

adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratel -

lo: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato

al fuoco della Geènna.23 Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi

che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all’altare,

va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. 25 Mettiti

presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario

non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione.

26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo

spicciolo!

27 Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. 28 Ma io vi dico: chiunque

guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.

29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene

infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga

gettato nella Geènna. 30 E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala

via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il

tuo corpo vada a finire nella Geènna.

31 Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. 32 Ma io vi

dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone

all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai

verso il Signore i tuoi giuramenti”. 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo,

perché è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per

Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36 Non giurare neppure per la tua testa,

perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37 Sia invece il vostro

parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno».

Segue la meditazione della Parola proposta dalla guida della celebrazione; dopo un momento personale di

silenzio per la lectio, si prosegue con la condivisione comune sulla Parola ascoltata. Al termine, ognuno

dei presenti può proporre un’intenzione di preghiera; ad ognuna, l’assemblea canta o risponde con un’acclamazione.

Si conclude con la preghiera del Padre nostro… [e la benedizione finale].

Note di esegesi per la comprensione del testo

Il brano del vangelo di oggi prosegue la lettura continua di Mt che, nei capp. 5-7,

ci presenta il “discorso della montagna”; i versetti che abbiamo letto, secondo lo

schema liturgico, sono i primi 21 della sezione di antìtesi (5,17-6,1) proclamate da

Gesù, costruite in forma binaria di contrasto: da una parte si annuncia la situazione

come è («Avete inteso che fu detto…») e su cui si basa l’insegnamento e la

prassi religiosa1; dall’altra parte si enuncia una novità che si contrappone alla situazione

esistente, aprendo prospettive nuove e inesplorate («Ma io vi dico…»).

Queste antitesi devono essere lette insieme per comprendere sia la struttura letteraria

del testo, che per cogliere il messaggio che l’autore mette in bocca a

Gesù.

Vi sono due poli importanti che delimitano la forma del testo. I primi tre versetti

(cf. 5,17-19) formano da introduzione, quasi che Gesù voglia preparare il suo uditorio

a ciò che dirà subito dopo. Egli stesso afferma esplicitamente di porsi nel

solco della «tradizione» scritturistica e profetica, che egli certamente non rinne-

1 Al tempo di Gesù, ogni dottrina nuova per essere accettata doveva appoggiarsi sull’autorità

di uno o più «maestri»; Gesù si stacca da questo procedimento e basa la sua predica -

zione solo sulla sua autorità che gli deriva dal Padre (cf. Gv 8,38.54).

ga. Gesù è intimamente fglio di Israele e ne rivendica l’appartenenza (cf. 5,17);

con ciò afferma anche un altro pensiero determinante e cioè che la «Legge e i

Profeti» non sono compiuti, ma sono rimasti ancora velati e aspettano di essere

interpretati per dare il signifcato pieno che scribi e farisei non solo non hanno

investigato, ma hanno coscientemente impedito, perché hanno chiuso le porte del

Regno alla gente, fnendo per non entrare loro e gli altri (cf. Mt 23,13; Lc 11,52).

Gesù restituisce all’umanità la chiave della scienza, cioè la relazione interpersonale

con Dio attraverso l'ascolto e la condivisione della Parola.

L’introduzione alle antitesi (cf. 5,17-19) è dovuta alla penna dell’evangelista per inquadrare

il signifcato della nuova proposta di Gesù. Il primo versetto (5,17) proviene

dalla tradizione orale, di fonte paolina2, a cui dà un signifcato nuovo nella

direzione del compimento delle Scritture, tema che pervade tutto il primo vangelo.

Ciò signifca che nella Scrittura tutto, anche ciò che può apparire insignifcante,

ha un valore profetico riferito a Cristo, considerato così come la pienezza di tutta

la rivelazione sia scritta che orale. Paolo aveva detto espressamente che «la

Legge è stata per noi un pedagogo, fno a Cristo, perché fossimo giustifcati per la

fede» (cf. Gal 3,24)3.

Dalla tradizione sinottica (cf. Lc 16,17) proviene invece l’inizio di Mt 5,18, che afferma

la perennità della Legge (cf. Mt 23,25; 15,6), ma a cui Mt aggiunge l’espressione

«senza che tutto sia avvenuto», espressione che indica il compimento in pienezza

che ritma tutto il suo vangelo. Le sei contrapposizioni, di cui il brano odierno

riporta le prime quattro, sono inserite in un'inclusione4 perché sono introdotte

e concluse dallo stesso tema sulla giustizia:

Introduzione (Mt 5,20) Conclusione (Mt 6,1)

Se la vostra giustizia non supererà

quella degli scribi e dei farisei, non

entrerete nel Regno dei cieli.

State attenti a non praticare la vostra

giustizia davanti agli uomini

per non essere ammirati da loro.

Per sottolineare il suo pensiero, Gesù usa una immagine radicale: «Finché non siano

passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge,

senza che tutto sia avvenuto» (Mt 5,18): lo iota (che in italiano si traslittera

con «y») è una delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, che nella forma grafca è la

più piccola tra tutte; il «trattino», in greco keráia, cioè «virgola, segno», si riferisce

al ta'am, il segno che in ebraico unisce due parole strettamente collegate tra loro.

2 «Ora, il termine [gr.: il fne] della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque

crede» (Rm 10,4; cf. Rm 3,31; 13,8-10).

3 Il greco ha il termine paidagogòs, che al tempo di Paolo più che il signifcato proprio di

«istruttore» signifcava «sorvegliante», come era lo schiavo che in casa custodiva i bambini

e li accompagnava a casa del maestro di scuola.

4 L’inclusione è il «procedimento letterario che consiste nel racchiudere una unità letteraria

tra due parole o frasi uguali o equivalenti» (F. FLOR SERRANO-L.ALONSO SCHÖKEL, Dizionario

terminologico della Scienza Biblica, Roma 1981, 43).

Non bisogna tuttavia fermarsi qui, per non correre il rischio di concludere il discorso

con quella vera e propria eresia propugnata da una certo pensiero ecclesiastico

tradizionalista che parla della «teologia della sostituzione»: poiché Gesù

«compie» la Toràh, l’AT testamento cessa di avere valore e la comunità cristiana

nascente sostituisce la comunità del popolo d’Israele. Da ciò se ne deduce che la

vita morale del credente deve avere come proprio orizzonte non una parte della

Parola di Dio, ma la sua totalità nella sua unitarietà, anche in quegli aspetti che

possono sembrare minuzie e che invece esprimono l’interezza dell’insegnamento

(cf. Mt 5,19). Questo stile di accostarsi alla Parola diventa anche responsabilità nei

confronti degli altri, qui espresso nel binomio «osservare/insegnare» che pone

decisamente in relazione l’insegnamento con la testimonianza della vita (cf. Mt

25,21.23; Lc 16,10-11). Il comportamento e le scelte della vita manifestano la visibilità

della gloria di Dio che così si condiziona nella testimonianza di chi dice di

credere. È il dramma e insieme la gioia della vita del credente che non ha una vocazione

generica alla santità intimistica, ma una vera chiamata alla profezia delle

vita perché essa è il luogo della credibilità di Dio, dove questi diventa visibile e

sperimentabile davanti al mondo (cf. 1Gv 1,1-4; 4,12-21).

Un lettore superfciale potrebbe rimanere confuso di fronte a questo elogio di

Gesù dell’osservanza della Legge in quanto evento dell’AT, anche perché Paolo ci

ha impressionato con la sua diatriba corposa e forte che mette in discussione il

valore stesso della Legge mosaica fno al punto di dire che essa è «motivo di

morte» (cf. Rm 7,7-13; cf. anche Ger 9,23-24). In Gal 3,23-24 Paolo descrive la funzione

pedagogica della Toràh che avrebbe dovuto condurre a Cristo, ma essa non

poté svolgere il proprio compito perché si smarrì in un mare di prescrizioni, tanto

che gli stessi farisei pensavano che il popolino non potesse salvarsi perché per

i semplici era impossibile osservare tutti i 613 precetti. La Legge, ogni legge, deve

educare e guidare, non impedire e rallentare. Questo pericolo è scongiurato dalla

lettura che Mt fa del «compimento» dell’AT sia come pienezza in sviluppo, sia

come profezia in sé. La differenza tra il “fariseo” e il discepolo sta nel fatto che il

primo vive la giustizia come adempimento materiale della Legge, mentre per il secondo

compiere la giustizia signifca entrare in comunione di vita con Dio in un

rapporto affettivo e vitale. Il primo è tentato di «divinizzare» la Legge che diventa

così un idolo5; il secondo non si occupa, né si preoccupa di «compiere la Legge»

5 I rabbini, per difendere il giudaismo dai cristiani e dai non-Ebrei, avevano imposto di

«fare una siepe intorno alla Toràh» (Pirqè ‘abot I,1) per impedire anche ai cristiani di accedervi.

La siepe divenne così spessa che impedì di giungere al cuore stesso della Toràh che

si perse in un mare di precetti e prescrizioni che la tradizione codifcò in 613 precetti

(ebr.: mitzwòt) che il pio Ebreo deve osservare sempre. I farisei, che costituivano la classe

dirigente più «popolare» perché vicini alla gente, ritenevano che il popolo non potesse

salvarsi perché era incapace di osservare tutti i 613 precetti. I precetti sono divisi in due

categorie: 365 sono negativi (uno per ogni giorno dell’anno) e 248 positivi (uno per ogni

parte del corpo che si compone di 248 pezzi); le donne, che di norma non partecipano

o i riti o le prescrizioni, perché la sua ragione di vita sta tutta nella persona del

Signore che diventa la sorgente e il fondamento del suo essere e del suo agire. Il

credente vive la storia con passione e tranquillità perché sa che in Gesù i tempi

sono compiuti e ha inizio una nuova dimensione che ha come modello

l’obbedienza del Figlio al Padre (cf. Fil 2,8; Eb 5,8-9); per questo è determinante

capire quanto sia importante che Mt abbia messo quest'introduzione alle antitesi,

perché essa è la chiave che determina il senso giusto dell’immutabilità della Toràh.

Tra il cristiano e la Legge (qualsiasi legge) da questo momento c’è la mediazione

della giustizia di Cristo che si realizza nell’obbedienza sua al Padre, cioè in una

relazione d’amore e non in una sudditanza di potere padronale. Non si osserva la

Legge per diventare giusti, ma si vive la Legge perché si è giusti in quanto redenti,

amati. Dopo avere affermato il suo pieno inserimento nel solco della tradizione

biblica ebraica, Gesù inizia la serie delle antitesi: «Avete inteso che fu detto… ma

io vi dico...» con cui Gesù annuncia la sua rivoluzione in contrapposizione con la

«Legge6 orale» che secoli dopo verrà codifcata nella Mishnà e poi nel Talmùd.

I. La prima delle antitesi si riferisce al 5° comandamento, che al tempo di Gesù

aveva una interpretazione complessa, con una miriade di condizioni tutte esterne

perché si potesse stabilire l’omicidio. Per esempio, la Legge orale, successivamente

codifcata nel Talmud (Sanhedrìn, 57a), stabilisce che si ha omicidio quando un

ebreo uccide un altro ebreo e per questo deve essere messo a morte; se un

ebreo uccide un non ebreo il fatto non costituisce omicidio. La Legge scritta prescrive

in modo indiscusso: «Tu non uccidere» (Es 20,13; Dt 5,17), eppure essa è

svuotata di signifcato perché viene fatta dipendere solo dalle circostanze esteriori.

Se si comprende questo contesto «da casistica», si capisce quale forza dirompente

abbia avuto l’affermazione di Gesù che riporta tutto all’intenzione del cuore

e quindi all’atteggiamento interiore, cioè ad una decisione morale che coinvolge

la coscienza e la volontà. Anche se esternamente uno si ferma solo all’ingiuria,

l’intenzione che la provoca può essere valutata più duramente di un «omicidio

materiale». Per capire ulteriormente il senso delle affermazioni di Gesù nel contesto

della cultura religiosa del suo tempo è necessario capire il signifcato che

bisogna dare ad espressione come «dovrà essere sottoposto a giudizio» oppure

«dovrà essere sottoposto a al sinedrio» (cf. Mt 5,22). La sentenza alternativa di

Gesù nella prima antìtesi (Mt 5,21-26) si compone di due parti:

1. (Mt 5,21-22) la prima parte comprende il discorso sul giudizio e sul tribunale

che a sua volta si distingue in due riflessioni complementari:

a. la prima rifessione (Mt 5,21-22a) riguarda l’omicidio e l’ingiuria sottoposti al

«giudizio», che è l’equivalente di «tribunale». Con questo termine si intende il

consiglio uffciale della comunità che si trova sia a livello locale, dove si chiama

«tribunale», sia a livello nazionale, dove assume il nome di «sinedrio». I due

allo Shabàt in sinagoga, sono dispensate dall’osservare i precetti positivi.

6 In ebraico, Toràh signifca «Insegnamento»; nella versione della Bibbia dei LXX si usa Nòmos,

«Legge», da cui viene anche la nostra traduzione.

luoghi di giudizio, tribunale e sinedrio, hanno la competenza giuridica di «scomunicare

», cioè espellere dalla comunità, i membri colpevoli. La scomunica è

una forma di sentenza di morte perché estromette dalla vita di relazione dentro

la comunità e lo scomunicato non può avere rapporti con alcuno: è di fatto

un morto vivente (cf. Mt 10,17; Gv 16,2; 1Cor 6,4-5; cf. anche Gv 9,34). Poiché

la prima comunità cristiana proviene dall’ebraismo, è naturale supporre con

ragionevole certezza che abbia continuato gli stessi usi e costumi anche al suo

interno (cf. Mt 18,15-17; At 5; 1Cor 5,1-5; 1Tm 2);

b. la seconda rifessione (Mt 5,22bc) esprime lo stesso concetto con altre parole

come «fuoco delle Geènna»7 che ha non una recrudescenza di pena, ma piuttosto

un signifcato equivalente a «sinedrio». Nell’una e nell’altra parte si tratta

comunque del comportamento della comunità che reagisce di fronte ai colpevoli

al suo interno. La giurisdizione giudaica giudica il comportamento esterno,

a differenza di quella cristiana che, imitando Dio, valuta l’intenzione del

cuore, come avviene anche per l’adulterio (cf. Mt 5,28). Questa nuova giurisprudenza

che si applica nella comunità nata dall’annuncio del Vangelo si basa

su due principi che, ancora una volta, realizzano la «profezia» dell’AT: il primo

poggia sulla persona stessa di Dio, il solo che può dire: «Io, il Signore, scruto la

mente e saggio il cuore» (Ger 19,10; cf. anche Ger 11,20; 12,3); il secondo principio

si basa sul diritto di esigere di più da coloro che sono stati chiamati nella

alleanza nuova perché questa non è un invito a mutare comportamento, ma

un autentico innesto di cuore (cf. Ez 36,23-30; Ger 31,31-34).

2. (Mt 5, 23-24) la seconda parte riguarda l’offerta cultuale e il suo risvolto comunitario

con una esemplifcazione giudiziaria (cf. 5,25-26). Nei pressi del tempio

di Gerusalemme e delle sinagoghe successive vi erano molte fontane di acqua

corrente: se uno prima di entrare a fare l’offerta si ricorda all’improvviso di

essere impuro (cf. Lv 15-17), deve sottoporsi ad un complicato sistema di abluzioni

per purifcarsi. Se ciò vale per un atto di culto, a maggior ragione deve valere

per la purifcazione del cuore; Gesù eleva il rito della purifcazione dal livello

esteriore a quello spirituale e pone al centro del culto la qualità della relazione

con gli altri membri della comunità di appartenenza. Se nella prima parte si

trattava di omicidio, qui si tratta propriamente di «purità rituale», ma l’uno e

l’altro aspetto procedono di pari passo perché hanno in comune l’obiettivo di

una giustizia nuova che esclude qualsiasi formalismo ed esteriorità e fonda tutto

sulla interiorità. Anche qui ciò che conta non è l’atto in sé che può essere compiuto

meccanicamente, ma l’intenzione, cioè la motivazione interiore e quindi la

scelta morale.

7 La Geènna (in ebr.: Ben-Innòm) è la valle sud-ovest di Gerusalemme (cf. Gs 15,8; 18,16;

2Re 23,10; 2Cr 33,6; Ne 11,30; Ger 7,31; Zc 14,5). Questa era stata consacrata al dio Moloch,

cui venivano sacrifcati i bambini (2Re 23,10; Ger 32,35) e per questo era considerata

maledetta e divenne sinonimo di punizione e di inferno. Al tempo di Gesù era il luogo

dove si bruciavano le immondizie, per questo fuoco e fumo erano continui.

II. La seconda antitesi tratta dell’adulterio collegato con il divorzio, oggetto della

terza antitesi, che trattiamo brevemente insieme. Quanto all’adulterio, Gesù fa lo

stesso ragionamento che ha fatto per l’omicidio e per l’offerta cultuale, subordinata

alla riconciliazione: la chiave per valutare i comportamenti è sempre l’intenzione.

«Guardare una donna per desiderarla» (Mt 5,28) non signifca fare qualche

apprezzamento estetico di fronte alla bellezza femminile; l’autore infatti usa il verbo

blèpo, che signifca «guardo con attenzone, scruto, considero» e indica qui lo

sguardo possessivo, ovvero il pensiero macchinoso per creare la condizione dell’adulterio;

anche se poi la macchinazione fallisse e non si realizzasse alcun adulterio,

nulla importa perché il male è già avvenuto8. L’adulterio è talmente abominevole

nei confronti di Dio che ogni pio ebreo deve preferire la morte piuttosto

che commettere un simile delitto. Un modello di esempio è il patriarca Giuseppe,

tentato dalla moglie di Putifarre9. Esso deve essere punito con la lapidazione (cf.

Lv 20,10; Dt 22,20-22; Ez 16,38-40), anche se i rabbini ritengono che la morte per

strangolamento sia più umana. Perché questa durezza verso l’adulterio? Nei confronti

degli adulteri si applica la legge del taglione (cf. Es 21,23-25), probabilmente

perché si considera che l’uomo e la donna, nel momento in cui si uniscono, cessano

di essere individui singoli e acquisiscono un'identità specifca che li fa «immagine

di Dio» (cf. Gen 1,27) perché diventano «un solo corpo», cioè una persona

nuova. L’adulterio spezza l’unità della nuova persona e quindi, uccidendola, la divide

in due nel tentativo di sostituirne una metà con un’altra, che non può riportare

in vita la «carne sola» che è stata smembrata. In sostanza, da un punto di vista

della fede ebraica, l’adulterio è l’omicidio della «persona coniugale», espressione

unica della persona stessa di Dio.

III. Riguardo al divorzio, la legislazione di Mosè lo permette (Dt 24,1-4). Il testo

esprime un’epoca patriarcale, cioè dominata dal «maschio», in cui la colpa è sempre

della donna; il diritto di divorziare spetta solo al marito che lo formalizza con

un documento scritto consegnato alla donna (Talmud B. Gittìm, 20a). Sulla giurisprudenza

di stabilire cosa sia «qualcosa di vergognoso», al tempo di Gesù si sbizzarriscono

le scuole rabbiniche tra cui si distinguono, in modo particolare, quella

di rav Hillel e quella di rav Shammài: per quest’ultimo il divorzio deve motivato da

un fatto rilevante, come l’infedeltà; per il primo, invece, un uomo può ripudiare la

moglie anche se brucia la minestra. Rav Aqivà a sua volta ammette la possibilità

del ripudio della moglie se il marito ne ha trovato un’altra più bella e piacente

8 Lo stesso pensiero di chiunque guardi una donna con desiderio si trova nel Midràsh Levitico

Rabbàh 32,12; lo stesso vale per la donna che pensa ad un altro uomo mentre ha rapporti

con il marito; all’uno e all’altra viene riservata un castigo eterno dopo la morte (cf.

Talmud B. Baba Metzia, 58b).

9 Il patriarca Giuseppe aggiunge una motivazione teologica: per lui l’adulterio è un’offesa a

Dio e di conseguenza è offesa al marito della donna (Gen 39,9). Uomo e donna, infatti,

sono entrambi l’unica «immagine di Dio» (cf. Gen 1,27) e smembrare questa signifca deformare

la natura stessa di Dio.

(Mishnàh Gittìm, 9,10). In due soli casi l’uomo non può ripudiare: se ha accusato la

moglie di non essere vergine al momento del matrimonio e l’accusa è risultata

falsa (cf. Dt 22,13-19) e se un uomo ha violentato una donna e in seguito sposata

(cf. Dt 22,28-29). In qualsiasi modo, un uomo non può risposare una donna da cui

ha precedentemente divorziato. La Legge proibisce inoltre ad un sacerdote (ebr.:

kohèn) di sposare una donna divorziata (cf. Lv 21,7.14). La letteratura profetica è,

però, contro il divorzio (cf. Ml 2,14-16); da parte sua, il Sapiente esorta

insistentemente alla fedeltà coniugale (cf. Pr 5,15-19). Il Talmud stesso, che pure

riporta le discussioni rabbiniche, dichiara apertamente che «l’altare versa lacrime

per l’uomo che ripudia la sua prima moglie» (Talmud B., Sanhedrìn, 22a). All’interno

di questa prassi e cultura si colloca l’insegnamento di Gesù, il cui pensiero si

inserisce senza ombra di dubbio sulla linea profetica e sapienziale: il divorzio non

può sciogliere l’unione compiuta da Dio tra un uomo e una donna, i quali anche

se si separano non riacquistano la libertà come non è libera la persona che

sposasse uno dei due separati (cf. Mt 19,1; Mc 10,10-12; Lc 16,18; 1Cor 7,10-11).

La posizione di Gesù è totalmente nuova e dirompente, perché i profeti e i

sapienti auspicano che non vi fosse divorzio, ma non possono evitarlo per la

fragilità umana; mentre Gesù afferma con forza e incidenza che la relazione

uomo-donna si può collocare solo sul piano di Dio che ha un solo disegno su di

essa. L’unione uomo-donna è fragile come «un tesoro in vasi di creta» (cf. 2Cor

4,7) che non può fondarsi solo sulle forze umane, ma ha bisogno di un

supplemento di forza che solo Dio può dare. Il rapporto uomo-donna, cioè, nel

momento in cui si compie, acquista una dimensione soprannaturale perché

assume le stesse caratteristiche dell’alleanza tra Dio e Israele: un’alleanza, un

patto eterni, che nessuno potrà mai spezzare.

L’insegnamento di Gesù è talmente nuovo e scioccante per la mentalità giudaica

del suo tempo che egli stesso si preoccupa non di parlare astrattamente, ma assume

come parametro del suo pensiero situazioni concrete e verifcabili: il caso

di una donna ripudiata e di un uomo che vuole sposarla. Mt 5,32 si distacca dagli

altri sinottici perché solo Mt parla di responsabilità del marito che ripudia la moglie,

esponendola così all’adulterio, nel senso che abbiamo descritto più sopra. Ad

ogni modo, il signifcato è lo stesso: nessun atto di ripudio può annullare l’unione

coniugale. Il testo di Mt, però, pone alcuni problemi perché lui solo, tra gli altri sinottici

e Paolo (cf. anche Mt 19,9) riporta l’inciso «eccetto il caso di unione illegittima

» (gr.: pornèia, fornicazione). Probabilmente, Mt si riferisce a Dt 24,1-4. Il ragionamento

non è immediato e non è semplice, ma possiamo tentare di capirlo:

l’atto di ripudio non è fondato sul diritto perché Dio ha creato la coppia indissolubile,

però la storia insegna che il ripudio avviene e quindi per Mt si colloca sul

piano della prassi, dove si incontrano almeno due eventi che mettono fne ad una

unione indissolubile. Il primo fatto è la morte che scioglie da qualsiasi vincolo; il

secondo fatto è l’adulterio che si può considerare, come abbiamo visto, una morte

spirituale, non meno reale per la coppia che la prima. L’adulterio comporta una

tale macchia che la stessa Legge proibisce di riprendere l'unione, anche dopo il

pentimento, perché la coppia non può esprimere più l’unione sponsale tra Dio e

Israele (cf. Os 2,4; Sir 23,24-27). Da tutto ciò deriva che anche Mosè non ammette

il divorzio sul piano del diritto, ma lo concede su quello della prassi, facendosi

carico della fragilità umana e non abbandonando alcuno a se stesso, nemmeno se

abbia commesso il delitto più atroce. Gesù non contesta la norma di Mosè che

anche per lui resta una legge che riconosce necessaria, perché viene in aiuto alla

durezza del cuore umano, il quale per esprimersi spesso sceglie le situazioni

ambigue, addirittura torbide, spesso condizionato dall’ambiente e dal suo vissuto.

Oggi la psicologia ci aiutano a capire che spesso noi scegliamo o ci comportiamo

in un modo che non vorremmo, ma siamo condizionati dal nostro inconscio.

L’uomo e la donna si separano: è un fatto. Gesù dice: ne prendiamo atto, ma ciò

non intacca minimamente il disegno di Dio, che resta l’indissolubilità. Ai farisei che

si appellano all’autorità di Mosè, Gesù risponde dicendo che Mosè non può

essere superiore a Dio e nemmeno lui può annullare la volontà divina. La realtà,

però, non sempre coincide con il progetto di Dio, perché l’uomo è fnito e il suo

cammino è spesso tortuoso e non lineare: egli ha davanti il progetto di Dio, che

resta una mèta a cui aspira, ma non riesce a realizzarla per la debolezza, per la

fragilità, per le circostanze non sempre imputabili a scelte etiche, come si esprime

con angoscia Paolo (Rm 7,15-23). Sulla bocca di Gesù quindi si tratta di un uomo

che vive una situazione drammatica: subisce la separazione e non vuole

commettere adulterio, ma deve ubbidire alla Legge che gli impone di ripudiare la

moglie; se si risposa, Gesù non lo condanna moralmente, ma non dice che il

nuovo matrimonio abbia validità giuridica: è un fatto che si accetta, senza

condannare chi lo vive.

Cosa si ricava da tutto ciò nel nostro mondo, dove il divorzio è ormai così abituale

ed è entrato nella prassi comune da non essere più un problema se non per

le guerre che comporta la spinosa questione degli alimenti e dei/lle fgli/e? Il divorzio

è una «necessità» del mondo moderno dove le relazioni spesso si subiscono

e non si vivono. Oggi molti non si sposano per amore, ma per paura della solitudine:

più che matrimoni si hanno cooperative o... società per azioni. I condizionamenti

psicologici, sociali ed economici sono tali e tanti in una società complessa

e superfciale che due persone che decidono di stare insieme lo fanno più per

paura del futuro che per un ideale di vita e diventano inevitabilmente fragili e incompiuti.

A ciò si aggiunga il condizionamento dell’ambiente circostante dove

«così fan tutti» e il gioco è fatto. Dall’altra parte la Chiesa è arroccata sui modelli

familiari preindustriali o borghesi e non riesce a dire una parola di sostegno alle

coppie felici e a quelle in diffcoltà: è più facile predicare divieti e condanne che

cercare vie e strumenti nuovi per tempi nuovi con problemi nuovi. Forse la Chiesa,

gestita da uomini che non sanno cosa sia il matrimonio come impegno e responsabilità,

dovrebbe imparare da Gesù che, mentre afferma il progetto di Dio

sul matrimonio, si fa carico anche delle situazioni paradossali del singolo caso e

senza condannarlo lo spinge a cercare lo stesso Dio per potere aiutare le

persone coinvolte a ritrovare se stesse e la profondità della propria interiorità.

IV. La quarta antitesi tratta del giuramento che in se stesso è la prova solenne e

uffciale della menzogna. Se infatti non esistesse la menzogna, non vi sarebbe affatto

bisogno di giurare il vero perché il «sì» sarebbe sempre «sì» e il «no, no» (Mt

5,37). La Toràh ha sempre lottato contro la menzogna fno al punto di arrivare a

legiferare sul giuramento come strumento per fare emergere la verità e bandire

la menzogna (cf. Mt 5,33 con Es 20,7; Nm 20,3). Se però la verità è tutelata dal giuramento

nei tribunali, fuori di questo contesto, nella vita ordinaria, la menzogna

domina perché è senza argine e la verità resta scoperta e senza difesa. Gesù eli -

mina la menzogna in ogni circostanza e non concede eccezioni, per cui crolla il sistema

giudaico del giuramento come garante di verità e testimone di menzogna e

afferma la verità sempre comunque e in ogni circostanza. Nella prospettiva di

Gesù il giuramento è superfluo, anzi inutile perché tutto è trasparente. Ecco perché

ascoltiamo e condividiamo la Parola di Dio: per imparare la conoscenza del

progetto del Regno e il suo linguaggio, che non è solo la verità come metodo di

relazione, ma la persona stessa di Gesù, il solo che ha potuto dire: «Io-Sono la Via,

la Verità e la Vita» (cf. Gv 14,6).

- pro manuscripto -

Le lectio del prete Carmine Miccoli: Matteo 5,13-16 (Domenica VA - 6 febbraio 2011)

Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)


LECTIO DIVINA

“Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini...” (cf. Mt 5,16)

Canto (facoltativo), a scelta della comunità.

Dopo un’opportuna introduzione, si può invocare lo Spirito Santo con il canone Veni Sancte Spiritus o

Vieni, Spirito Creatore (Taizè), o altra preghiera simile, come la seguente.

P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare

la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’

tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella

tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,

contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e

a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnova -

mento dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto

nei secoli dei secoli. A.: Amen.

Canto (facoltativo): Alleluia (Taizè).

L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Matteo (Mt 5,13-16;

trad. CEI 2008; tra [ ] la parte omessa dalla liturgia).

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:] «13 Voi siete il sale della terra; ma se il

sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere

gettato via e calpestato dalla gente. 14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta

una città che sta sopra un monte, 15 né si accende una lampada per metterla

sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.

16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere

buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Segue la meditazione della Parola proposta dalla guida della celebrazione; dopo un momento personale di

silenzio per la lectio, si prosegue con la condivisione comune sulla Parola ascoltata. Al termine, ognuno

dei presenti può proporre un’intenzione di preghiera; ad ognuna, l’assemblea canta o risponde con un’acclamazione.

Si conclude con la preghiera del Padre nostro… [e la benedizione finale].

Note di esegesi per la comprensione del testo

La settimana scorsa abbiamo letto l’introduzione al discorso della montagna in

Mt, le 8(+1) beatitudini che ci hanno presentato il prologo della «Carta Costituzionale

» del Regno. Dei cinque discorsi che Mt fa pronunciare a Gesù, in parallelo

con i cinque libri che la tradizione giudaica attribuisce a Mosè, il primo a buon

diritto può essere considerato fondativo: Mt scrive per gli Ebrei e quindi vuole

presentare Gesù non come un traditore della fede dei Padri, ma addirittura come

il nuovo Mosè, il legislatore dell’alleanza rinnovata.

Gesù «salì sulla montagna» (Mt 5,1) come «Mosè salì verso Dio» che «lo chiamò

dal monte» (Es 19,3)1: dal Sinai scendono i comandamenti consegnati a Mosè che

li porta al popolo; dalla montagna di Gesù scendono le beatitudini annunziate direttamente

al popolo degli emarginati e degli impuri, dei poveri e dei diseredati.

Sul monte Sinai Mosè sale per prendere la Legge di pietra che racchiude in sé le

norme della vita; dalla montagna delle beatitudini, Dio stesso «si pone a sedere»

perché insegna direttamente ai discepoli «che si avvicinano per ascoltarlo». Sul Sinai

Dio dice a Mosè: «Scendi… così dirai agli Israeliti…» (Es 19,21; 20,22); sulla

montagna delle Beatitudini, è Gesù stesso che parla con autorità e dice direttamente:

«Voi siete il sale... voi siete la luce». Non manda più intermediari: ognuno/a

di noi può ascoltarlo dentro il proprio cuore, dentro la propria coscienza. Al Sinai

una massa di schiavi diventa «popolo» attraverso la coscienza di una Legge; al

monte delle beatitudini, una massa di esclusi prende coscienza di essere un popolo

di fgli/e prediletti/e. Dopo le beatitudini e prima di sottolineare le differenze

radicali tra la religione uffciale e il vangelo di Gesù, Mt inserisce le due sentenze

sul sale e sulla luce, prolungata nell’immagine della città posta sul monte. Le due

sentenze sono un miscuglio non ben amalgamato composto da una parte che Mt

riceve dalla tradizione orale e una parte che è opera redazionale dell'autore e

della sua comunità.

Il sale. Questo lòghion (in gr., «detto, sentenza») è tramandato da tutti e tre i

vangeli sinottici, ma con tre signifcati diversi: Mc conserva la forma più antica, di

stampo escatologico: «Ognuno sarà salato col il fuoco [o per il fuoco]» (Mc

9,50), espressione che si trova soltanto in questo vangelo. Lc invece trasforma la

sentenza sul sale in una parabola che sprona chi si impegna nel regno di Dio ad

andare fno in fondo, senza mai perdere la funzione di sale (Lc 14,34-35). L’aspetto

escatologico di Mc e l’impegno coerente fno in fondo di Lc fanno del sale l’immagine

della nuova religiosità predicata da Gesù con le sue esigenze di coerenza, a

differenza della religione dei farisei e degli scribi che è formale ed esteriore perché

ha come obiettivo la soddisfazione degli esseri umani, ma non il rapporto

vero con Dio. Mt sottolinea fortemente questa prospettiva, perché il sale diventa

una specie di allegoria missionaria, in cui rappresenta i discepoli che iniziano l’avventura

del nuovo rabbi: «Voi siete il sale della terra» (Mt 5,13). Questa espressione

che identifca sale e discepoli è propria di Mt, una sua annotazione redazionale

nata alla luce dello sviluppo missionario della Chiesa del sec. I. Essere il sale

della terra signifca avere coscienza di esserne un elemento prezioso e determi-

1 Mt cita alla lettera il testo della LXX: Gesù, come Mosè, anèbe eis to òros (cf. Es 19,3 con

Mt 5,1).

nate, perché senza sale la terra non può vivere, mentre se il sale mantiene la sua

consistenza e la sua identità di sale, anche la terra può vivere e realizzare la sua

storia2. Mt impone quindi un senso anche morale alla funzione del sale: se i discepoli

sono il sale della terra, è necessario che la Chiesa mantenga sempre la sua

consistenza e la sua peculiarità; se perde la fedeltà a se stessa in quanto prolungamento

del suo Signore, essa non solo perde se stessa, ma perde anche il mondo

che resta così senza sapore.

La luce. Il lòghion sulla luce (cf. Mt 5,14-15) invece è stata totalmente rielaborato

da Mt, ma nello stesso senso applicato al sale. In Mc la luce che viene tolta da

sotto il moggio3 è simbolo della parola di Gesù che progressivamente viene rivelata

e capita dai presenti (Mc 4,21-22). Mt riprende il senso di Mc, ma vi aggiunge

di suo una connotazione morale: per fare un parallelismo con il sale, ripete il

tema missionario (Mt 5,14), basandosi su una sentenza del Vangelo apocrifo di

Tommaso, segno di antichità: «C’è luce in un uomo di luce e risplende sul mondo

intero» (n. 24). La sentenza sulla luce è prolungata dall’immagine della città posta

sul monte4 che si conclude con una applicazione etica: la vita del credente deve

essere un segno visibile perché deve manifestare la presenza di Dio nel mondo,

aprendo così alla prospettiva della testimonianza5.

Cosa vuol dire oggi essere sale e luce? Il sale ha diverse proprietà: purifca le ferite,

preserva i cibi dalla corruzione, mantiene il calore e dà sapore. Anticamente,

veniva usato come merce di scambio (da cui il termine «salario» per indicare lo

stipendio) e veniva mangiato nella stipulazione di alleanze. Per essere gradite a

Dio, le vittime dovevano essere cosparse di sale, simbolo di fedeltà (cf. Lv 2,13)6.

2 Al tempo di Gesù il sale era utilizzato nei forni come catalizzatore del calore: dopo circa

un anno veniva buttato via perché ormai inservibile in quanto andavano perdute le capacità

di catalisi. Il sale è l’elemento più prezioso della terra, perché tutto ciò che essa produce

ha sale e sono i sali minerali che nutrono l’umanità; allo stesso modo anche il cristiano

deve produrre frutti di sale (cf. Mc 9,50).

3 Il moggio era un mobiletto, un mastello che poggiava su tre o quattro piedi, per cui

«sotto il moggio» è equivalente a «sotto il letto», come dice espressamente Mc 4,21 (cf.

Lc 8,16; Mt 11,33).

4 Un allusione a questa immagine si ha anche nel Vangelo apocrifo di Tommaso (n. 32):

«Gesù disse, “Una città costruita su un’alta collina e fortifcata non può essere presa, né

nascosta”».

5 Il detto sulla luce posta sul moggio è conosciuto dalla tradizione giudaica, tra la fne del

sec. I e l’inizio del sec II d. C., l'epoca di rav Gamaliele (cf. Talmud B. Shabbàt 116b), dove si

narra una parodia sarcastica di Mt 5,15-16 giocando sulle parole ebraiche: hòmer, «moggio

», e hàmor, «asino» (cf. E. E. URBACH, Les Sages d’Israël, 315-316).

6 Nel cortile delle donne nel tempio di Gerusalemme vi erano quattro stanze, in una delle

quale erano custoditi il vino, l’olio e il sale necessari ai riti sacrifcali. Le altre stanze servi -

vano a conservare la legna per il fuoco, a ricevere i lebbrosi per la dichiarazione di guari -

gione e, nell’ultima, si ricevevano i «nazirei», coloro che facevano voto di non tagliarsi barba

e capelli per un certo periodo.

Quando Gesù sulla croce offre se stesso in nome dell’umanità, dice: «Tutto è

compiuto» (cf. Gv 19,30), nel senso che la sua sofferenza e la sua morte sono

state il sale con cui ha salato l’alleanza nel suo sangue e ha lasciato il sapore nella

storia per sempre. Per questo, oggi possiamo ascoltare questa parola rivolta

direttamente a noi: Voi siete il sale… voi siete la luce. Il discepolo ha la stessa

missione del maestro, vivendo questa sua testimonianza nel servizio all'umanità

intera e nella condivisione profonda con ogni essere vivente di quello che ha

ricevuto, di quanto lo ha costituito come tale. Il cristiano non è il custode della

civiltà occidentale, presunta cristiana; egli è il sale e la luce, ossia elementi

fondamentali che sono compatibili con qualsiasi civiltà e qualsiasi cultura; il

cristiano è, in questo senso, il fglio dell’Uomo, le cui radici sono in cielo e i cui

rami ramifcano su tutta la terra.

Un'ultima notazione (che riprende anche il brano delle “beatitudini”): il vangelo

non dice: «Voi sarete», come auspicio futuro, ma «Voi siete», al presente indicativo,

con valore permanente: siete adesso, ora, qui e lo siete per vocazione, per natura

e per grazia perché il vostro «essere sale e luce» è uno stato permanente,

una condizione essenziale della fede che diventa fondamento della vita nuova. In

forza della chiamata e del battesimo, il credente riceve il ministero della testimonianza

che nella storia si fa profezia e condivisione, che diventa visione politica ed

economica, che costruisce un progetto di società nella decisione di stare sempre

dalla parte degli ultimi, dei piccoli, dei poveri, degli oppressi, che sono al centro

del cuore di Dio. In una parola, «voi siete il sale… siete la luce» signifca che noi

siamo responsabili della credibilità di Dio, il quale parla attraverso le nostre scelte,

i nostri gesti, le nostre politiche, i nostri volti, le nostre parole. Se, però, siamo

scipìti, per aver preso il gusto della mondanità vuota e infame del potere, a null’altro

serviamo che ad essere buttati fuori, tra gli avanzi superfui, come lo stesso

Matteo ci ricorda nell'ultimo grande discorso che Gesù fa nel suo vangelo (cf.

25,31-46).

- pro manuscripto -

mercoledì 9 febbraio 2011

11 febbraio 2011: Giornata del Malato

Luce e Sale del mondo


EDUCARE ALLA VITA NELLA FRAGILITÀ“
2011-2013: PRIMA DI TUTTO… LA VITA!

GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
“Dalle sue piaghe siamo sati guariti” (1Pietro 2,24)


L’esperienza umana della sofferenza non sempre conduce a riconciliarsi con il Creatore, con Colui che è la fonte della vita. Anzi, nelle persone colpite dalla malattia sorge una naturale domanda, spesso unita a un senso di ribellione, che può tramutarsi in una sorta di implorazione: “Perché? Perché devo soffrire?”. A quell’implorazione fa eco il grido del Cristo sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Sal 22,2; Mc 15, 34; Mt 27, 46).

Il Cristo ha raccolto, in quel grido, il dolore dell’umanità di ogni tempo e lo ha presentato al Padre. Le piaghe di Cristo racchiudono in sé tutta la fragilità dell’umano. Non dobbiamo però dimenticare che esse non sono un esercizio di dolorismo “eroico”, né sono fini a se stesse. Nel mistero pasquale del Cristo, il male non ha l’ultima parola e la sofferenza accettata e offerta per amore diventa forma di guarigione e di salvezza.

Il dramma del Venerdì Santo procede verso la luce della Domenica di Risurrezione.

Molto opportunamente, il tema scelto dal Santo Padre per la XIX Giornata Mondiale del Malato ci provoca a guardare in questa direzione, senza timori reverenziali verso i linguaggi e le prassi dell’utilitarismo e dell’edonismo contemporaneo.

Il cristiano è chiamato ad esercitare il suo spirito di profezia proprio laddove l’umano è in scacco ed è tentato di ripiegarsi nell’egoismo o di cedere alla sfiducia.

Per esercitare questo spirito di profezia siamo chiamati a convertire il nostro sguardo, contemplando il Cristo crocifisso e risorto, potenza dell’amore del Padre.

Il Battesimo, che ci immerge nel cuore del mistero pasquale, è la vita divina che ci è donata e ci rende capaci di profezia e di diventare, in unione con Cristo, co-redentori dell’esperienza della sofferenza. La grazia del Battesimo e degli altri Sacramenti e una vera contemplazione orante del mistero pasquale, pertanto, lavorano nel trasformare la nostra vita in dono per gli altri e in quella “nuova umanità” che è la pietra viva per la costruzione del Regno.

Lo sguardo d’amore di chi accompagna i poveri, i sofferenti, gli emarginati, annuncia la venuta del Regno e, nello stesso tempo, lo rende presente. Nello sguardo di coloro che si fanno carico di chi soffre, di chi vive le proprie sofferenze in unione con Cristo o di chi muore nella fiducia e nel totale abbandono all’amore del Padre, riverbera una luce speciale, come da una finestra aperta sul mistero di Dio.

I vescovi italiani

Una comunità che celebra: La liturgia domenicale della V Domenica Anno A: 6 febbraio 2011

GESU’ CROCIFISSO, CI ILLUMINA E CI FA LUCE

PREGHIERA PENITENZIALE

Signore Gesù, luce che vinci le nostre tenebre, illuminaci
con la tua misericordia. Signore, pietà!

Crocifisso Risorto, cura le nostre ferite con la potenza d’amore del tuo Spirito.
Cristo, pietà!
Divino maestro, ridona sapore con la tua Parola alla nostra esistenza insipida.
Signore, pietà!

INNO DI LODE: Gloria a Dio…
PREGHIERA DELL’ASSEMBLEA - COLLETTA

+ O Padre, il tuo Figlio crocifisso è umanamente una follia e ci manifesta quanto è distante la tua sapienza dalla logica umana. Donaci la mentalità del Vangelo, perché ardenti nella fede e instancabili nella carità diventiamo luce e sale della terra. Per il nostro Signore Gesù Cristo… Amen!

LITURGIA DELLA PAROLA

Dal libro del profeta Isaìa 58,7-10

Così dice il Signore:
[Il digiuno che voglio] Non consiste forse
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri,
senza tetto, nel vestire uno che vedi
nudo, senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: Eccomi!.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».

Parola di Dio!

Salmo responsoriale - 111
R./ Christe, lux mundi, qui sequitur te habebit lumen vitae, lumen vitae.



1. Beato chi ama il Signore:
brilla nelle tenebre ed è luce per i credenti.
misericordioso, compassionevole e giusto.
Felice l’uomo compassionevole che condivide i suoi beni con giustizia.

2. Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, si appoggia al Signore.

3. Sicuro è il suo cuore, non teme,
condivide l’abbondanza con i poveri,
le sue giuste azioni rimangono per sempre,
Dio lo benedice con la sua presenza.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 2,1-5
Io, fratelli e sorelle, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero salvifico di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione.
La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

Parola di Dio!
Alleluja, alleluja!
Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me, avrà la luce della vita. Alleluja!

+ Dal vangelo secondo Matteo 5,13-16

In quel tempo. Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il secchio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.

Così risplenda la vostra luce davanti alla gente, perché veda le vostre opere buone e riconosca che Dio è vostro Padre». Parola del Signore!

PROFESSIONE DI FEDE-SIMBOLO DEGLI APOSTOLI

Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen!

LA PAROLA SI FA PREGHIERA
+ Fratelli e sorelle, solo Cristo può illuminare la nostra esistenza e dare gusto alle nostre attività. Chiediamo a Lui una fede viva e una carità operosa:
R./ Illuminaci con la tua Parola!


1. La Chiesa sia sempre la casa aperta a tutti dove si spezza il pane per i poveri, preghiamo.
2. Chi ha responsabilità politica senta l’urgenza dei diritti civili e di una vera libertà democratica, preghiamo.

3. I credenti in Gesù siano testimoni della potenza del suo amore manifestato nello scandalo della croce, preghiamo.

4. Sia la sapienza del Vangelo ad illuminare le nostre scelte e a dare sapore ai nostri comportamenti, preghiamo.

5. Perché sentiamo la necessità di dare agli altri la luce che Gesù ci dona e di condividerla con loro, preghiamo.

6. Perché la nostra comunità parrocchiale si impegni a fondo nella formazione degli adulti e dei più giovani, per essere tutti insieme “luce e sale del mondo”, preghiamo

7. Perché dall’eucaristia che stiamo celebrando prendiamo forza per “educare alla pienezza della vita”, preghiamo.

DALLA PAROLA ALL’EUCARISTIA
+ Ti ringraziamo, Padre: il tuo Figlio Gesù fa di noi “luce e sale del mondo”. Coscienti di questa responsabilità abbiamo fiducia solo nel tuo Spirito. Tu ci nutri con il pane e il vino che ti presentiamo per il corpo e sangue di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen!

LITURGIA EUCARISTICA

PREGHIERA EUCARISTICA - Acclamazioni

+ Prendete, e mangiate… e bevetene tutti…

- E’ il Signore Gesù, si offre per noi!

+ Prendete e bevetene tutti… memoria di me.

- E’ il Signore Gesù, si offre per noi!

+ Mistero della fede!

- Annunziamo la tua morte, Signore...
+ Celebrando… come popolo sacerdotale.

- Noi ti ringraziamo, o Padre!

+ Ti preghiamo… un solo corpo.

- Un cuor solo, un’anima sola per la tua gloria, o Padre!

+ Ricordati… popolo cristiano.

- Un cuor solo, un’anima sola per la tua gloria, o Padre!

+ Ricordati… la luce del tuo volto.

- Ricordati, o Padre!
+ ...canteremo la tua gloria:

- Per Cristo, con Cristo, in Cristo… Amen!

ALLA COMUNIONE:
“Risplenda la vostra luce davanti a tutti - dice il Signore -
perché vedano le vostre opere buone
e ringrazino il Padre vostro”.

Agrnda settimanale: 7 - 13 febbraio 2011

AGENDA SETTIMANALE

7 - 13 FEBBRAIO 2011

* * *

Lunedì 7, ore 21.00: Messa in Paglieroni

Martedì 8, ore 18.30: Messa in S. Giorgio

ore 10.00: Incontro preti di zona con il Vescovo

ore 21.00: Preparazione al Matrimonio/6

Mercoledì 9

ore 21.00: Condividiamo la Parola



Giovedì 10, ore 18.30: Messa in chiesa p.



Venerdì 11

GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

“EDUCARE ALLA VITA NELLA FRAGILITÀ“

2011-2013: PRIMA DI TUTTO… LA VITA!

“Dalle sue piaghe siamo sati guariti” (1Pt 2,24)

ore 19.00: Incontro Genitori Medie



Sabato 12

VI DOMENICA DEL T.O. ANNO A

ore 18.30: Messa in chiesa p.le



DOMENICA 13

ore 9.00: Messa in S. Giorgio

ore 11.00: Messa in chiesa p.le

Approfondiamo la Parola domenicale: Domenica V dell'Anno A - 6 febbraio 2011

PAROLA CHE SI FA VITA

Letture bibliche a commento della Parola
domenicale. Meditandola e pregandola,
cogliamo il suo attuale avvenimento
nella nostra esistenza.
I brani proposti
ci aiutano a comprenderla
alla luce di tutta la storia della salvezza:

2Corinzi 9,8-15 Sarete ricchi dei doni di Dio per la vostra generosità.

Isaìa 43,10-21; 44,6-8 Voi siete i miei testimoni.

Filippesi 2,12-16 Risplendete come fari di luce nel mondo.

Tobia 4,5-11. 14-16  Da’ il tuo pane all’affamato e vesti chi è nudo.

Efesini 5,1-2. 8-21 Vivete come “figli della luce”.

Per la preghiera con i Salmi

36 - Confida nel Signore: compirà la sua opera.

95 - A tutti annunziate la sua presenza.

100 - Amore e giustizia voglio cantare...

Giornata a favore e a difesa della vita: 6 febbraio 2011 - “Educare alla pienezza della vita".

Luce e Sale del mondo


“Educare alla pienezza della vita”



L’educazione è la sfida e il compito urgente a cui tutti siamo chiamati,

ciascuno secondo il ruolo proprio....

Auspichiamo e vogliamo impegnarci per educare alla pienezza della vita, sostenendo e facendo crescere, a partire dalle nuove generazioni, una cultura della vita che la accolga e la custodisca dal concepimento al suo termine naturale e che la favorisca sempre, anche quando è debole e bisognosa di aiuto.

«Alla radice della crisi dell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita». (Benedetto XVI)

Con preoccupante frequenza, la cronaca riferisce episodi di efferata violenza: creature a cui è impedito di nascere, esistenze brutalmente spezzate, anziani abbandonati, vittime di incidenti sulla strada e sul lavoro. Cogliamo in questo il segno di un’estenuazione della cultura della vita, l’unica capace di educare al rispetto e alla cura di essa in ogni stagione e particolarmente nelle sue espressioni più fragili. Il fattore più inquietante è l’assuefazione: tutto pare ormai normale e lascia intravedere un’umanità sorda al grido di chi non può difendersi. «Smarrito il senso di Dio, l’uomo smarrisce se stesso». (GS 36)

Occorre perciò una svolta culturale, propiziata dai numerosi e confortanti segnali di speranza, germi di un’autentica civiltà dell’amore, presenti nella Chiesa e nella società italiana. Tanti uomini e donne di buona volontà, giovani, laici, sacerdoti e persone consacrate, sono fortemente impegnati a difendere e promuovere la vita. Grazie a loro anche quest’anno molte donne, seppur in condizioni disagiate, saranno messe in condizione di accogliere la vita che nasce, sconfiggendo la tentazione dell’aborto.

Vogliamo di cuore ringraziare le famiglie, le parrocchie, gli istituti religiosi, i consultori d’ispirazione cristiana e tutte le associazioni che giorno dopo giorno si adoperano per sostenere la vita nascente, tendendo la mano a chi è in difficoltà e da solo non riuscirebbe a fare fronte agli impegni che essa comporta. Quest’azione di sostegno verso la vita che nasce, per essere davvero feconda, esige un contesto ecclesiale propizio, come pure interventi sociali e legislativi mirati.

Occorre diffondere un nuovo umanesimo, educando ogni persona di buona volontà, e in particolare le giovani generazioni, a guardare alla vita come al dono più alto che Dio ha fatto all’umanità. «L’uomo – afferma Benedetto XVI – è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Il desiderio della vita più grande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua “impronta”. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioia e alla pace».È proprio la bellezza e la forza dell’amore a dare pienezza di senso alla vita e a tradursi in spirito di sacrificio, dedizione generosa e accompagnamento assiduo. Pensiamo con riconoscenza alle tante famiglie che accudiscono nelle loro case i familiari anziani e agli sposi che, talvolta anche in ristrettezze economiche, accolgono con slancio nuove creature.

Guardiamo con affetto ai genitori che, con grande pazienza, accompagnano i figli adolescenti nella crescita umana e spirituale e li orientano con profonda tenerezza verso ciò che è giusto e buono. Ci piace sottolineare il contributo di quei nonni che, con abnegazione, si affiancano alle nuove generazioni educandole alla sapienza e aiutandole a discernere, alla luce della loro esperienza, ciò che conta davvero.

Oltre le mura della propria casa, molti giovani incontrano autentici maestri di vita: sono i preti che si spendono per le comunità loro affidate, esprimendo la paternità di Dio verso i piccoli e i poveri; sono gli insegnanti che, con passione e competenza, introducono al mistero della vita, facendo della scuola un’esperienza generativa e un luogo di vera educazione. Anche a loro diciamo grazie.

Ogni ambiente umano, animato da un’adeguata azione educativa, può divenire fecondo e far rifiorire la vita. È necessario, però, che l’anelito alla fraternità, posto nel profondo del cuore di ogni uomo, sia illuminato dalla consapevolezza della figliolanza e dalla gratitudine per un dono così grande, dando ali al desiderio di pienezza di senso dell’esistenza umana. Il nostro stile di vita, contraddistinto dall’impegno per il dono di sé, diventa così un inno di lode e ci rende seminatori di speranza in questi tempi difficili ed entusiasmanti.

I vescovi italiani