“Io e il Padre siamo una cosa sola” (cf. Gv 10,30)
P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascolta -
re la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’
tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella
tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,
contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e
a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnovamento
dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio bene -
detto nei secoli dei secoli. A.: Amen.
L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Giovanni: 10, [22]27-30; trad. CEI 2008; tra [ ] le parti omesse dalla liturgia).
[22 Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 22 Gesù
camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24 Allora i Giudei gli si fecero attorno
e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a
noi apertamente».] 25 Gesù rispose [loro: «Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io
compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26 Ma voi non
credete perché non fate parte delle mie pecore.] 27 Le mie pecore ascoltano la mia
voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno
perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha
date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre
siamo una cosa sola».
Note di esegesi per la comprensione del testo
Il brano del vangelo è la conclusione della prima parte del capitolo 10 di Gv, che
si compone di 42 versetti distribuiti in due parti: una parte relativa al pastore e
alle pecore (10,1-30) e una diatriba tra Gesù e i Giudei (10,31-42). Ora esaminiamo
solo la prima parte, per contestualizzare il brano ascoltato; essa si divide a
sua volta in tre unità letterarie:
a. (Gv 10,1-6) due parabole: la porta e il pastore (contrapposto ai ladri di pecore);
b. (Gv 10,7-21) sviluppo dei due temi precedenti;
c. (Gv 10,22-30): domanda sulla personalità di Gesù e risposta sulla fede.
Il brano è quindi ritagliato, in maniera maldestra, dalla terza unità di questa sezione.
Per cogliere il signifcato del discorso parabolico su cui Gv imposta il discorso
di Gesù e la sua rivelazione di comunione col Padre, bisogna cogliere il retroterra
biblico dell'immagine del “pastore”. Il primo riferimento d’obbligo è Ger 23,1-8
che è un’invettiva contro i pastori che disperdono le pecore e se ne sono disinteressati.
Gesù viene per sostituirsi ad essi e per raccogliere tutte le pecore perché
nessuna vada perduta. Il Targum dello stesso testo sostituisce la parola «gregge»
con «popolo» e il termine «pastore» con «capi», facendo così una applicazione
attualizzata1, sul modello di quella che fa anche Gesù. La stessa tecnica avviene
per Ez 34 che sviluppa il tema dell’opposizione tra Dio-pastore e i cattivi pastori.
Gv 10 riprende il vocabolario di Ez 34 nella versione della LXX, specialmente per
quanto riguarda i verbi e i sostantivi usati. Il Targum, rileggendo Ez 34, traduce
pastore con capo (cf. 34,23); principe con re (cf. 34,24); colle con tempio (cf. 34,26),
che diventerà così il nuovo ovile del raduno universale (cf. Targum Is 53,8; Mi 2,12-
13; 5,1-3); infne, traduce gregge con popolo (cf. 34,31), che è la casa d’Israele nel
suo rapporto di amore e santità con Dio (cf. la formula sponsale: voi mio popolo, io
vostro Dio). In Ez 34,24, sempre secondo il Targum, il nuovo capo di questo popolo
universale sarà un re messianico, secondo il volere di Dio stesso e della sua Parola.
L’ecumenismo e l’unità non possono essere strumentali o scelte pastorali, ma
conseguenza logica di un’autentica conversione al cuore di Dio che ha in se stesso
le ragione del raduno universale. Ecco di seguito lo schema che riporta il profeta
Ezechiele e il Targum:
Ez 34,23 Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide.
Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore.
Targum Susciterò per loro un capo che le pascerà, Davide, mio servo, le
pascerà e sarà loro capo.
Ez 34,24 Io, il Signore, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe
(eb.: nassî, “principe”; gr.: àrchon, “capo, condottiero”).
Targum Io, il Signore, sarò loro Dio e il mio servo Davide sarà re (malka’)
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1 Allo stesso modo, ad esempio, fa del termine «germoglio di Davide» in Ger 23,5, cui attribuisce
un valore messianico, da cui dipende la lettura neotestamentaria.
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in mezzo a loro. Io, YHWH, l’ho deciso per la mia Memrà [=Parola,
uno dei Nomi di Dio].
Ez 34,26 Farò di loro e delle regioni attorno al mio colle (eb.: gib‘atî, “colle,
collina”; gr.: “monte, colle”) una benedizione: manderò la pioggia a
tempo opportuno e sarà pioggia di benedizione.
Targum Io li stabilirò attorno al mio tempio e saranno benedetti e io
manderò loro la pioggia di primavera a suo tempo. Saranno piogge
di benedizione.
Ez 34,31 Voi, mie pecore, siete il gregge del mio pascolo e io sono il vostro
Dio: Oracolo del Signore Dio.
Targum Voi, mio popolo, il popolo sul quale il mio Nome è stato invocato,
siete la casa d’Israele e io sono il vostro Dio. Oracolo del Signore.
Per l’apocrifo Libro di Enoch, risalente al II-I sec. a.C., il pastore del gregge prepara
un nuovo Tempio in sostituzione di quello che era stato distrutto (cf. 90,28-36).
Allo stesso modo anche l’Apocalisse, che viene scritta alla fne del I sec. d.C., sostituisce
la Gerusalemme distrutta con una nuova Gerusalemme che discende dal
cielo, da Dio (cf. Ap 21,2). Ancora, il Sal 118[117],20 è reso dal Targum: «Questa è
la porta del tempio di YHWH, i giusti vi entreranno»; anche l’invito di Zc 11,1
verrà, dai rabbini di Yavne (Talmud B. Yoma 39b), applicato al Tempio. Alla fne del I
secolo, quando viene redatto il IV Vangelo, anche la comunità cristiana giovannea
s’inserisce in questa tradizione interpretativa pluralista e applica sia il tema del
pastore che quello del tempio al corpo di Gesù, cioè alla sua umanità (cf. Gv 2,19-
21).
Tutto questo che senso ha per noi oggi? Anche oggi si pone per noi la domanda
(cf. Mt 16,15): Chi è Gesù per noi, per me? Tante sono le opinioni, ognuna proporzionate
inversamente all’ignoranza che si ha delle Scritture e dell'esperienza
di fede che si ha in Lui. Questa domanda, paradossalmente, va fatta soprattutto
nelle Chiese, diventate luoghi dove Gesù diffcilmente può abitare perché cadute
nel torpore, nella paura e nell’alienazione. Dalla risposta dipende la nostra vita e
quella del mondo. Se Gesù è un santone, si capisce bene che non ha alcuna infuenza
sulle scelte economiche che determino i destini dell’umanità e su quelle
politiche gestite per interesse personale in sfregio al bene comune. Quando questa
economia e questa politica sono appoggiate direttamente dalla gerarchia e da
larga parte del mondo cattolico, signifca che la degenerazione morale è arrivata a
profondità inverosimili e si è smarrita la bussola del Vangelo, messo da parte a
vantaggio del potere dei più forti, applicato magari “in nome di Dio”. Se Gesù è
Dio, come ci dice di essere, e le sue parole sono credibili, allora non esistono
scelte economiche o politiche indifferenti: le Beatitudini e il “Padre nostro” sono
Parola viva di Dio che fa la differenza, radicale e incolmabile, e che ci chiede di
stare dalla parte dei poveri, degli oppressi e dei crocifssi della storia; le scelte che
determinano la sopravvivenza della maggior parte dell’umanità diventano scelte
che coinvolgono anche Dio: le cose che facciamo ogni giorno, le singole parole
che pronunciamo, le relazioni che intratteniamo, le omissioni che viviamo, tutto
entra a fare parte del mondo di Dio, chiamandolo in causa e rendendoci
responsabili verso di lui.
Chi è Gesù per me? Che senso hanno i verbi del vangelo di oggi ascoltare, conoscere,
seguire (cf. Gv 10,27)? Essi presuppongono una relazione di vita, intima e
coinvolgente: si ascolta un maestro, si conosce un amico, si segue un testimone
credibile. Gesù stesso con questi verbi c’invita a lasciare agli speculatori il campo
delle spiegazioni e, al contrario, a scendere al livello della vita che si respira nella
fatica quotidiana. Ascoltare è l’arte più diffcile, perché presuppone che l’ascoltante
si metta dalla parte dell’altro, lo scelga come importante per sé e si lasci trafggere
dalle parole pronunciate. Conoscere presuppone una relazione affettiva che si
basa sul dono di sé all’altro perché l’altro ne disponga in modo libero e sovrano.
Seguire presuppone una scelta di vita e la decisione di muoversi dietro qualcuno
per cui vale la pena mettere in gioco la stessa vita.
Di fronte alla rivelazione della divinità di Gesù, si può essere credenti o increduli,
coinvolti oppure estranei. La religiosità di oggi, quella che alcuni ambienti tradizionalisti
della Chiesa vogliono ripristinare e rafforzare, è piena di superstizioni e
convinzioni che per un verso permettono di controllare l’appartenenza alla religione
come sistema di controllo psicologico e sociale, per l’altro nascondono il
volto di Dio manifestato in Gesù, il Cristo, ridotto a puro ornamento murale, a
simbolo di civiltà, a mero accessorio buono da portare in processione, ma insignifcante
per la vita quotidiana, dove solo il sale della fede può dare sapore. Rispondere
alla domanda del IV vangelo è il senso della vita intera ed è anche lo scopo
per cui partecipiamo all'ascolto della Parola, alla celebrazione dell’Eucaristia, alla
vita comune della Chiesa, come scuola in cui vivere nella conoscenza amorevole
di Gesù, esegeta del Padre (cf. Gv 1,18).
- pro manuscripto -
venerdì 23 aprile 2010
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