“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”
(cf. Lc 9,23)
P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascolta -
re la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’
tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella
tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,
contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e
a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnovamento
dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio bene -
detto nei secoli dei secoli. A.: Amen.
L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Luca (Lc 9,18-24[27];
trad. CEI 2008; tra [ ] le parti omesse dalla liturgia).
18 Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui
ed egli pose loro questa domanda: “Le folle, chi dicono che io sia?”. 19 Essi risposero:
“Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto”.
20 Allora domandò loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro rispose: “Il Cristo di
Dio”. 21 Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. 22 “Il Figlio dell’uomo
- disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e
dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. 23 Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno
vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e
mi segua. 24 Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita
per causa mia, la salverà. [25 Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero,
ma perde o rovina se stesso? 26 Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio
dell'uomo quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi. 27 In verità io vi dico: vi
sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio.]”.
Segue la meditazione della Parola proposta dalla guida della celebrazione; dopo un momento personale di
silenzio per la lectio, si prosegue con la condivisione comune sulla Parola ascoltata. Al termine, ognuno
dei presenti può proporre un’intenzione di preghiera; ad ognuna, l’assemblea canta o risponde con un’acclama -
zione. Si conclude con la preghiera del Padre nostro… [e la benedizione finale].
Note di esegesi per la comprensione del testo
Il brano di oggi riporta quella che viene comunemente detta «confessione di Cesarea
»1, presente in tutti e tre i vangeli sinottici (cf. Mt 16,13-20.(+21-23); Mc
8,27-30(+31-33); Lc 9,18-24). In tutti e tre i racconti, la professione di Cesarea è
sempre legata all’annuncio della passione (cf. Lc 9,22) e alla descrizione delle condizioni
per seguire Gesù (cf. Lc 9,23-26). Forse la collocazione più logica e storicamente
plausibile è quella di Mt che pone la «confessione di Pietro» all’inizio del
quarto discorso, il «discorso missionario» (Mt 18,1-22), mentre le altre due situazioni,
l’annuncio della passione e le condizioni per seguire Gesù, erano poste all’inizio
del racconto della passione del Signore (Mt 26,1-27,61)2.
I tre racconti riportano una cristologia «in crescendo», visibile nella risposta di
Pietro alla domanda di Gesù: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Lc 9,20). Le risposte di
Pietro sono: 1. Mc 8,29: «Tu sei il Cristo»; 2. Lc 9,20: «[Tu sei] il Cristo di Dio»; 3.
Mt 16,16: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». In Mc si ha una teologia ancora
ai primordi, perché l’identifcazione di Gesù è solo sul piano messianico;
quella di Lc è una teologia più elevata perché fa di Gesù non solo il Messia, ma lo
pone sul versante divino («di Dio»); la terza, quella di Mt, è una teologia già
espressione di una chiesa ormai assestata, che rifette sull’identità di Gesù oltre il
messianismo, identifcandolo con «il Figlio del Dio vivente» che diventa così la ri-
1 Due città portano il nome «Cesarea»: una, Cesarea Marittima, si trova sulle rive del
mare Mediterraneo e fu costruita da Erode il Grande (73-4 a.C.) in onore di Cesare Augusto
(63 a.C.–14 d.C.). Essa fu la capitale della provincia romana di Giudea e Samarìa (At
12,19; 23,33; 25,1-6.13). Vi risiedeva uffcialmente il governatore romano, che andava a
Gerusalemme solo se necessario e in occasione delle feste importanti, in modo particolare
per la Pasqua: in questo caso aveva dimora nella fortezza Antonia sulla spianata nord
del Tempio, nell’attuale II stazione della Via crucis presso lo Studium Biblicum Franciscanum.
A Cesarèa Marittima, Pietro aprì il cristianesimo ai Pagani nella casa di Cornelio, liberandolo
dal particolarismo giudaico (cf. At 10). L’altra, cui si riferisce il vangelo di oggi, è Cesarea
di Filippo, situata a nord della Galilea, nelle odierne alture del Gòlan, l’antica Iturèa, a
150 km da Gerusalemme e a 55 km da Damasco. Qui vicino sgorgano le sorgenti del
Giordano, dedicate dai pagani al dio Pan che vi era venerato (per questo oggi il luogo si
chiama Bánias). Nel 200 a.C., Antioco III il Grande (223-187 a.C.) l’annesse al regno greco
selèucida che governava la Palestina. Erode il Grande, nel 20 a.C., vi eresse un tempio in
onore di Cesare; la costruzione della città si deve però al fglio, Filippo il tetrarca, prozio
di Salòme, fglia di sua Erodiade, quella che lo abbandonò per sposare il cognato Erode
Antìpa e che pretese la morte di Giovanni il Battista (cf. Mc 6,17-29).
2 B. Willaert, «La connexion littéraire entre la première prédication de la passion et la
confession de Pierre chez les synoptiques», in Ephemerides Theologicae Lovanienses 1956,
24-45.
sposta anticipata alla domanda cruciale del sommo sacerdote che interroga Gesù
(Mt 26,63), non lasciandoci scampo quanto agli eventi: Gesù fu condannato a
morte per motivi prima religiosi, poi politici.
Tra le tre, la versione di Lc è singolare, poiché la preoccupazione dell’autore è di
concretare l’attenzione sua e dei suoi lettori sul viaggio di Gesù a Gerusalemme
(cf. Lc 9,51-18,14), organizzando attorno a questo schema letterario fatti e insegnamenti,
avulsi così dal loro contesto storico più credibile. Ne consegue che il
capitolo 9 di Luca diventa una raccolta di materiale diversifcato, un centone di
notizie e temi che l’evangelista riceve dalle fonti: da una parte non può tacerle e
dall’altra non sa come incastrarle nel suo schema, per cui fniscono qui a formare
quasi una cerniera di passaggio tra la prima parte del vangelo e la seconda che
comincia con il solenne inizio del viaggio: «Mentre stavano compiendosi i giorni in
cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino
verso Gerusalemme» (Lc 9,51)3. In questo modo Lc si risparmia di parlare
della vocazione di Pietro (cf. Mt 16,17-19), della sua mancanza di fede e della relativa
risposta di Gesù (cf. Mt 16,22-23); allo stesso modo omette le indicazioni
geografche poco assimilabili nel suo schema letterario di viaggio. Egli concentra
la sua attenzione sulla sofferenza messianica di Gesù, per cui la professione di
fede di Pietro, che in Mc è il fulcro del vangelo perché forma lo spartiacque tra la
prima e la seconda parte, e che in Mt ha rilievo importante per la sua portata
teologica, in Lc è un semplice ricordo di una tradizione che egli ha ricevuto e
conserva nei suoi dati essenziali. Nonostante questa povertà propria, il racconto
di Lc ha una sua dignità e deve essere letto e collocato nel contesto del suo vangelo,
se vogliamo coglierne il senso.
Da un punto di vista della formazione del testo, possiamo rilevare che in un primo
momento Gesù intende ottenere dai suoi discepoli una affermazione sulla
sua messianicità che per altro gli apostoli, attraverso Pietro, gli riconoscono perché
scartano tutte le altre opinioni correnti (cf. Lc 9,19). Gesù sa che questo riconoscimento
è ambiguo, perché comporta l’attesa di un messia violento e restauratore
di un regno con confni ben delineati in contrapposizione con gli altri regni
e le altre nazioni. Al tempo di Gesù, era forte l’idea che il Messia sarebbe venuto
a mettersi alla testa di un popolo insorto per liberare la Palestina dai Romani e
qualche gruppo, come gli zeloti, si preparava con le armi all’insurrezione. Gesù è
cosciente di questo e impone il silenzio e pone la sua messianicità in un contesto
di sofferenza fno alla morte, morte che però non sarà l’ultima parola perché sfocerà
nella risurrezione (cf. Lc 9,22).
C’è un indizio di non poco conto che ci apre una prospettiva nella coscienza di
Gesù e ci aiuta a capire come egli sia arrivato a formarsi la convinzione che la sua
messianicità sarebbe di fatto fallita perché avrebbe intercettato «prima» la soffe-
3 «Prese la ferma decisione: il testo greco dice alla lettera “indurì il suo volto”, espressione
che nei profeti indica l’attitudine ad affrontare con coraggio gli avversari, a motivo della
parola di Dio» (cf. Bibbia, trad. Cei 2008, nota a.l.).
renza e la morte. È un momento drammatico della vita di Gesù: «Un giorno Gesù
si trovava in un luogo solitario (letteralmente, “si trovava da solo”) a pregare. I discepoli
erano con lui» (Lc 9,18)4. Non è una annotazione di transizione, ma è una
prospettiva teologica: Gesù prende coscienza della sua missione e delle scelte
della sua vita nella preghiera, che diventa così il luogo del suo rapporto col Padre,
perché pregare è capire quale deve essere la direzione della vita verifcata alla
luce della Parola. La preghiera non è solo uno atteggiamento o una scansione del
tempo, ma un vero e proprio stato esistenziale indirizzato al senso della vita.
Gesù ha un obiettivo: compiere la volontà del Padre; egli sa che questa volontà è
un progetto di salvezza per tutta l’umanità e per ciascun essere umano. Spesso si
pensa che Gesù, essendo Dio, sappia sempre quello che deve essere e fare: se è
Dio, si dice, sa tutto e quindi va sul sicuro... come un indovino! Non è così, perché
Gesù è profondamente e realmente uomo e come ogni persona umana scopre
il senso della vita vivendo la fatica della ricerca di senso. Se sapesse tutto prima,
non sarebbe vero uomo e la sua incarnazione mostrerebbe un inganno. Se
così non fosse, non avrebbe senso che Gesù preghi. Nei vangeli troviamo molto
spesso Gesù in preghiera, poiché è una costante della sua vita terrena, perché anch'egli
come ciascuno di noi «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e
agli uomini» (Lc 2,52). Lc è un autore attento perché ogni volta che Gesù deve
prendere una decisione importante o si trova ad una svolta della sua vita, lo descrive
sempre in preghiera. Spesso Gesù sceglie luoghi solitari perché c’è bisogno
di creare le condizioni adeguate per sapere scendere nel profondo della proprio
coscienza: il silenzio che è la condizione previa per non ingannarsi e non essere
ingannati, perché denuda il cuore e svela le ragioni delle scelte. In questa ricerca
di senso della propria vita, Gesù prega per la realizzazione della sua missione, e lo
fa di fronte ai suoi discepoli perché anch'essi condividano e accrescano lo sguardo
della loro fede per riconoscere qual è la vera proposta messianica del Padre.
La preghiera di Gesù non ha uno scopo morale, anche se egli offre lo stile e le
condizioni delle preghiera: Gesù prega per chiarire a se stesso ciò che deve fare e
quali scelte deve compiere e quindi invita gli apostoli perché la loro Chiesa dovrà
pregare «ininterrottamente» (1Ts 5,18; cf. Ef 6,18; Lc 22,46) per verifcare il suoi
cammino e la sua coerenza nella fedeltà al Vangelo. La Chiesa deve testimoniare al
mondo quali sono le ragioni che reggono le scelte di Gesù e quindi devono sperimentare
quello che dicono. Ognuno, infatti, può testimoniare solo e soltanto ciò
che ha sperimentato. Da un lato Gesù conosce le aspettative del suo popolo che
attende un Messia della forza e della impietosa violenza che dovrebbe opporsi al
potere di occupazione dei Romani, radunare Israele e andare alla riscossa della li-
4 Il vangelo di Lc riporta, più degli altri, molti riferimenti alla preghiera di Gesù, tanto che,
isolando i singoli passi e mettendoli insieme, si potrebbe ricavare un autentico «vangelo
della preghiera»: ad es., Lc 3,21 (battesimo); Lc 5,16; 9,18; 11,1 (luoghi isolati); Lc 6,12
(notte in preghiera); Lc 9,28.29 (trasfgurazione); Lc 22,31.32 (prega su Pietro); Lc
22,41.44.45 (Getsèmani).
bertà e all’instaurazione del regno di Davide, lasciando dietro di sé una scìa di
sangue e di morte. Gesù non vuole essere un Messia di violenza e non vuole
esaurire la sua azione in una dimensione esclusivamente politica perché non è venuto
per prendersi una rivincita sugli esseri umani, come dimostra il suo atteggiamento
nei confronti del centurione romano (cf. Mt 8,4-10). Egli vede la sua messianicità
nella prospettiva della nonviolenza e della mitezza, che si esprimono nella
misura del perdono come dimensione della giustizia che deve inaugurare il Regno
che viene (cf. Mt 5,20; 6,1; Mc 11,10; Lc 17,20). Non è facile scegliere questa
via, perché signifca porsi in opposizione alla mentalità corrente, la stessa che
porrà fne alla missione di Gesù prima del tempo, perché per evitare la violenza
egli la dovrà subire e per non uccidere sarà ucciso. È questo il punto in cui Gesù
si domanda quale senso abbia la sua vita; la risposta che accoglie è quella di abbandonarsi
alla volontà del Padre, anche se non capisce, nella certezza che il Padre
nulla opera a caso. Se egli intraprenderà la via messianica della nonviolenza e
della mitezza darà inizio al giudizio di Dio su questo mondo e le forze che operano
il male e l'ingiustizia si abbatteranno contro di lui e lo uccideranno, ma la morte
subita non può essere l’ultima parola perché il Padre compie sempre la sua volontà
di salvezza universale. In Gesù comincia ad affermarsi l’idea di risurrezione:
se Dio non può non realizzare il suo disegno di amore e se il Messia viene ucciso,
il Padre saprà superare la morte e farà compiere oltre la morte stessa la missione
al Figlio. Sì, Dio non abbandonerà il Cristo nella morte e non permetterà che
il «Santo subisca la corruzione» (cf. At 2,27 che cita Sal 16[15],10; cf. Sal
132[131],10). Egli, interrogando gli apostoli, vuole vedere fn dove essi possono
giungere e vedendo che non sono molto distanti dall’opinione comune, decide di
affrontare la passione e la morte da solo, affdandosi solo al Padre che lo farà «risorgere
il terzo giorno» (Lc 9,22)5. Lc si preoccupa della fede degli apostoli e così
sintetizza alcune affermazioni di Gesù sulla sequela (cf 9,23-26): la misura della fedeltà
della Chiesa, cioè dei suoi discepoli/e, sarà il trattamento riservato dal mondo.
Se non avranno un trattamento diverso da quello del Maestro, avranno la certezza
di essere fedeli nella verità del vangelo; se invece avranno un trattamento
onorevole e di ossequio, se non di complicità, sapranno che il tradimento è il loro
pane quotidiano e la morte di Cristo sarà stata per loro vana. Sofferenza e persecuzione
sono intrinseche alla missione di testimonianza perché toccano interessi
e abitudini e quindi suscitano reazioni scomposte fno alla persecuzione e alla
morte.
A questo punto, dopo avere descritto il messaggio del brano, è importante collegarlo
nell’insieme del vangelo e scorgere così la mente dell’autore e il piano del
suo messaggio che supera il tempo per collocarsi in ogni tempo. È interessante
5 Si fonda qui l’ipotesi che il testo, in origine, era posto come introduzione al discorso sulla
comunità: Gesù muore, ucciso dal potere religioso per mezzo del potere politico, ma
risorge nella comunità (la «Chiesa») che, dopo la sua morte, ne prolungherà l’azione,
come il Corpo di cui Cristo è il Capo (cf. Mt 18; cf. Ef 5,23; Col 1,18.24).
analizzare Lc 9 con quanto precede e specialmente con l’inizio dell’attività
pubblica di Gesù come è raccontata da Lc 4-56. Il capitolo 9 di Lc si apre con la
missione dei Dodici che l’autore mette in parallelo con la missione che Gesù ha
ricevuto nella sua consacrazione nella sinagoga di Cafàrnao, perché il compito
della Chiesa è compiere la missione del Figlio:
Lc 4-5 Lc 9
14 Gesù ritornò in Galilea con la
potenza dello Spirito
1 ...convocò i Dodici e diede
loro forza e potere
18 Lo Spirito … mi ha
mandato proclamare
2 ...li mandò ad annunciare
ai poveri il lieto annuncio il regno di Dio
ai prigionieri la liberazione e a guarire gli infermi.
e ai ciechi la vista...
22 «Non è costui il fglio di
Giuseppe?»
9 Diceva Erode: «Chi è
dunque costui...?»
25-26 Moltiplicazione pani e
olio della vedova di Zarepta
12-17 Missione degli apostoli e
moltiplicazione pani
34 Indemoniato: «Io so chi tu sei:
il santo di Dio!»
20 «Ma voi, chi dite che io
sia?». Pietro rispose: «Il
Cristo di Dio»
35 Gesù gli ordinò severamente:
«Taci! Esci da lui!»
21 ...ordinò loro di non riferirlo
ad alcuno
41 Da molti uscivano demòni, gridando:
“Tu sei il Figlio di
Dio!”, perché sapevano che
era lui il Cristo.
35 E dalla nube uscì una voce,
che diceva: “Questi è il
Figlio mio, l’eletto”.
Ma egli li minacciava e non li
lasciava parlare.
36 Essi tacquero e non
riferirono a nessuno.
5,1 La folla fa ressa. 37 Una grande folla gli
venne incontro.
5 Simone: “Non abbiamo
preso nulla”.
40 I tuoi discepoli non ci
sono riusciti.
6 Presero una quantità enorme
di pesci
12 Il lebbroso si avvicina ed è
più grande di Simone che allontana
il Signore (v. 8).
48 Il più piccolo fra tutti
voi, questi è grande.
6 Desumiamo lo schema, adattandolo alle nostre esigenze, da R. MEYNET, Il vangelo secondo
Luca. Analisi retorica, Edizioni Dehoniane, Roma 1994, 320-333.
Da questa tavola emerge con chiarezza che la narrazione che riguarda i discepoli
è costruita sullo stesso schema della descrizione che l’evangelista fa di Gesù, quasi
che egli veda la sovrapposizione tra i due protagonisti. La vita della Chiesa non
può che essere identica a quella di Gesù: se si discosta da questa, cessa di essere
la «Chiesa di Cristo». Noi lo vediamo nella storia: quando la Chiesa si discosta
dal Vangelo, corre verso il potere e i suoi detentori in cerca di protezione e si
corrompe fno a perdere completamente la dignità che ha ricevuto, perché esercita
la funzione di prostituta che si offre al miglior cliente. Quando la Chiesa vive
del Vangelo, è perseguitata dal potere perché essa diventa una spina nel fanco
della coscienza che il mondo fondato sul predominio della violenza e del denaro
non può tollerare, perché il mondo ha bisogno di un idolo che addormenti le coscienze
e che schiavizzi le persone, non di un vangelo che porta la liberazione e la
giustizia. Diventi questo il motivo con cui chiedere a noi stessi non solo come conosciamo
Gesù, il Cristo, ma anche di come vogliamo vivere insieme tra noi la
sua sequela radicale nella giustizia e nella compassione.
- pro manuscripto -
sabato 19 giugno 2010
Approfondiamo la Parola domenicale: le lectio del prete Carmine Miccoli
Etichette:
La Parola che si fa vita
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento