sabato 9 aprile 2011

Le lectio del prete Carmine Miccoli: Giovanni 11: la risurrezione di Lazzaro

Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)


LECTIO DIVINA

“Io-Sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà...» (cf. Gv 11,25)

Canto (facoltativo), a scelta della comunità.

Dopo un’opportuna introduzione, si può invocare lo Spirito Santo con il canone Veni Sancte Spiritus o

Vieni, Spirito Creatore (Taizè), o altra preghiera simile, come la seguente.

P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare

la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’

tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella

tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,

contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e

a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnova -

mento dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto

nei secoli dei secoli. A.: Amen.

Canto (facoltativo): Alleluia (Taizè).

L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Giovanni (Gv 11,1-

45[54]; trad. CEI 2008; tra [] la parte che non viene letta nella liturgia).

1 Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato.

2 Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi

capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3 Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù:

«Signore, ecco, colui che tu ami è malato». 4 All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia

non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio

venga glorificato». 5 Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6 Quando sentì che era

malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7 Poi, disse ai discepoli: «Andiamo

di nuovo in Giudea!». 8 I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano

di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9 Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore

del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo

mondo; 10 ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». 11 Disse

queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io

vado a svegliarlo». 12 Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si

salverà». 13 Gesù aveva parlato della morte di lui, essi invece pensarono che parlasse

del riposo del sonno. 14 Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15 ed io

sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da

lui!». 16 Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche

noi a morire con lui!». 17 Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni

era nel sepolcro. 18 Betania distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19 e molti

Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20 Marta dunque,

come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa.

21 Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!

22 Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».

23 Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24 Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella

risurrezione dell’ultimo giorno». 25 Gesù le disse: «Io-Sono la risurrezione e la vita; chi

crede in me, anche se muore, vivrà; 26 chiunque vive e crede in me, non morrà in

eterno. Credi tu questo?». 27 Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il

Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». 28 Dette queste parole, andò a chiamare

Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29 Udito

questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30 Gesù non era entrato nel villaggio, ma si

trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31 Allora i Giudei, che erano in

casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono

pensando che andasse a piangere al sepolcro. 32 Quando Maria giunse dove si trovava

Gesù, appena lo vide, si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui,

mio fratello non sarebbe morto!». 33 Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere

anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto

turbato, domandò: 34 «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!».

35 Gesù scoppiò in pianto. 36 Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37 Ma

alcuni di loro dissero: «Lui che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì

che costui non morisse?». 38 Allora Gesù, ancora una volta commosso

profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una

pietra. 39 Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto:

«Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40 Le disse Gesù: «Non ti

ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù

allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42 Io

sapevo che mi dài sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno,

perché credano che tu mi hai mandato». 43 Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro,

vieni fuori!». 44 Il morto uscì, i piedi e le mani avvolti con bende, e il viso avvolto da

un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare». 45 Molti dei Giudei che

erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

[46 Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. 47 Allora i sommi

sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest’uomo compie

molti segni! 48 Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e

distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». 49 Ma uno di loro, di nome Càifa,

che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla, 50 e non considerate

come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca nazione intera».

51 Questo però non lo disse di suo, ma, essendo sommo sacerdote, profetizzò che Gesù

doveva morire per la nazione, 52 e non per la nazione soltanto, ma anche per radunare insieme

i figli di Dio che erano dispersi. 53 Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. 54 Gesù

pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione

vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove si trattenne con i suoi discepoli.]

Segue la meditazione della Parola proposta dalla guida della celebrazione; dopo un momento personale di

silenzio per la lectio, si prosegue con la condivisione comune sulla Parola ascoltata. Al termine, ognuno

dei presenti può proporre un’intenzione di preghiera; ad ognuna, l’assemblea canta o risponde con un’acclamazione.

Si conclude con la preghiera del Padre nostro… [e la benedizione finale].

Note di esegesi per la comprensione del testo

Il capitolo 11 del Vangelo di Giovanni è una vera e propria perla dentro lo scrigno

del IV Vangelo, non solo per il tema, quello della risurrezione di Lazzaro, in cui l'evangelista

riporta l'elaborazione teologica della prima comunità cristiana sulla risurrezione

della carne vista alla luce della “pasqua” di Gesù, ma anche per la ricchezza

di segni che il testo riporta, profezia dell'ora in cui il Figlio di Dio manifesterà,

sulla croce, la gloria, ossia il dono stesso della vita di Dio offerta all'umanità

tutta. Il termine «ora» è stato anticipato nel racconto dello sposalizio di Cana (cf.

Gv 2,4.14), ma come momento non maturo, in attesa di diventare «tempo propizio

» (gr. kairòs) dell’intronizzazione regale di Cristo, che non passa attraverso le

regole e le immagini umane, i riti e le liturgie esteriori, ma attraverso la croce che

diventa il trono regale del Messia rifutato e ucciso. Si capovolge la realtà: da simbolo

e strumento di supplizio abominevole, la croce diventa il luogo del Cristo

regale che manifesta il volto vero di Dio, ove Egli svuota se stesso in nome dell’amore

totale, senza condizioni, su cui si è lasciato crocifggere. Il racconto di Làzzaro

anticipa tutto questo e, infatti, gli stessi nomi dei protagonisti ne sono un assaggio

e un indizio:1

Lazzaro = Dio aiuta Maria = Dio ama

Betània = casa dell’implorazione/della misericordia Gesù = Dio salva.

Marta = (Dio è mio) Signore/sposo/marito

Nella casa dell’implorazione Dio aiuta: è il mio Signore dell’alleanza (marito) che ama e

viene a salvare.

Il fatto narrato in Gv 11 è semplice: c’è un uomo di nome Làzzaro e le due sue

sorelle, Maria e Marta; essi sono amici intimi di Gesù che spesso ospitano nella

loro casa a Betània, alle soglie del deserto di Giuda. Gesù viene informato della

morte dell’amico mentre si trova dall’altra parte del Giordano e invece di partire

subito, appositamente si intrattiene ancora «due giorni»2. Quando arriva nelle vi-

1 Gv 11 è un capitolo molto complesso, che negli ultimi anni ha suscitato grande interesse,

soprattutto sulla sua struttura e collocazione; per approfondire, si veda F. MANNS, L’Evangile

de Jean, Gerusalemme 1991, 235-242.

2 In Gv 10,40 Gesù si trova «al di là del Giordano»: il luogo in cui Gesù si ritira è forse

«Betània, al di là del Giordano» (cf. Gv 1,28), dove Giovanni aveva iniziato a battezzare; da

cinanze della casa degli amici, intavola due dialoghi in successione con le sorelle

del morto. La folla preme e Gesù prega il Padre suo per aprire il sepolcro, nonostante

l’amico Làzzaro sia morto da quattro giorni. Dopo l’intervento di Gesù

che sveglia Làzzaro dalla morte attraverso la forza della sua parola, il morto si

mette a camminare. La folla è entusiasta e riconosce in lui la presenza di Dio.

Nella parte che poi non viene letta nella liturgia, il sinedrio decide la morte di

Gesù per togliere di mezzo un pericoloso destabilizzatore: il sommo sacerdote

giustifca l’assassinio come una «necessità» di difesa delle istituzioni, ma non si

rende conto che egli proclama una profezia (cf. Gv 11,50-51): Gesù dà la vita all’umanità

e per questo deve morire3.

L’evangelista, all’inizio del capitolo, per dire chi era Maria, la sorella di Làzzaro, anticipa

un fatto che deve ancora accadere, ma che la comunità che leggeva il vangelo

conosceva dalla predicazione orale: «Maria era quella che cosparse di profumo

il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli» (cf. Gv 11,2). L’unzione si verifca

in Gv 12,3 ed è un chiaro anticipo della morte e risurrezione di Gesù, perché non

vi sarà tempo per gli adempimenti della sepoltura prescritti dalla Legge. Questo

anticipo è uno dei tanti elementi che ci dice come c’è un legame stretto tra Gv

11 e 12, per cui possiamo concludere che il racconto della morte e risurrezione

di Lazzaro appartiene alla conclusione della prima parte del vangelo, il «libro dei

segni» (cf. Gv 1-12) in cui svolge il ruolo di «prolessi», cioè di anticipazione della

morte e risurrezione di Gesù così come verrà descritta nella 2a parte, cioè il «libro

dell’ora» (cf. Gv 13-19). A ben guardare, scopriamo che i capi religiosi, compreso

il sommo sacerdote, decidono di «uccidere Gesù» senza sapere che stanno

profetizzando l’uccisione dell’agnello pasquale (Gv 11,47-53). All’interno di questa

prospettiva della convenienza della morte di uno per la salvezza di tutti, vi sono nel

capitolo ben quattro temi che la illustrano: li esaminiamo lasciandoci aiutare dalla

tradizione giudaica4.

1. Gesù Messia riunifica i dispersi, giudei e pagani

Alla profezia del sommo sacerdote, l’evangelista aggiunge un suo commento con

cui estende la morte di Gesù oltre i confni d’Israele con l’obiettivo preciso di

«riunire insieme i fgli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52). Le parole del sommo

sacerdote sono riprese alla lettera durante il processo ebraico a Gesù (cf. Gv

18,14). La doppia ripetizione ci dice che dietro alle parole c’è un contenuto importante:

la morte di Gesù è una morte che ha valore universale perché destinata

a raccogliere Giudei e Greci, presenti e simmetrici nei due capitoli di Gv 11 e

quella località Gesù parte per andare da Lazzaro, a Betània di Gerusalemme, in cui si svolge

il racconto di Gv 11.

3 Gv 11 è collegato strettamente a Gv 12: nel primo capitolo si parla di Giudei, nel secono

di Greci, perché sviluppa il senso di criterio di universalità che è insito nella morte di

Gesù. Tutto il mondo vi è simboleggiato: i fgli della promessa ad Israele e i Gentili, che

Gesù è venuto a riunire in un solo popolo.

4 Cf. F. MANNS, L’Evangile..., 243-263.

Gv 12 che hanno la stessa struttura narrativa. Noi sappiamo anche che in Gv l’espressione

«fgli di Dio» è applicata ai credenti (cf. Gv 1,12; 1Gv 3,1-2.10; 5,2). In

Gv 21,11, quindi dopo il racconto della risurrezione, leggiamo che Gesù assiste

alla pesca miracolosa dopo una notte infruttuosa, invitando i suoi apostoli a gettare

le reti sul lato destra della barca. L’evangelista annota che pescarono «153

grossi pesci», espressione che ci lascia alquanto perplessi per la precisione del numero

così puntuale, se non fosse che in ebraico, applicando la ghematrìa (=scienza

dei numeri), quel numero corrisponde all’espressione ebraica Benê Ha’Elohìm, «fgli

di Dio», che qui ha il valore universale dell'umanità intera. Pesca (e rete per

pescare) sono simboli dell’escatologia e si riferiscono a tutta l’umanità non solo

in Gv, ma anche nei racconti della vocazione degli apostoli che Gesù farà «pescatori

di uomini» (cf. Mt 4,19; 13,48; Mc 1,17; Lc 5,2)5. Con la stessa espressione, in

contesti e signifcati diversi, Gv dice che la morte di Gesù ha una portata universale

che riguarda «i fgli di Dio», Giudei e Greci. Facendo profetizzare il sommo

sacerdote, Gv colloca la morte di Gesù all’interno della storia della salvezza, dentro

la quale dobbiamo cercare di capirne la portata teologica, fondandoci sul contesto

giudaico del tempo di Gesù.

Il profeta Ezechiele, durante l’esilio di Babilonia (597-538 a.C.), cioè nel pieno marasma

della dispersione, aveva profetizzato che Dio stesso avrebbe suscitato un

pastore dalla discendenza di Davide (cf. Ez 34,23-24). Coloro che Dio «riunisce,

raduna» sono chiamati con nomi differenti: «fgli d’Israele» (Is 27,12); «dispersi di

Giuda» (Is 11,12); «dispersi d’Israele» (Is 56,8); «resto d’Israele» (Mi 2,12; Ger

31,7). Il loro raduno manifesta la potenza di Dio (cf. Is 12,5) che realizza per essi

un nuovo esodo per un popolo ri-creato (cf. Is 11,15-16; 41,18; 43,20; 50,2; Sal

102[101],19; Ger 31,10). Il raduno avverrà nel Tempio, che è il cuore di Gerusalemme

(cf. Is 2,1-5; Ger 31,6; Ez 22,17-22; Tb 13,12) e comprenderà Giudei e Pagani,

il popolo d’Israele e i popoli delle nazioni (cf. Is 2,1-5; Zc 2,15; Mc 13,27; Mt

25,32). Il compito di questo raduno è affdato al «Servo di YHWH» descritto da

Isaia nel 2° canto a lui dedicato (Is 49,5). La missione affdata al Servo è dunque il

raduno del popolo dalla dispersione in cui si trova; allo stesso tempo, Isaia ci dice

che «il giusto mio Servo è stato traftto per le nostre colpe… Noi tutti eravamo

sperduti come un gregge… perciò gli darò in premio le moltitudini» (cf. Is

53,11.5.6.12). Il raduno di Israele e delle moltitudini è legato alla morte del Servo,

anzi ne è il frutto e la conseguenza. Dio stesso, secondo il profeta Zaccaria, parteciperà

alla battaglia escatologica stando in piedi ritto sul monte degli ulivi a fanco

di Gerusalemme invasa dalla genti: i sopravvissuti celebreranno la feste delle Capanne

e in questa occasione da Gerusalemme sgorgherà acqua senza fne. In quel

giorno, il Signore sarà unico in tutta la terra (cf. Zc 14,1.21). Tutte queste reminiscenze

sono presenti anche nella liturgia sinagogale, come si svolgeva al tempo di

5 Cf. AGOSTINO, In Iohannem, Hom. 122,7-8 (CCL 36, 671); ID., Sermones, 270,7 (PL XXXVIII,

1244); J.A. Romeo, «Ghematrìa and John 21:11 – The Children of God», in Journal of Biblical Literature

97(1978),263-264.

Gesù: nella preghiera giudaica detta Shemòne esre, «Diciotto [Benedizioni]», che si

recitava in piedi due volte al giorno, la 10a benedizione invoca così: «Fai risuonare

lo shofàr della nostra liberazione e porta lo stendardo per la riunifcazione dalle

nostre diaspore. Benedetto sei tu, YHWH, che riunisce i dispersi del suo popolo

Israele». Il senso proprio è diretto: quando verrà il Messia, le tombe si apriranno

e i morti risorgeranno per ricomporre il santo Israele di Dio6. La risurrezione di

Lazzaro, con la scena della tomba che si spalanca davanti alla folla, ha lo scopo di

dire a tutti che è giunto il tempo del Messia e la prova è la tomba che si apre e il

morto che risorge.

2. Il secondo/terzo giorno

Alla notizia che il suo amico è morto, Gesù «rimase per due giorni nel luogo

dove si trovava» (Gv 11,6). Il vangelo di Giovanni usa molto il simbolismo dei numeri

come veicolo particolare d’insegnamento. L’espressione «per due giorni» è una

variante dell’espressione «il terzo giorno». Qui è chiaro il riferimento alla risurrezione

di Gesù. Nella chiesa delle origini, l’espressione «terzo giorno» era diventata

una formula tecnica per indicare la Pasqua: si trova nel vangelo di Gv alle nozze

di Cana (cf. 2,1.19) e, nella forma «due giorni», nel racconto della donna samaritana

(cf. 4,43). Il riferimento è anche qui al profetismo d'Israele, come, ad esempio,

Osea, che aveva invitato alla conversione al Signore dicendo: «Venite, ritorniamo

al Signore… Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo

alla sua presenza» (Os 6,1-2). Questo testo nella sinagoga veniva tradotto

così: «Egli ci farà rivivere nei giorni della consolazione futura, egli ci risusciterà e

noi vivremo davanti a lui»7. Il Targum proietta le parole del profeta nella risurrezione

escatologica e mette in stretta correlazione il raduno con la risurrezione.

Lo stesso avviene per Os 14,8, che il Targum traduce esplicitandolo: «Essi saranno

radunati dalla loro dispersione, abiteranno all’ombra del Messia e i morti vivranno

e la bontà abbonderà nel paese». Qui troviamo altri temi: la dispersione e l’esilio

sono collegati al raduno, al Messia, alla risurrezione dai morti e all’abbondanza

della bontà8. Perché la salvezza viene il «terzo giorno»? Applicando una delle

6 Vd. più avanti il Targum a Os 6,1-2 nel contesto del «terzo giorno».

7 In altre parole, al tempo di Gesù il terzo giorno era identifcato espressamente con la risurrezione

fnale dai morti. Il «terzo giorno» è associato al sacrifcio d’Isacco (cf. Gen

22,4), a Giuseppe e suoi fratelli (cf. Gen 42,18), alla rivelazione del Sinai (cf. Es 19,16), alle

spie di Giosuè (cf. Gs 2,16), alla conversione di Nìnive (cf Gn 2,1), al ritorno dall’esilio di

Babilonia (cf. Esd 8,36), alla regina Ester che salva il suo popolo dalla distruzione (cf. Est

5,1), etc.: in breve, è un'espressione sintetica della storia della salvezza.

8 Il Targum a Zc 3,7-8 sostituisce il tema del raduno con quello del tempio che è il luogo

del raduno, ma il signifcato è lo stesso: l’arrivo del Messia e la risurrezione dei morti

sono collegati insieme. Il tema del raduno dei dispersi, della risurrezione dai morti e del

Messia si trova diffusamente nella letteratura giudaica (cf., ad es., Targum Gionata Es 13,17;

Targum Is 26,19; Targum Ct 8,5; Targum Mi 5,1-3; Targum Lam 2,2; 4,22).

regole dell’esegesi giudaica9, i rabbini associano il «terzo giorno» di Abramo che

immola Isacco (cf. Gen 22,4) al «terzo giorno» di cui parla Os 6,2, in modo che la

liberazione di Isacco dalla morte viene interpretata come una risurrezione dai

morti. Il Targum di Gerusalemme I a Gen 22,4 (terzo giorno relativo al sacrifcio

d’Isacco) aggiunge al «terzo giorno» anche il richiamo alla nube sulla montagna,

che è un modo delicato di richiamare la rivelazione del Sinai con il dono della

Toràh (cf. Es 19,1-3). Il sacrifcio d’Isacco (aqedàh, «legatura»), già dal sec. II a.C. era

associato alla Pasqua, come troviamo testimoniato nell’apocrifo Libro dei Giubilei

(18,1-17): non fa quindi meraviglia se il tema del «terzo giorno» è ripreso nel NT

nello stesso senso della tradizione giudaica, con la novità che ora non è più

applicata a Isacco, ma a Gesù Cristo: «È risorto il terzo giorno secondo le

Scritture» (1Cor 15,4), formula che ricorre 13 volte nel NT. La risurrezione di

Lazzaro al terzo giorno è dunque non solo una premessa, ma una descrizione

anticipata della morte e risurrezione di Gesù che di lì a poco sarebbe stato

ucciso e sepolto, senza che la corruzione della morte abbia il sopravvento su di

lui (At 13,35; cf. Sal 16[15],10), perché sarà svegliato dalla potenza di Dio per

essere il «principio» dei risorti da morte (cf. Col. 1,18).

Il tema del «terzo giorno», nella Bibbia come nella tradizione giudaica, è connesso

con il tema dell’esodo: giunti al Sinai, gli Ebrei per ordine di Dio devono purifcarsi

«oggi e domani… e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno

il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo» (cf. Es 19,10-11).

Alcune testimonianze ci confermano che il viaggio dall’Egitto al Mare Rosso durò

tre giorni10. Il libro dei Giubilei, detto anche Piccola Genesi, databile sec. I a. C., tramanda

una curiosa tradizione e cioè che anche il giardino di Eden fosse stato

creato «nel terzo giorno». L’espressione dunque diventa quasi una formula sintetica

per descrivere l’insieme della storia della salvezza: in esso abbiamo un legame

tra creazione, esodo/pasqua, legatura di Isacco, risurrezione dai morti; attraverso

Gesù, ritorna a noi tutta la storia di Dio e del suo popolo rinnovata e restituita al

suo senso e signifcato originario. La risurrezione di Lazzaro prefgura la risurrezione

di Cristo, l’Inviato del Padre che porta a compimento l’Alleanza.

3. Il Messia di Èfraim, nuovo Giosuè

Il capitolo 11 si chiude con una nota geografca apparentemente senza particolare

signifcato: «Gesù [...] non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò

nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i suoi

discepoli» (cf. Gv 11,53-54). I nomi geografci non sono mai superfciali, ma hanno

in sé sempre echi teologici11. Gesù va nel deserto, oltre frontiera e quindi esce

9 La regola è detta ghezeràha shawàh (“stessa norma, stessa sentenza”), più semplicemente

conosciuta come legge dell’analogia: due testi che riportano una stessa parola, sono intercambiabili.

10 FILONE, Vita di Mosè I,163; GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche II,315; Midrash Es 3,8, etc.

11 Cf. A. LOISY, Le quatrième Evangile, Paris 1903, 637; in epoca più moderna, vd. J. MATEOS – J.

BARRETO, Il Vangelo di Giovanni, Assisi 1982, 496; entrambi sono sulla stessa linea e fanno un

dall’abitato e dai confni di Israele per ripetere simbolicamente l’ingresso nella

terra promessa che fece Giosuè, attraversando il Giordano. Sembra che l’Èfraim

di cui si parla nel vangelo sia da identifcare con Ofra (cf. Gs 18,23; in Gs 15,9 è

detta Efron). Dopo il rifuto dell’autorità religiosa, Gesù va nel deserto per ricevere

direttamente da Dio l’eredità della terra d’Israele, di cui prende possesso entrando

dal deserto. Con questa annotazione l’evangelista ci dice che Gesù è il

nuovo Giosuè che porta a compimento l’esodo di Mosè (cf. Gs 19,49-51).

Un altro elemento signifcativo è che la missione di riunire i dispersi in un solo

popolo abbia come obiettivo di riportare l’unità tra il Regno del Nord (con capitale

Samarìa) e il Regno di Giuda (con capitale Gerusalemme). Sappiamo che Giovanni

annette molta importanza alla missione ai Samaritani (cf. At 8,14), per cui la

citazione di Èfraim potrebbe essere un’allusione alla ricostruzione del Regno nell’unità

originaria che gli avevano dato Davide e Salomone. La menzione di Èfraim,

però, più di tutto, ci riporta alla personalità del Messia che la tradizione del giudaismo

antico conosce come «fglio di Èfraim». Il Targum Gionata a Es 40,9-11

parla di ungere e consacrare «la vasca [delle abluzioni] e le sua base a motivo di

Giosuè, tuo servo, il capo del Sinedrio del tuo popolo, per le cui mani la terra d’Israele

è destinata ad essere divisa, e del Re-Messia fglio di Èfraim che uscirà da

lui e per le cui mani Israele è destinato a riportare la vittoria su Gog e le sue

schiere, alla fne dei giorni». La conclusione dell’esodo e l’eredità della terra si

fondono dunque con la lotta escatologica che la riunione dei due regni del Nord

e del Sud devono anticipare. A Qumran si parla espressamente di due Messia, uno

discendente di Aronne e quindi di stirpe sacerdotale e l’altro laico, preveniente di

stirpe regale, della discendenza di Davide12. Anche il Targum a Ct 4,5 riporta questa

tradizione: «I tuoi due liberatori, che ti salveranno nel futuro, il Messia di Davide

e il Messia di Èfraim, riuniranno Mosè e Aronne» (cf anche Targum a Ct 7,4). In

questo contesto messianico, la risurrezione di Lazzaro è un anticipo diretto e immediato

della morte di Gesù, Messia sofferente che entra nella terra promessa

non per impossessarsene, ma per liberarla dalla schiavitù della religione del dovere,

offrendo la sua vita di Messia-Servo di YHWH.

4. Il potere di Gesù

Gesù dice a Marta: «Io-Sono la risurrezione e la vita» (cf. Gv 11,24). Usando questa

formula di autorivelazione che ha un'importanza teologica primaria in Gv, Gesù si

rivela come la chiave che apre i sepolcri (cf. Gv 11,33-34) per nutrire e dissetare

con il dono della vita che è il suo Spirito. In Gv 11,41-42 Gesù prega e svela che la

parallelo tra Gesù e Giosuè; d'altrone, in ebraico «Gesù» e «Giosuè» si dicono e si scrivono

alla stesso modo (Yoshuàh/Yeoshuàh), che la Bibbia della LXX traduce sempre con

Iesoûs, «Gesù».

12 Cf. IQS 9,11; CD 12,23; 19,10; 20,1. Il re Messia dal Targum Gerusalemme a Es 40,9 è

identifcato non con la casa di Giuda, come ci si aspetterebbe, ma con la corona del regno,

cioè con la promessa diretta a Davide, nella cui persona il Messia ricompone l’unità in -

franta di Israele.

forza da cui attinge è il Padre, ma riprende anche la preghiera di Elia prima del sacrifco

del Carmelo: richiamandosi al profeta, Gesù annuncia se stesso come Messia

perché tutta la tradizione vede in Elia il profeta che deve venire prima del

Messia (cf. Mc 9,11 e parr.).

Gv 11,41-42 1Re 18,36-37

41 Tolsero dunque la pietra. Gesù allora

alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo

grazie perché mi hai ascoltato. 42 Io sapevo

che mi dai sempre ascolto, ma

l’ho detto per la gente che mi sta attorno,

perché credano che tu mi

hai mandato».

36 Al momento dell’offerta del sacrifcio

si avvicinò il profeta Elia e disse: «Signore,

Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele,

oggi si sappia che tu sei

Dio in Israele e che io sono tuo

servo e che ho fatto tutte queste

cose sulla tua parola. 37 Rispondimi,

Signore, rispondimi e questo

popolo sappia che tu, o Signore,

sei Dio e che converti il loro

cuore!»

Risuscitando Lazzaro, Gesù manifesta di avere ricevuto dal padre la chiave dei sepolcri

e quindi della risurrezione, alludendo così alla sua risurrezione13. In Gesù

tutto ritorna alla sintesi originaria e defnitiva. La tradizione giudaica, almeno in

parte, ricollega le quattro chiavi alle quattro grandi feste d’Israele che coincidono

con i quattro giudizi che riceve la terra: a Pasqua il mondo è giudicato per i prodotti

della terra (chiave del nutrimento); a Pentecoste è giudicato per i frutti (chiave

della sterilità); a Sukkôt (Capanne) il mondo è giudicato per la pioggia (chiave

della pioggia); a Rosh Ha-shanàh (Capodanno), non il mondo, ma l’uomo è giudicato

per l’espiazione che è collegato al giudizio della vita che risorge dopo la conversione

e il perdono (chiave del sepolcro).

Che questa sia l’interpretazione giusta, ne abbiamo la prova nella stessa espressione

«Io-Sono», che è autorivelazione di Gesù in quanto YHWH, perché è il

Nome santo di Dio, rivelato a Mosè sul Sinai (cf. Es 3,14-16). In Gv diventa una

formula tecnica per defnire la divinità di Gesù di Nàzaret: in tutto il IV vangelo,

infatti, ricorre 26 volte14, numero che, secondo la ghematrìa, è il valore numerico

del Nome di YHWH (=Io-Sono), affermando con questo che Gesù si presenta

13 Il riferimento è alla tradizione giudaica per cui Dio ha riservato a sé quattro chiavi: la

chiave della pioggia, del nutrimento, dei sepolcri e dell’utero, cioè della vita; cf. Targum Neofiti,

o anche Targum a Gen 30,22 e, in parte, Targum Gionata a Dt 28,12. Di tutte e quattro le

chiavi troviamo la realizzazione in Gesù: a. acqua (cf. Mc 4,39); b. nutrimento (cf. Gv

6,35.48.51); c. sepolcri (cf. Gv 11,25); d. utero/vita (Gv 14,6; 15,5.2.4.8.16; cf. Gv 12,24; Mt

13,23; Mc 4,20).

14 Dispiace che anche l’ultima edizione della Bibbia CEI (2008) non sappia cogliere la por -

tata giovannea dell’espressione rivelativa «Io-Sono», traducendola banalmente con «sono

io» e fnendo per degradare l’enorme pàthos teologico che la formula racchiude.

come la rivelazione dell’«Io-Sono» del Sinai. Anche con i numeri Giovanni ci dice

che la personalità dell’uomo Gesù si manifesta nella sua divinità: Egli è sullo

stesso piano di YHWH perché Egli è YHWH.

Gesù si rivela a Betania e si ritira ad Èfraim. Betania può avere il signifcato etimologico

di «casa dei poveri», ma anche di «casa dell’obbedienza», mentre Èfraim è il

nome del secondo fglio del patriarca Giuseppe avuto insieme a Manasse dalla

moglie egiziana Asenèt (cf. Gen 41,52; 46,20; Nm 26,28). Pur essendo secondogenito,

ricevette la primogenitura da Giacobbe al posto del primogenito Manasse

che ne aveva diritto per legge. Autorivelandosi nella «casa dei poveri», Gesù si

presenta come il Primogenito di tutta la creazione (cf. Col 1,15,18; Rm 8,29; Eb

1,6) che guida i poveri alla casa dell’obbedienza che è il Regno di Dio, perché questa

è la volontà del Padre: nulla vada perduto di ciò che il Padre ha dato al suo Figlio

Unigenito (cf. Gv 6,39).

In conclusione, questo brano ci offre l’unica interpretazione possibile dell’articolo

di fede con cui diciamo: «credo la risurrezione dei morti»; parlando di Gesù risorto,

infatti, la teologia non parla di un corpo materiale, ma sente il bisogno di

dire che Gesù ha assunto un «corpo glorioso» che è distinto dal corpo terreno

tanto che ha prerogative particolari come entrare in un luogo a porte chiuse (cf

Gv 20,19.26). Il racconto della risurrezione di Lazzaro ci consola perché la nostra

vita non è un incidente del destino a cui la morte pone rimedio, ma, al contrario,

la morte è il «segno» più grande che la nostra vita vale non solo il tempo della

nostra esperienza, ma anche l’eternità di Dio.

- pro manuscripto -

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