domenica 13 dicembre 2009

Le lectio del prete Carmine Miccoli

Note di esegesi per la comprensione del testo
Luca 3, 10-18

Il vangelo di oggi nella versione di Lc si limita a riportare i temi comuni agli altri due sinottici, Mc e Mt, e nello stesso tempo pone qualche problema di lettura. Egli scrive un vangelo non cronologico e lui stesso afferma di avere fatto delle ricerche dal momento che riporta notizie e fatti sconosciuti agli altri autori. Lc raccoglie tradizioni diverse e molte sono in comune con Mt e Mc. Quando possiede tutto il materiale lo riordina secondo un suo schema catechistico, probabilmente in uso nelle comunità da lui frequentate. Al tempo di Lc (seconda metà avanzata del sec. I d. C.) non interessava la questione del Gesù «storico», perché l’interesse delle comunità, degli apostoli e dei predicatori era suscitare la «fede» in lui, uomo ebreo che essi conobbero, con cui vissero e che credono «Figlio di Dio».
Lc usa lo schema del viaggio: ordina tutto il materiale trovato, distribuendolo lungo non solo ipotetico viaggio che Gesù avrebbe compiuto dal nord al sud, dalla Galilea alla Giudea, da Nàzaret-Cafarnao a Gerusalemme. Lungo il cammino Gesù insegna agli apostoli e a quelli che incontra; opera, compie azioni, mentre il suo passo e il suo volto sono indirizzati con determinazione alla città di Dio dove si compierà il ministero per cui è venuto: la morte e la risurrezione (cf Lc 9,51).
Questo viaggio è preceduto in tutti e tre i Sinottici (segno di una tradizione comune) dalla fgura di Giovanni Battista che è presentato come il battistrada, il recursore. Il vangelo di oggi parte da qui. Nella sua ossatura esteriore il brano è parte della sezione che comprende Lc 3,1-20 che riporta la triplice consegna etica di Giovanni a tre categorie di persone: folla, pubblicani e soldati (Lc 3, 10-14); segue l’attesa del popolo che scambia Giovanni con il Cristo (Lc 3,15), a cui simmetricamente corrisponde l’opposizione di Giovanni che annuncia il «vero» Cristo (Lc 3,16-17) e infne un sommario sul contenuto della predicazione di Giovanni che evangelizza il popolo (Lc 3,18).
Il rituale dell’abluzione era molto diffuso in Israele. Ogni abitazione aveva una vasca di acqua per la purifcazione dalle impurità per chi veniva dall’esterno o dal mercato (cf Mc 7,3-4). Al tempo di Gesù l’attesa messianica era così frenetica che tutti erano attenti ad ogni piccolo segno che potesse indicare l’arrivo del Messia.
La predicazione di Giovanni il Battezzante sulle rive del Giordano, nei pressi del Mar Morto e di Qumran, dove viveva la comunità degli Esseni, ebbe un grande seguito perché le folle videro in lui o il Messia (Lc 3,15; Gv 1,19-23; Mc 8,28) o un profeta (Mt 21,26; Mc 11,32; Lc 20,6; cf Mt 11,9; Lc 7,26). L’invito alla conversione riapriva il tempo di Dio che tornava a inviare i suoi profeti. Il popolo capiva che era fnito il castigo della siccità della Parola e trovava la «profezia» (cf Am 8,11).
Insegna la tradizione giudaica che quando Dio vuole punire l’umanità, chiude a chiave le acque superiori e manda la siccità sulla terra (Gb 12,15; Ag 1,10; cf Sal 148,4). Quando invece vuole benedire, toglie il chiavistello dalle cateratte e manda la pioggia. La pioggia nella tradizione è diventata simbolo dello Spirito Santo che scende sulla terra come profezia, come Shekinàh/Presenza. Il battesimo di Giovanni dato nell’acqua corrente signifca che è fnita la siccità della profezia e della Parola ed è tornata l’abbondanza dello Spirito di Dio che manda sulla terra la rugiada e la pioggia della Parola di Dio (Dt 32,2) che ci educa al «vangelo della vigilanza» per accogliere la Shekinàh/Presenza (Is 63, 19).
Il brano di oggi riporta tre categorie di persone che si avvicinano a Giovanni con la stessa domanda: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10.12.14), dichiarando così la disponibilità ad accogliere la novità. Le folle (Lc 3,10), i pubblicani (Lc 3,13) e i soldati (Lc 3,14), oggi diremmo le masse di disperati, percepiscono l’arrivo di eventi straordinari e vogliono partecipare da protagonisti. È logico che chiedano cosa debbano fare in un contesto socio-religioso orientale, dove tutto è deciso dalle autorità che resta sempre e comunque indiscussa e indiscutibile. Le folle sono anonime per defnizione; i pubblicani Giudei sono collaborazionisti dei Romani, invasori da cui hanno avuto l’appalto delle tasse e sono considerati ladri di professione ed evitati come i pagani; i soldati sono violenti che si offrono a chi li paga di più e sono considerati immondi per la violenza e i soprusi che operano. La domanda ripetuta tre volte apparteneva allo schema catecumenale della formazione cristiana (cf At 2,37; 16,30; 22,10; Lc 18,18) e con essa il candidato esprimeva la sua volontà di entrare nella novità di vita del discepolo di Cristo. Alle tre categorie Giovanni non chiede di cambiare vita, ma offre l’inizio di un percorso, la prospettiva da cui partire: la condivisione dei beni materiali come condizione di libertà interiore (Lc 3,11); la giustizia senza frode che signifca semplicemente non rubare
(Lc 3,13) e infne il rispetto degli altri e il rifuto di arricchirsi ingiustamente
a danno dei poveri (Lc 3,14). Convertirsi è cominciare a mettere ordine nella propria vita per muovere i primi passi verso un disegno globale della propria esistenza. La fgura di Giovanni il Battezzante è un grande fgura di terapeuta perché induce le persone a fare scelte adeguate, lasciando alla responsabilità individuale la prosecuzione del rinnovamento che avrà bisogno di altre prospettive e di altri sostegni. Non fa piazza pulita di ciò che esiste. La folla resta folla, i pubblicani esecrati restano pubblicani e i soldati non smettono di fare i soldati, ma a ciascuno dà una indicazione adeguata al proprio stile di vita e commisurata alla propria esperienza. Quando Dio ci chiede la conversione non sempre ci fa cadere di colpo
come Paolo di Tarso sulla via di Damasco (At 9,3-6), ma spesso si adegua al nostro passo e, munito di pazienza, cammina con noi fno a quando non si fa sera (cf Lc 24,15.29) perché convertirsi non è cambiare di punto in bianco, ma abituarsi al cambiamento ed educarsi al mutamento degli stili di vita. Non spetta a Giovanni dire «come» deve cambiare vita chi pone la domanda del «che cosa devo fare?». Giovanni offre la direzione di senso, spetterà poi a loro decidere il modo del cambiamento, quando incontreranno il Cristo. L’evangelista Lc ci mette su questo avviso perché nel descrivere il battesimo di Giovanni, usa il presente indicativo, mentre per annunciare il battesimo di Gesù usa il verbo al futuro, come a sottolineare una distanza tra i due battesimi: «io battezzo… egli battezzerà» (Lc 3,16). Giovanni è grande perché sa prospettare il futuro, non blocca gli uditori sulla sua persona, ma li proietta oltre se stesso, oltre il presente, verso l’incognita del futuro. È il compito dell’educatore autentico: presenta la propria esperienza come trampolino per una nuova conquista, una nuova avventura di vita e di amore. Le richieste di Giovanni sono molto lontane dalle esigenze richieste dal discorso della montagna, eppure, per cominciare ad intraprendere la via del Regno è suffciente mettere in discussione la struttura del proprio «io» per rimodellarla alla luce della prospettiva del Regno. La vera penitenza è prendere coscienza della propria personalità e indirizzarla all’incontro col Signore che viene e viene ad incontrare. Giovanni battezzante ha consapevolezza della verità:
egli non si appropria di identità che non possiede: la folla si chiede se non sia il Cristo (Lc 3,15) e già in fase di dubbio, egli non distorce la ricerca, ma la riporta sulla direzione giusta fno al punto di fare un passo indietro per mettere in risalto che colui che viene dopo, il solo a cui spetta di pulire l’aia col ventilabro del giudizio e della pace (Lc 3,16-17).
Giovanni contrappone il suo battesimo «con acqua» al battesimo «in Spirito Santo e fuoco» di «uno più forte di me» (Lc 3,16) che è il residuo di una controversi tra i discepoli di Giovanni il battezzante e i discepoli di Gesù. Noi sappiamo che il gruppo dei «giovanniti» e quello cristiano convissero assieme su posizioni opposte per lungo tempo fno all’ostracismo reciproco. I discepoli del Precursore ritenevano non superato il battesimo del loro maestro, mentre i cristiani predicavano la provvisorietà di Giovanni di fronte a Gesù. I vangeli sono pieni di allusioni a riguardo.
Lo stesso Lc nei «vangeli dell’infanzia» presenta Giovanni e Gesù in due
«dittici» paralleli, ma inversamente proporzionali: il quadro di Giovanni è funzionale a quello di Gesù e la stesa struttura letteraria è più breve nel racconto del Precursore e più ampia in quella di Gesù. L’espressione «Spirito Santo e fuoco» di Lc 3,16, nel contesto apocalittico del tempo indica che è giunto il tempo del giudizio delle nazioni del mondo: chi si farà battezzare con l’acqua di penitenza sarà preservato dalla condanna fnale (Ez 9,4-11; Ap 7,3; 9,4). In greco la parola pnèuma è neutro e traduce l’ebraico femminile ruàch, che signifca sia «spirito» che «vento
». Poiché Giovanni parla di pala e aia (Lc 3,17), è probabile che abbia detto
«battesimo nel vento e nel fuoco», ispirandosi a Is 41,16 che parla di Dio come «ventilatore» d’Israele1. Giovanni non può non ricorrere al bagaglio delle sue conoscenze scritturistiche che presentano il giudizio come una tempesta di fuoco
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1. Il testo ebraico di Isaia ha il termine ruach che ha la doppia valenza di «spirito» e «vento », mentre la versione greca della LXX usa il termine ànemos che propriamente signifca «vento». Il fatto che Lc usi il termine pnèuma sta a signifcare che intende modifcare il senso usato da Giovanni e dargli una portata maggiore che è data dal termine «Spirito»
perché ci troviamo in un ambito religioso e morale (cf Mt 3,12).
che brucia tutto ciò che è scoria e impurità (cf Is 29,5-6; 30,27-28; 33,11-14;
66,15; At 1,14, ecc.). Chi non riceverà il battesimo di acqua, cioè non si convertirà, sarà immerso nel battesimo di fuoco, cioè brucerà per sempre. L’acqua indica la salvezza, il fuoco la condanna. Modifcando il vocabolario (vento con spirito), Lc contrappone il battesimo di Giovanni a quello cristiano (At 19,1-7), facendo di Giovanni non il Battezzatore, ma il Precursore del battesimo cristiano: Giovanni è la «fgura», Gesù è la «realtà». Nel vangelo di Giovanni (Gv 1,19-36) questo processo è compiuto: l’autore, infatti, sottolinea ormai che il Battista battezzava solo con acqua (Gv 1,26b.31.33).
L’espressione «sciogliere il legaccio dei sandali» (Lc 3,16)2 è un’espressione che appartiene al diritto matrimoniale e specifcamente al diritto del levirato, cioè di riscatto della vedova. Il signifcato dei sandali da sciogliere però può avere altre spiegazioni, senza escludere l’interpretazione del servo che si umilia. Nella Scrittura nulla è casuale e ogni minima differenza deve essere annotata e possibilmente spiegata. Se non si riesce a spiegare, bisogna dire umilmente: per ora non abbiamo
elementi e conoscenze suffcienti per spiegare questo testo e questa discordanza.
Se il tema del sandalo è comune a tutti e quattro i vangeli, ci dobbiamo interrogare sul motivo delle differenze. Le uguaglianze si spiegano facilmente (per es. con la dipendenza dalla stessa fonte), le differenze no, perché possono dipendere non solo da fonti diverse, ma da prospettive teologiche proprie dei singoli evangelisti.
Il rimando al sandalo richiama il rito di penitenza-conversione che signifca andare scalzi e senza sandali, che è più visibile in Mt che usa l’espressione: «non sono degno di portare i sandali (hypodèmata)» (Lc 3,11). Lc, al contrario parla di «sciogliere il legaccio dei sandali» (Lc 3,16), usando quasi lo stesso linguaggio di Giovanni (Gv 1,27). Dai testi riportati nella nota3 si rileva che non portare i sandali, ma andare scalzo, fa parte di un rito di penitenza, rito che a somiglianza di Davide e di Michea,
Giovanni Battista ha forse imposto ai suoi come segno distintivo in attesa
dell’arrivo del Messia che avrebbe comportato la conversione di tutto il popolo.
Con questa espressione si vuole dire che Giovanni il Battista non è in grado di imporre al Messia alcun rito di penitenza e tanto meno di conversione, dal momento che Lui è «l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29) e perché è «Colui che viene dopo di me era prima di me» (Gv 1,15). L’accenno al 2 Il tema del sandalo da sciogliere è comune sia alla tradizione sinottica (Mt 3,11; Mc 1,7; Lc 3,16; At 13,24-25) sia alla tradizione giovannea (Gv 1,30), dove probabilmente è un’aggiunta
posteriore. Questa unanimità è segno che dell’importanza attribuita dalla comunità primitiva al tema. Nei Sinottici l’espressione sul «sandalo» è preceduta dall’altra affermazione:
«Ma colui che viene dopo di me è più forte di me» (Mt 3,11) che esprime non un signifcato locale o temporale di un prima e di un poi, ma la dinamica complessa del discepolo che viene dietro al maestro e lo supera che dovrebbe essere il compito specifco di ogni educatore: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30; cf Talmud, Pirqè ‘Avot [Massime
dei Padri] 2,8).
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3. Mt parlando di «portare i sandali» fa riferimento probabilmente ai seguenti testi: 2Sam 15,30; Mic 1,8; Ez 24,17.23.
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«sandalo» potrebbe anche essere un richiamo al diritto matrimoniale che
prevede il gesto simbolico compiuto da un uomo quando rinuncia al suo diritto di levirato in base a Dt 25,5-10 che stabilisce la procedura in caso di vedovanza di una donna, moglie di un marito che abbia fratelli. Per comprendere il signifcato del testo di Dt e della sua applicazione più famosa, nel libro di Rut, bisogna fare riferimento alla lettura targumica che veniva fatta nella sinagoga4. Il Targum di Rt 3,12 traduce così: «Ora è vero che io ho il diritto di riscatto; ma ce n’è uno che è più degno di me» e rimanda istintivamente alla fgura di Giovanni in Lc 3,16. Nella stessa logica di Dt 25,5-10, in Rt 4,5-8 si aggiunge anche l’idea che sciogliere il sandalo è segno di riscatto. È lo stesso Giovanni ci dà l’indicazione che il senso
matrimoniale sia la pista giusta
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5. Nel ragionamento di Giovanni il Battista solo lo sposo legittimo, cioè il Messia ha il diritto all’alleanza nuziale. Giovanni è l’amico dello sposo (Gv 1,29) che non può condurre lo sposo-Cristo in giudizio davanti
agli anziani per imporgli la rinuncia al suo diritto coniugale sull’umanità,
sottomettendolo al rito dello scioglimento del legaccio del sandalo. «Non sono degno di sciogliere la fbbia del sandalo» signifca: io non sono il Messia, lo sposo atteso e non mi contrappongo a lui, perché io sono solo «una voce che grida» e anticipa il vero battesimo: quello in Spirito Santo e fuoco» con cui lo sposo-Gesù accoglierà Israele e la Chiesa come sua sposa. Nell’uno e nell’altro caso, Giovanni riconosce al Messia il diritto della primogenitura. Straordinaria fgura, Giovanni il Battezzante che non perde mai il contatto con se stesso e non va fuori della linea
maestra della sua vita e della sua ricerca. Egli ha coscienza di essere chi è e ciò gli asta. Fino in fondo. Fino ad assaporare la vita nella morte. Fino ad andare incontro alla morte come dovere della vita.

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