sabato 30 gennaio 2010

Le lectio del prete Carmine Miccoli

Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)

LECTIO DIVINA

“Oggi si è compiuta questa Scrittura!” (cf. Lc 4,21)

P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare
la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà.
Fa’tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna
nella tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,
contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti
e a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnovamento
dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto
nei secoli dei secoli. A.: Amen.

L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Luca
(Luca 4,14-30;trad. CEI 2008).

14 Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta
la regione. 15 Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. 16 Venne a Nàzaret,
dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a
leggere. 17 Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era
scritto: 18 «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri
la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi 19 e proclamare
l'anno di grazia del Signore». 20 Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette.
Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21 Allora cominciò a dire
loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 22 Tutti gli davano
testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca
e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23 Ma egli rispose loro: «Certamente
voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo
udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24 Poi aggiunse: «In
verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25 Anzi, in verità io vi
dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per
tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26 ma a nessuna di esse
fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. 27 C’erano molti lebbrosi in
Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn,
il Siro». 28 All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29 Si
alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul
quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30 Ma egli, passando in mezzo a loro,
si mise in cammino.

Note di esegesi per la comprensione del testo

Il brano del vangelo di Lc (che la liturgia dell'anno C divide, in maniera infelice, in
due domeniche, la 3a e la 4a, con una cesura attorno al v. 21) rappresenta il primo
atto pubblico uffciale di Gesù come rabbi predicatore. Da questa narrazione
sappiamo che Gesù ha compiuto 30 anni, perché la seconda lettura poteva essere
letta solo da un laico che aveva compiuto il trentesimo anno di età. La liturgia al
tempo di Gesù prevedeva la divisione della Bibbia in tre anni e due letture per sabato.
Ogni brano della Toràh, letto dal sacerdote o dal presidente della sinagoga,
veniva accompagnato da una seconda lettura, detta haftaràh, «chiusura, conclusione
» che comprendeva i Profeti1. La fama di Gesù doveva già essere diffusa perché
in genere in Sinagoga si cedeva il posto della seconda lettura ad un personaggio
ragguardevole, se presente. Il ritorno di Gesù a Nazareth deve avere impressionato
i suoi compaesani per la fama che lo accompagnava da meritare il posto d’onore
in sinagoga (Git 5,8). Il primo intervento pubblico di Gesù come rabbi è una
omelia liturgica di cui Lc ci conserva l’essenziale sintetizzato. Il brano letto è tratto
dal profeta Is 61,1-4, ma Lc non dice cosa disse Gesù, ma afferma che lesse la
Parola di Dio e subito l’attualizza nel suo contesto storico: «Oggi si è compiuta
questa Scrittura nei vostri orecchi» (Lc 4,21). Non dice: il profeta ha detto, ha insegnato…,
semplicemente: «oggi». La Parola proclamata nella liturgia non è una lettura
del tempo passato e noi non leggiamo per ripassare la storia sacra, ma sperimentiamo
il cuore stesso del «memoriale» biblico: nel momento stesso in cui
ascoltiamo, noi compiamo la Scrittura che diventa «carne» qui e adesso.
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1 Nel NT ricorre nove volte l’espressione sintetica «la Legge e i Profeti» per indicare la
Bibbia ebraica (Mt 5,17; 7,12; 11,13; 22,40; Lc 16.16; Gv 1,45; At 13,15; 24,14; 28,23; cf 2Ma
15,9) e una volta l’espressione più completa «la legge di Mosè, i Profeti e i Salmi» (Lc
24,44). La Bibbia ebraica è indicata con l'acrostico «TaNaKh» che sono le iniziali ebraiche
di TorAh (Legge), Nebihim (Profeti) e Khetubim (Scritti, che corrispondono ai Sapienziali
della Bibbia cristiana), da cui la sigla.
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Ascoltare è comunicare in intimità, è diventare la Scrittura che si ode e sperimentare
«l’oggi» di Dio che passa nella nostra vita. Leggere la Parola di Dio non ha
l’obiettivo di formare un senso morale o di fortifcare la dimensione religiosa o
alimentare la speranza nel senso profetico, che restano atteggiamenti leciti e
importanti, ma ancora esterni e strumentali. Al contrario, signifca comprendere e
conoscere che «oggi e ora» il disegno del Padre che invia il Figlio che dona lo
Spirito «si compie» per me, per noi in modo defnitivo2.
Gesù legge il profeta Isaia, ma bisogna anche capire «come» lo legge e che cosa
omette.
Isaia 61,1-2 Luca 4,18-19
1 Lo spirito del Signore Dio è su di me 18 Lo Spirito del Signore è sopra di me;
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; per questo mi ha consacrato con l’unzione
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri, a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
2 a promulgare l’anno di grazia del Signore, 19 a proclamare l’anno di grazia del Signore.
il giorno di vendetta del nostro Dio.

I primi cristiani citavano la Scrittura non alla lettera, ma a senso o per concetti.
Gesù si prende la libertà di modifcare il testo liturgico: mentre Isaia insieme alla
consolazione dei poveri di YHWH e all’«anno di grazia» annuncia «un giorno di
vendetta», Gesù ferma la sua lettura solo all’anno di grazia e subito arrotola il testo
e passa all’omelia. Il testo di Isaia è importante perché è un anticipo delle
beatitudini che Gesù pronuncerà nel suo discorso programmatico. Nell’AT «il
giorno del Signore» comporta sempre una duplice conseguenza: è salvezza per i
poveri ed è condanna per chi si pone fuori del progetto di Dio. Gesù ha l’autorità
di sospendere il giudizio e di temporeggiare, quasi volesse concedere ancora un
supplemento di tempo per dare l’occasione, il kairòs, a tutti di decidere della loro
vita. Per la prima volta nella storia della salvezza, non si annuncia una catastrofe
apocalittica, ma si proclama che Dio è un Padre che viene a cercare chi si trova in
diffcoltà. In queste parole pregustiamo già il sapore delle beatitudini e la loro
logica di capovolgimento delle situazioni. Questo è il cristianesimo, questa è la
fede in Gesù Cristo: annunciare il vangelo dell’anno di grazia e della misericordia.
Di fronte a Gesù, questo rabbi, questa fgura così autorevole che dice parole nuove
attualizzando la Scrittura, le reazioni sono inevitabili.
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2 Anche gli apostoli seguono lo stesso procedimento attualizzante nelle loro omelie
(At 13,14.42; 16,13-17; 17,1-3; 18,4), per cui si può dire che la liturgia della Parola della Chiesa
cristiana è fglia della liturgia della sinagoga; resta da vedere se le omelie che si fanno
nelle assemblee rispettano sempre i criteri dell’omelia di Gesù e degli apostoli o se spesso
non si riducano a fervorini spiritualisti in funzione di una propria visione di vita o di
morale o spiritualità, fnendo per sostituire le nostre parole alla Parola di Dio.
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Il nuovo è sempre destabilizzante per gli spiriti miserabili, ripiegati su stessi e sulle proprie paure. La seconda parte del brano riporta queste reazioni: i vv. 28-30, che descrivono tutta
l’ostilità dei presenti contro Gesù, sono della mano di Lc che anticipa un atteggiamento
che si verifcherà dopo, storicamente, per la vita di Gesù e della sua comunità.
Ci troviamo di fronte ad una trasposizione letteraria e alla testimonianza
concreta di come realmente si formarono i vangeli che sono scritti defnitivamente
dopo la Pasqua che rifette tutta la sua luce e la sua forza sugli avvenimenti
precedenti. Il fatto narrato è storico e il discorso è pronunciato da Gesù, anche
perché è pieno di echi aramaizzanti, ma probabimente non è stato pronunciato
all’inizio del suo ministero, ma qualche tempo dopo e in un altro contesto. Lc,
scegliendo lo schema del viaggio per narrare il suo vangelo, è costretto a collocare
il materiale in modo logico-catechistico, non cronologico: tutto ciò che Gesù dice
e fa nel 3° vangelo è quasi sempre fuori dal proprio contesto storico e/o geografco.
Lc 4,23-27 riporta parole molto violente, inusuali in una sinagoga e che stride
anche con la reazione tiepidamente incuriosita della gente (cf. 4, 22). Il v. 23 fa riferimento
a ciò che Gesù ha fatto a Cafarnao, eppure è Lc stesso ad avvertirci
che Gesù deve ancora recarsi in quella città (Lc 4,31). La stessa contrapposizione
tra Giudei increduli e Pagani credenti presuppone la crisi della chiesa primitiva
per l’accoglienza dei Pagani dietro la predicazione di Paolo, che certamente non
avviene durante la vita di Gesù. Gli abitanti di Nàzaret mettono la loro città a
confronto con la pagana Cafàrnao da cui si distinguono, nonostante anche Nàzaret
sia nel distretto della «Galilea delle genti» vicino Cafàrnao. Gesù risponde
mettendo a confronto Giudei e Pagani senza un nesso logico. Con un semplice
«Oggi si è adempiuta questa scrittura» (Lc 4,21), Gesù dà subito «compimento»
attualizzante alla Parola che ha appena letto. Egli non dà una indicazione temporale,
ma esprime l’anima dell’alleanza perché nel dire «oggi» prende il posto di
Mosè che convoca l’assemblea di Israele per trasmetterle la Parola di Dio: «Mosè
convocò tutto Israele e disse loro: “Ascolta, Israele, le leggi e le norme che io
dico nei vostri orecchi, oggi”» (Dt 5,1)3. Peccato che anche la nuova traduzione
della Bibbia CEI (2008) non metta in evidenza, come fanno il testo ebraico e il testo
greco della LXX, la pregnanza di quell’«oggi», posto a conclusione della frase
per dargli una importanza più marcata4. Nella sinagoga si rinnova la convocazione
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3 Lc non riporta il contenuto del commento di Gesù, ma dà la regola di ogni «omelia»,
che non è una esortazione, non è una rilettura morale, non è una applicazione spirituale:
l’omelia è «l’oggi» dell’alleanza che si compi qui e ora per chi partecipa alla «convocazione
» e attraverso di essi per tutto il mondo in attesa di sperimentare l’irruzione di Dio
nella vita di ciascuno e dei sistemi che reggono il mondo.
4 Quando una parola o una frase è messa in evidenza al principio di frase o di discorso,
mentre la sua collocazione logica andrebbe dopo, si usa la fgura retorica detta «prolessi»
(dal greco prolambàno, «prendo prima», quindi anticipo). L’intero brano di oggi si può considerare una «prolessi», perché il ministero di Gesù non è ancora iniziato e già vi troviamo
gli elementi che caratterizzeranno la sua vita, compresa la morte (cf. Lc 4,29; cf. Lc
19,47; 20,19; 22,2).
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densa di ascolto dell’assemblea di Israele perché «gli occhi di tutti nella sinagoga
stavano fssi sopra di lui» (Lc 4, 20). In Dt, la Parola di Dio è detta negli orecchi,
cioè esige l’ascolto e Mosè lo dice espressamente, fno ad identifcare nel
capitolo successivo l’ascolto con l’amore unico e indissolubile, espresso nella
professione di fede per eccellenza: «Ascolta, Israele!...» (Dt 6,4). Nella nuova
alleanza la Parola di Gesù deve essere «vista» e contemplata con gli occhi prima
di diventare «ascoltata». È giunto a noi il tempo della visione e della
contemplazione: il Dio che si può ascoltare ora si può anche vedere e
sperimentare.
Abbiamo già visto che Gesù interrompe la lettura di Isaia, tralasciando le parole
che seguono «il giorno di vendetta del nostro Dio» (61,2), annunciando così «il
vangelo della nuova alleanza» che non condanna le nazioni e i popoli diversi da
Israele, il popolo eletto, ma mette in evidenza l’anelito missionario ed universale
del nuovo rabbi che viene a realizzare la profezia del profeta: il raduno universale
di tutti i popoli sul monte della Parola di Dio (cf. Is 2,2-5). Tutti nella sinagoga capiscono
che qualcosa di totalmente nuovo sta accadendo e lo dimostra la meraviglia
che le parole di misericordia di Gesù suscitano. Lc usa il verbo martyrèo,
«testimonio», per esprimere la prima reazione dei suoi compaesani e subito siamo
coinvolti in un sentimento negativo perché immediatamente essi «si meravigliavano
» che in una sinagoga si potesse parlare di «perdono di Dio» (cf. Lc 4,1-2).
Gesù non fa nulla per stemperare la situazione, anzi usa parole che sembrano
scelte accuratamente per irritare e portare allo scontro. Certamente non cerca il
dialogo e in cambio riceve una «testimonianza» che è ostilità. In questo contesto
sia la testimonianza che la meraviglia sono espressione di ostilità (cf. Mt 23,31). Le
parole di Gesù sono così intolleranti per gli orecchi dei pii e religiosi osservanti
della religione del dovere che cercano di sminuirne non solo il senso, ma anche di
declassare la persona stessa di Gesù, richiamando la sua origine comune e, per
loro, insignifcante5. In questa espressione, si hanno due realtà: la conoscenza di
Giuseppe da parte dei suoi conterranei e la qualifca di «fglio» data a Gesù. Dal
contesto si evince che Giuseppe era uno conosciuto e anche stimato, «uno di
loro» con le stesse idee e le stesse preoccupazioni (cf. Mc 3,21.31-35). Il termine
«fglio» indica la distanza che c’è tra questi e il padre che è un cittadino rispettabile
della comunità, da cui il «fglio» si differenzia e si allontana. Di fronte al tradimento
di un «fglio» che non è come suo padre gli uditori, accecati dalla gelosia,
sono sordi. Non possono accettare che i pagani siano trattati come loro: sarebbe
come dire che agli immigrati di altri paesi debbono essere riconosciuti gli stessi
diritti dei residenti. Gli abitanti di Nàzaret conoscono la fama di Gesù per le voci
che giungono da «quella» Cafàrnao, città famosa per essere cosmopolita e piena
di pagani, gente di altre culture e paesi. L’evangelista usa l’articolo per indicare
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5 Cf. Mc 6,1-6 e Mt 13,53-58, che rifetteno ciascuno una sensibilità particolare di fronte
alla identifcazione di Gesù come «fglio di Maria» o «fglio di Giuseppe». Anche Natanaèle,
uno dei primi discepoli, non ha grande stima di Gesù (cf. Gv 1,46).
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Cafàrnao, dando così una forma e un senso di disprezzo, quasi a dire che loro
non hanno nulla da spartire con «la Cafàrnao». Per non essere meno importanti,
reclamano una sorta di diritto di primogenitura: noi veniamo prima di quelli là.
Essi giocano al «meraviglioso» e forse vorrebbero assistere a qualche gioco di
prestigio da raccontare nelle serate d’inverno. Non sono diversi da Erode che
vuole divertirsi con un mago da circo (Lc 23,8). I compaesani di Gesù, come
Erode, non sono interessati dalla persona di Gesù e dal suo insegnamento, ma
sono solo curiosi mondani. Gesù non si adegua alla mentalità della sua gente che
aspettava un Messia esclusivo per Israele, ma attualizzando la Parola di Dio, ne
svela la portata universale, superando ogni particolarismo. Non rinnega Israele
come popolo di Dio, anche perché non potrebbe farlo, ma ne dichiara la non
esclusività: Israele appartiene a Dio, ma Dio non è proprietà privata di Israele. I
presenti in sinagoga reagiscono in modo contraddittorio e non accettano che
Gesù possa allargare l’orizzonte di Dio. Gli abitanti di Nàzaret di fatto rifutano
l’autorità della Scrittura perché essi conoscono già tutto: non hanno bisogno di
verifcare la consistenza della loro fede perché sono certi di avere Dio dalla loro
parte. Gesù citando l’episodio di Elia e la vedova (1Re 17,10-16) e quello di Eliseo
e il lebbroso (2Re 5,14-17) svela una dimensione della Scrittura che i suoi
contemporanei hanno dimenticato: anche nella storia d’Israele i grandi profeti
non sempre hanno operato interventi a esclusivo favore di Israele, ma si sono
rivolti anche ai pagani (Lc 4,25-27); Gesù quindi afferma di essere nel solco della
tradizione biblica che ora vuole riprendere e realizzare, come infatti poi farà6. Lc
mette in evidenza che Gesù rompe con il suo ambiente sociale e religioso per
dedicarsi alla missione tra gli esclusi, dei pagani, fatto che fa emergere l’incredulità
dei Giudei che avrebbero dovuto capire meglio degli altri. A ben vedere, il testo
di Lc anticipa quello che succederà dopo, perché la missione di Gesù non è
ancora iniziata che già riceve una minaccia di morte (Lc 4,29; cf. Lc 19,47; 20,19;
22,2). Lo stesso proverbio citato da Gesù: «medico, cura te stesso» (Lc 4,23), è
già un anticipo della passione, quando sulla croce sarà schernito e deriso per tre
volte con parole simili: dai capi del popolo (Lc 23,35), dai soldati (23,37), dal
ladrone (23,39). Il mondo intero è rappresentato in questo triplice scherno,
frutto dell’alleanza tra mondo religioso e mondo pagano coalizzati insieme per
eliminare dalla propria coscienza le esigenze della Parola di Dio. Gesù però passa
illeso e indenne in mezzo a loro, come avverrà con la risurrezione, perché
neanche la morte potrà contenere e trattenere il creatore della vita. Per Lc a
Nàzaret Gesù sperimenta in anticipo la morte e l’avversione del mondo opposto
a Dio: i loro occhi erano fssi su di lui, ma non sanno vedere oltre le apparenze
del «fglio di Giuseppe». Gesù è venuto a dare la vista ai ciechi, ma non c’è
peggior cieco di chi non vuole vedere perché pieno della presunzione di essere
nel giusto. Ben diversa sarà la sorte di discepoli di Emmaus, appesantiti dalla
tristezza e dalla delusione: essi si aprono all’ascolto attento e libero
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6 Cf. Lc 7,1-10; 17, 11-19; Mc 5,1-20; 7,24-20.
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delle Scritture e sentono il cuore riscaldarsi fno al punto che «si aprirono i loro occhi
e lo riconobbero» (Lc 24,16-32). Per conoscere bisogna vedere, per vedere
bisogna ascoltare, per ascoltare bisogna essere liberi da se stessi e da ogni
atteggiamento prevenuto. Per essere pienamente se stessi bisogna essere
totalmente di Dio e diventare la sua Parola.
Gesù è come Abramo che deve lasciare la sua patria, il suo paese e suo padre,
cioè tutti i legami affettivi e culturali per avventurarsi verso la terra di Dio (cf
Gen 12,1-4; Lc 4,24); è la constazione che la patria non è un paese geografco, ma
il «luogo» della condivisione ideale, spirituale e umana. Giovanni dirà amaramente
che «venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). Per noi credenti, la
nostra patria è l’Eucaristia che ci educa al senso, ai pensieri e alle vie di Dio (cf. Is
55,8). Per illustrare il suo pensiero Gesù si appella alla Scrittura, secondo il metodo
ebraico: egli poggia il suo atteggiamento e il suo insegnamento sotto la potestà
della Parola di Dio. A testimonianza a suo favore egli cita due profeti: Elia, che
durante una carestia, fu inviato da Dio non alle molte vedove in Israele (Lc 4,25),
ma ad una di Sarèpta di Sidone, cioè ad una pagana (1Re 17,1-16), ed Eliseo, successore
di Elia, che non guarì i lebbrosi in Israele (Lc 427), ma solo Naamàn, il Siro
(2Re 5,1-27), cioè un altro pagano. Il Libano e la Siria erano stati spesso nemici di
Israele, eppure di essi si prende cura il Dio d’Israele perché «i veri adoratori adoreranno
il Padre in spirito e verità» (cf. Gv 4,21-23). Il Dio di Gesù «non fa preferenze
di persone» (At 10,34; Rm 2,11; Ef 6,9). In sostanza, Gesù non porta alcuna
novità straordinaria perché le fgure dei profeti Elia ed Eliseo stanno lì a dimostrare
che il Dio della rivelazione ha sempre agito in modo coerente, amando i
pagani allo stesso modo dei fgli/e di Israele. A tutto ciò si aggiunga l’accusa amara
che i Nazaretani non conoscono nemmeno la Scrittura di cui tanto si vantano,
perché se la conoscessero non si scandalizzerebbero di Gesù che si colloca nella
più pura tradizione profetica. A questo punto, la misura è colma e i presenti in sinagoga
«implosero di sdegno» (Lc 4,22) perché ora l’avversione è totale; il testo
aggiunge che: «si alzarono, lo cacciarono fuori della città e lo portarono sul ciglio
del monte dove era costruita la loro città, per gettarlo giù» (Lc 4,29). L’espressione
«fuori della città» è una indicazione di morte, perché indica il luogo dove si
svolgevano le esecuzioni capitali. La morte violenta non poteva compiersi nella
città santa di Gerusalemme, ma tutti i condannati venivno portati «fuori della città
»; l’espressione comporta anche una forma di scomunica, come sperimenterà il
cieco nato di cui parla il vangelo (cf. Gv 9,34)7.
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7 Nell’AT, due falsi testimoni accusano Nabot di alto tradimento: «Lo condussero fuori
della città e lo lapidarono ed egli morì» (1Re 21,13); il re di Giuda, Manasse, dopo la conversione:
«Rimosse gli dèi degli stranieri e l'idolo dal tempio del Signore, insieme con tutti
gli altari che egli aveva costruito sul monte del tempio del Signore e a Gerusalemme, e
gettò tutto fuori della città» (2Cr 33,15). Anche Gesù sarà giustiziato «fuori della porta
della città» (Eb 13,12; cf. anche Ap 14,20); lo stesso avverrà per la lapidazione di Stefano
(At 7,58) e di Paolo (At 14,19).
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E' un dramma che si compie e che Lc sta descrivendo con passione e sconcerto. Nella pericope precedente, pochi versetti prima, nel riportare l’episodio delle tentazioni (Lc 4,1-13),
nella terza tentazione il diavolo «lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del
tempio e gli disse: “Se tu sei il Figlio di Dio, gèttati giù di qui”» (Lc 4,9); ora sono i
compaesani di Nàzaret che vogliono gettarlo giù (Lc 4,29). È evidente che per
l’autore c’è un nesso tra le due città di Nàzaret e di Gerusalemme: la prima è un
anticipo di ciò che ancora deve accadere e che accadrà. Nàzaret è la
prefgurazione anticipata di ciò che sarà la fne. Il diavolo che aspetta a
Gerusalemme per distogliere Gesù dalla sua obbedienza, non nasce a caso, ma
comincia a Nàzaret, negli abitanti della cittadina di Nàzaret che si rifutano di
accogliere un loro fglio perché viene a destabilizzare la loro religione per
purifcarla e adeguarla alla Parola di Dio. Gesù però non impressiona e «passando
in mezzo a loro, si mise in cammino» (Lc 4,30). Non è ancora giunta la sua ora e
quindi è necessario mettersi in cammino per andare incontro a chi non si
scandalizzerà a causa del Figlio dell’uomo (cf. Mt 11,6). In Lc, Gesù ha appena
iniziato il suo ministero di rabbi itinerante e pubblico e già sappiamo come andrà
a fnire: parte dal suo paese dove tentano di ammazzarlo per le parole di
misericordia che ha pronunciato in nome di Dio e arriva nella Città santa dove
sarà ammazzato perché si è fatto Figlio di Dio (cf. Gv 19,7). Tutto ciò accade di
sabato, cioè al cospetto di Dio e nel giorno della pienezza della creazione. Per noi
è il giorno di domenica, giorno che segna il confne della comunione tra Dio e il
suo popolo, il tempo in cui l’eternità di Dio si rende accessibile e la Parola si
lascia toccare e mangiare, nel giorno in cui prendiamo coscienza della nostra
dignità di essere liberi e liberati perché creati a immagine del Figlio, nel giorno in
cui Dio ci concede, come afferma la tradizione giudaica, un supplemento d’anima
per essere in grado di vedere, contemplare e toccare il «Verbo della Vita»
(1Gv 1,1-4).
- pro manuscripto -

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