sabato 27 febbraio 2010

Approfondiamo la Parola domenicale: Le Lectio del prete Carmine Miccoli


Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)
LECTIO DIVINA
Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” (cf. Luca 9,35)

P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare
la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’
tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella
tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,
contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e
a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnovamento
dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto
nei secoli dei secoli. A.: Amen.


L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Luca
(Lc 9,28-36; trad. CEI 2008).

28 Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo
e salì sul monte a pregare. 29 Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la
sua veste divenne candida e sfolgorante. 30 Ed ecco, due uomini conversavano con lui:
erano Mosè ed Elia, 31 apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per
compiersi a Gerusalemme. 32 Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma,
quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33 Mentre
questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere
qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva
quello che diceva. 34 Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra.
All'entrare nella nube, ebbero paura. 35 E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi
è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36 Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi
tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Note di esegesi per la comprensione del testo

I vangeli non riportano il nome del monte della trasfgurazione, Tabor, che è dovuto
solo alla tradizione1: il monte di cui parla Lc (9,28) diventa «alto monte» in
Mt (17,1) e in Mc (9,2), mentre assume una connotazione teologica nella 2Pt che
cita l’episodio evangelico parlando di «monte santo» (1,18). Il «monte» nella Bibbia
è sempre il luogo di Dio (o al contrario dell’idolatria2). Nel libro dei Giudici, il
Tabor è ricordato come il monte dove Barak e Deborah sconfggono Sisara, comandante
dell’esercito cananeo (Gdc 4,6-23). Il salmo 89[88],13, nella versione
della LXX, dice che «il Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno» (il testo
ebraico dice: «gridano di gioia»), che alla luce di quanto accade nel NT viene
spontaneo leggere come profezia della trasfgurazione. Gesù trasfgurato viene a
raccogliere l’eredità di Dio sparsa ai quattro angoli del mondo per ricostruire il
giardino di Eden, il nuovo Regno di Dio, non più con la polvere del suolo, ma nella
consistenza della sua natura umana. Il midràsh, a sua volta, narra che il monte Tabor
chiese a Dio di sceglierlo come montagna della rivelazione della Toràh, ma
Dio rifutò la richiesta perché su di esso vi erano stati fatti sacrifci agli idoli. Per
la consegna della Toràh scelse invece il monte Sinai perché umile e perché su di
esso nessun sacrifcio idolatrico fu mai compiuto3. Un altro midrash prevede che,
alla fne del mondo, Dio farà scendere dal cielo la Gerusalemme celeste su quattro
monti: il Tabor, l’Hermon, il Carmelo e il Sinai che segnano i quattro punti cardinali
del territorio d’Israele e dei quattro angoli della terra da cui Dio aveva raccolto
un pizzico di polvere per creare Adam4 e sui cui radunerà i dispersi della
fne. Quest’ultima idea della raccolta fnale è presente nell’Apocalisse che contempla
la città santa con le sembianze di una sposa che viene da «un monte alto e
grande» (Ap 21,2.10). Un’altra rifessione interessante si trova nel rapporto che
lega il monte Tabor e il monte Moria, dove Abramo fu chiamato per la “legatura”
('aqedàh) del fglio Isacco, risparmiato in forza dell’obbedienza del padre e del fglio
(Gen 22,1-19). Abramo sale sul monte per offrire il fglio; Gesù sul monte parla
con Mosè ed Elia del suo “esodo”, cioè della sua morte che si compirà a Gerusalemme,
dove, secondo la tradizione, è il luogo del sacrifcio di Isacco.
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1 Cirillo di Gerusalemme (370-444), Catechesi 12,16 e Girolamo (347-420), Epistola 46,13
lo indicano come il monte dove avvenne la trasfgurazione.
2 I culti idolatrici descritti nella Bibbia si svolgevano sulle alture (Is 36,7; Ger 19,5; 32,35;
48,35; Ez 36,19; Os 4,13).
3 Genesi Rabbah 89,1.
4 Cf. Midràsh Tanchuma 36,6. Il tema della polvere raccolta dai quattro punti cardinali è
una costante della tradizione ebraica; altre tradizioni fanno provenire la polvere della
creazione di Adam dalla zona del Tempio (Targum Gionata a Gen 2,7; 3, 23; Pirqè di Rabbi
Eliezer 11,2 e 12,1; Talmud Jerushalmì Nazir 7,56b; Genesi Rabbà 14,8).
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Isacco si lascia “legare” per essere ucciso; Gesù è consapevole di andare a morire sul
monte Calvario, dove si lascerà “legare” alla croce. Sul monte Moria vi sono un
padre e un fglio; sul monte Tabor sale il Figlio che il Padre rivela al mondo. Sul
Moria, l’angelo parla ad Abramo; sul Tabor, la voce del cielo parla a Gesù e di
Gesù ai presenti. Isacco è salvato dalla morte e risorge nuovamente come fglio
della promessa; Gesù si trasfgura, come anticipo della risurrezione che vivrà di lì
a poco. Sul monte Moria, Isacco accetta la volontà del padre suo che a sua volta
obbedisce ad un ordine di Dio; sul Tabor la trasfgurazione è il vero sacrifcio,
perché Gesù offre al Padre l’obbedienza alla sua volontà, accettando l’«esodo»
della sua esistenza (Eb 10,5-7; cf. Sal 41[40],7-9).
Il contesto liturgico della trasfgurazione è certamente quello della festa ebraica
di Sukkôt-Capanne (cf. Lv 23,24; Dt 13,16), in base alla richiesta di Pietro: «Facciamo
tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Lc 9,33). La festa durava
sette giorni, ma era prolungata di un giorno per completarla con Shemini azerèt,
l’ottava assemblea solenne che si concludeva con la festa di Shimchàt Toràh,
ovvero la gioia della Toràh. La festa aveva una forte connotazione messianica (Zc
14,16): un momento centrale della festa era l’agitazione di quattro piante (la palma,
il limone, il mirto e il salice), legati insieme per fare festa davanti al Signore,
come prescrive Lv 23,405. In questa festa inoltre si compivano anche due sacrifci:
uno per la remissione dei peccati del popolo e uno che prevedeva il sacrifcio di
settanta buoi, uno per ogni popolo che si pensava allora esistesse sulla terra6.
Nella festa della massima gioia di Israele, durante la quale si intronizzava il Messia
come discendente di Davide, il popolo dell’Alleanza offriva un sacrifcio di espiazione
per la salvezza del mondo intero. Sulla croce, Gesù s’investirà dell’espiazione
universale, offrendo se stesso per tutta l’umanità e per i suoi carnefci.
Lc non dà molta importanza al fatto della trasfgurazione in sé, perché la colloca
nel contesto della preghiera, quasi a farne la condizione necessaria (Lc 9,29). Anche
nel battesimo Lc ricostruisce lo stesso clima di preghiera e la stessa voce che
accredita Gesù come Figlio e come Maestro:
Trasfgurazione (Lc 9,28-35) Battesimo (Lc 3,21-22)
21Ed ecco, mentre … Gesù, ricevuto
anche lui il battesimo,
28Gesù… salì sul monte a pregare. 29-
Mentre pregava,
stava in preghiera,
il suo volto cambiò d'aspetto e la sua
veste divenne candida e sfolgorante

il cielo si aprì
34Mentre parlava così, venne una nube 22e discese sopra di lui lo Spirito Santo
5 È durante questa festa che Gesù fa il suo ingresso trionfale a Gerusalemme, alcuni giorni
prima della morte (cf. Mt 21,1-11; Mc 11,1-11; Lc 19,28-40; Gv 12,12-19).
6 Cf. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche X, 4, 245-247; Talmud Sukkôt 55b.
e li coprì con la sua ombra … in forma corporea, come una colomba,
35E dalla nube uscì una voce, che diceva:
e venne una voce dal cielo:
«Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!
».
"Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho
posto il mio compiacimento".
La corrispondenza tra i due eventi non è casuale perché, a differenza di Mc e Mt,
Lc sottolinea l’aspetto interiore della trasfgurazione a cui unisce anche quello comunitario,
ecclesiale: non è Gesù da solo che vive questa esperienza mistica, ma
Mosè ed Elia, in rappresentanza dell’economia antica, e gli apostoli, che ne condividono
la gloria (Lc 9,32.34) in rappresentanza della nuova economia di salvezza.
Per Lc la trasfgurazione è un fatto ecclesiale, quasi a dire che là dove la Chiesa è
se stessa, nonostante la paura (Lc 9,34) sperimenta direttamente la trasfgurazione
del suo Signore e ne partecipa l’intimità se sperimenta la preghiera come luogo
della comunità che vive la dimensione dell’esodo (Mosè) e della profezia (Elia).
Secondo il diritto giudaico, un evento per avere validità giuridica deve essere testimoniato
da due o tre testimoni come garanti di autenticità (cf. Dt 17,6; 19,15;
Eb 10,28; 2Cor 13,1; 1Tm 5,19; Mt 18,15). Qui Mosè ed Elia sono testimoni qualifcati:
uno rappresenta la Toràh scritta e orale e l’altro il profetismo. Toràh e Profeti
sono espressione sintetica per rappresentare tutta la tradizione biblica di Israele
(Lc 16,16; 24,44; cf. Mt 5,17; 7,12; 11,13; 22,40; At 28,23; Gv 1,45) che qui, nella trasfgurazione,
accreditano Gesù come Messia di Israele e come Figlio amato del
Padre. In Mt e Mc la presenza di Mosè ed Elia si esaurisce nella testimonianza
qualifcata, perché essi si limitano a conversare con Gesù (cf. Mt 17,3; Mc 9,4),
mentre in Lc vi è qualcosa di più, perché con essi Gesù parlano «del suo esodo»
(Lc 9,31), cioè della sua morte e della sua risurrezione, di cui la trasfgurazione è
anticipo e premessa7. Mosè è il fondatore dell’anima israelita e della coscienza del
popolo attraverso la Toràh, mentre Elia rappresenta tutta la corrente profetica
che aveva alimentato la speranza messianica d’Israele. Al tempo di Gesù era diffusa
la convinzione che il Messia avrebbe preso il posto del grande condottiero
Mosè, preceduto da Elia che sarebbe riapparso fsicamente sulla terra per preparare
gli animi ad accoglierlo (cf. Lc 1,17; 9,8)8.
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7 Bene traduce la nuova versione della Bibbia CEI (2008): «Ed ecco, due uomini conversavano
con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava
per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,30-31).
8 La tradizione sul ritorno di Elia è diffusa e radicata nella coscienza popolare: nell’era
escatologica, Elia porterà la pace nel mondo, riconciliando i fgli con i padri (cf. Ml 3,24;
Mc 9,11-13; Mt 17,11-12; Mt 11,14; 16,14; 27,47.49; Mc 6,15; 8,28; 15,35-36; Lc 9,19; Gv
1,21.25), tanto che ancora oggi durante la Cena della Pasqua, si lascia la porta di casa socchiusa
e si prepara un posto in più a tavola perché potrebbe presentarsi Elia nelle sembianze
di un povero e si beve la quarta coppa di vino detta appunto la «coppa di Elia»
come pregustazione dell’èra messianica.
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Il terzo vangelo, a buon diritto, potrebbe essere defnito il vangelo della preghiera
per l’importanza che l’autore vi attribuisce nella vita di Gesù9. Nei momenti decisivi
della vita, nel vangelo di Lc troviamo Gesù in preghiera (cf. Lc 9,28-29), come
se sentisse il bisogno di illuminare lo sguardo per conoscere il cammino da fare e
purifcare il pensiero per decidere le scelte da portare a compimento. Gesù è
prossimo alla morte e ne ha coscienza e sa che anche i discepoli, nonostante le
contraddizioni, subiranno la sua stessa sorte (cf. Lc 9,23-36). La preghiera svela il
mistero della morte e apre la prospettiva della vita oltre la morte; non si prega
soltanto per ottenere questo o quello, perché la preghiera non è una transazione
da mercato; non si prega per superare le diffcoltà (cf. Lc 12,29-31). La preghiera è
la chiave di accesso alla volontà di Dio che passa attraverso la morte e la risurrezione:
la morte del proprio orgoglio e della propria presunzione, l’abbattimento
dell’idolo del proprio io che è sempre una sfda al progetto di salvezza di Dio nel
suo Regno. Si prega per capire dove siamo e come siamo, si prega per perdersi
nel cuore di Dio e abbandonarsi alla sua volontà, si prega per entrare nel mistero
della morte, la sola che sa svelare il segreto della vita. Gesù prega perché è vicino
alla morte che diventa così la misura della sua fedeltà di Figlio di fronte all'ingiustizia
e alla violenza. Egli è venuto apposta per «quest’ora» e la preghiera è necessaria
per non banalizzare il momento supremo della sua vita, perché si prega per
dare un senso serio alla propria esistenza e bruciare le banalità di superfcie,
come esprime in modo sublime Gv che non racconta espressamente della trasfgurazione,
ma la colloca in una cornice di gloria e di teofania come risultato e
conseguenza diretta dell’«ora» del Figlio che vive l’agonia del Getsèmani, immerso
nella volontà del Padre (cf. Gv 12,27-29; Mc 14,32-42).
Il racconto della trasfgurazione è collocato da Lc «circa otto giorni dopo», che è
un’indicazione cristologica, perché il numero otto, nella tradizione interpretativa
giudaica e cristiana della ghematrìa10, è sempre riferito alla persona del Messia.
Nel vangelo di Lc, il numero otto segna la vita di Gesù: all’ottavo giorno è circonciso
(cf. Lc 2,21) e riceve il «nome che è sopra ogni altro nome» (Fil 2,9), cioè
Gesù (Iesoûs, Yehoshuà); «otto giorni dopo» si trasfgura sul monte (cf. Lc 9,28) e
infne risorge (Lc 24,1) «nel primo giorno dei sabbati», che è formula liturgica per
indicare il giorno ottavo. In tutta la tradizione giudaica e patristica il giorno ottavo
è descritto come il giorno del Messia. Nell’alfabeto ebraico il numero 8 corrisponde
alla lettera heth (chet, h aspirata) che grafcamente è chiusa da tre lati, ma
aperta sul quarto, quello verso il basso, verso la terra: dall’alto al basso, dal cielo
alla terra, da Dio all’uomo perché i cieli possano riversarsi sulla terra (Is 63,19),
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9 Cf. Lc 3,21; 22,45; Lc 5,16; 6,12 [2x]; 9,18.29; 11,1; 22,41.44.
10 La ghematrìa (scienza dei numeri) è una delle trentadue regole esegetiche stabilite da
Rabbì ben Elièzer; essa interpreta le parole attraverso il loro valore numerico, perché in
ebraico ad ogni consonate corrisponde un numero che veniva indicato da quella consonante,
per cui si possono fare infnite applicazioni. Essa fu usata anche dai Padri della
Chiesa (Origene, Agostino, ecc.) e, in campo musicale, tra gli altri, da J.S. Bach.
riallacciando il colloquio d’intimità spezzato da Adamo ed Eva (Gen 2,8).
È il movimento dell’incarnazione11!
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Il Midrash Cantico Rabbà 1,1 riporta l’elenco dei dieci cantici che segnano la storia
della salvezza; secondo questa tradizione, Davide, re e pastore, immagine, tipo e
padre del Messia pastore e redentore, conclude l’ottavo cantico profetizzando il
Messia, sua discendenza regale. Nella Bibbia greca della LXX in 2Sam 22,51 l’ottavo
cantico si conclude con un riferimento esplicito al Messia: «Al suo unto, a David
e alla sua discendenza per sempre». E Davide, nel Sal 12[I1],1, canta al Messia sull’ottava
corda dello strumento musicale che accoglie il suo discendente nel volto
di quel Bimbo circonciso «compiuti gli otto giorni», perché assume la missione
del Messia salvatore e pastore d’Israele che guida nel mondo futuro dei redenti. È
la conclusione della storia e il ritorno all’Eden dell’«in principio».
La trasfgurazione è quindi un evento cristologico che supera la persona di Gesù
per farne un criterio portante della nuova rivelazione centrata sulla persona. Non
stiamo parlando di un fatto storico che capitò a Gesù di Nazareth e quindi è
concluso perché accaduto una sola volta; Lc vi attribuisce un valore universale
che riguarda quanti ascoltano Gesù e ne accolgono il Vangelo. Con il racconto
della trasfgurazione collocato nel contesto intenso della preghiera di Gesù, Lc ci
dice che la trasfgurazione è un processo interiore con il quale Gesù entra nella
logica di Dio superando se stesso per offrirsi agli altri. In termini sociali, si direbbe
che ha fatto prevalere il bene comune sul bene suo personale. «Parlare del
suo esodo» signifca per Gesù accettare di essere parte integrante della storia
del suo popolo, prendendo su di sé l’esperienza guidata da Mosè e facendosi carico
delle promesse e delle attese dei profeti, rinunciando alla sua realizzazione per
entrare totalmente e senza ambiguità nel disegno originario di Dio. Così facendo,
egli portava a compimento sia la Toràh che in lui trova la roccia fondamentale, sia
la profezia che ora diventa non più parola promessa e annunciata, ma «Parola fatta
carne». In Dt 18,15 Dio aveva promesso a Mosè un successore alla sua portata;
ora sul Tabor una voce celeste realizza la profezia: «Ascoltatelo!» (Lc 9,35)12.
Come per Mt, anche per Lc Gesù è il «nuovo Mosè», colui che guida il popolo
non più nel deserto verso la terra promessa, ma verso i confni della terra (cf. Lc
24,27). Il passaggio ora avviene dall’incredulità della Gerusalemme terrestre (cf. Lc
19,41-44; 13,33-24; 21,37) che assume i connotati dell’antico Egitto, verso la
sponda della Gerusalemme nuova (Gal 4,25-26; Eb 12,22) a cui si arriva attraverso
il passaggio delle acque del battesimo di immersione della volontà del Padre (Lc
12,50). Da questo momento l’esodo di Gesù è segnato: dal monte della trasfgurazione,
Gesù si dirige alla città della risurrezione passando attraverso l’immersione
nella morte, da cui salirà sul monte degli Ulivi per l’ultimo passaggio
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11 Lo stesso nome greco Iesoûs ha il valore di 888 (=8x3), come in ebraico il termine Mashiàch
ha il valore fnale di 16 (=8x2). Tutto ciò che riguarda Gesù, il Messia, è sempre
connesso con il numero 8 in un rapporto non occasionale, ma salvifco e teologico.
12 La profezia sul successore di Mosè è ben radicata (cf. At 3,22; 7,37).
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sulla terra, l’Ascensione al Padre (At 1,10). La vita di Gesù è una ripresa della storia
d’Israele e un paradigma nuovo per la storia della nuova umanità. Mosè ed Elia
sono gli unici personaggi che nell’AT hanno tentato di immergersi nel mistero
personale di Dio, ma non ci sono del tutto riusciti (cf Es 3; 1Re 19). Ora l’esodo
della ricerca di Dio è compiuto perché con Gesù sul monte Tabor e sul monte
Calvario Dio si fa trovare da quanti hanno il cuore di cercarlo (cf. Is 55,6; Sap 1,1-
2). Se gli apostoli possono vedere il volto trasfgurato di Gesù, la Chiesa in ogni
tempo e in ogni luogo può contemplare lo stesso volto, trasfgurando se stessa
davanti agli occhi degli uomini e delle donne che cercano Dio; se costoro non
credono ancora, è perché non lo hanno trovato per colpa di una Chiesa che lo
nasconde e lo deturpa, nascondendo la luce del Vangelo con la cappa oscura dei
compromessi col potere e delle infedeltà all'amore totale offerto sulla Croce.
- pro manuscripto -

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