sabato 22 maggio 2010

Le Lectio del prete Carmine Miccoli: Giovanni 14. 15-26

Note di esegesi per la comprensione del testo

Il brando del vangelo che abbiamo ascoltato è tratto dal 2° discorso dell’ultima
Cena; il testo liturgico presenza tagli massicci, non giustifcabili, che rendono complicata
la spiegazione; tralasciamo questa forma e ci limitiamo ad alcune sottolineature
esegetiche, per aiutare la comprensione e la rifessione sul brano. Una
parola emerge su tutte nel brano del Vangelo: “consolatore”. Il termine deriva dal
greco paràkletos, «paràclito», che sia nella tradizione biblica che giudaica, compresi
Giuseppe Flavio e Filone, ha sempre il signifcato di intercessore e consigliere.
Nel testo ricorre due volte (vv. 16 e 26). In tutto il NT ricorre solo cinque volte,
soltanto in Gv, di cui quattro volte nei “discorsi di addio” (14,16.26; 15,26; 16,7;
1Gv 2,1), mentre nella Bibbia greca della LXX si trova due volte (Gb 16,2; Zac
1,13). Ciò mostra che il termine, esclusivo di Gv, ha un'importanza particolare
nella sua visione teologica e spirituale.
Il verbo base è il verbo kalèo, “io parlo, chiamo”. Da questo verbo si forma sia la
parola “consolatore” sia il termine ekklesìa, “chiesa”1. Da questo concludiamo che
lo Spirito e la Chiesa hanno la stessa matrice, e il signifcato comune ne defnisce
anche le funzioni e la natura più profonda2. In 1Gv 2,1 “paràclito” è un attributo di
Gesù, qualifcato come giusto; tutte le altre quattro occorrenze sono riferite allo
Spirito Santo, come è detto espressamente al v. 26. Lo Spirito Santo è dato in abbondanza
ed è dato ad ogni carne perché tutti devono sapere che Gesù è stato
condannato ingiustamente e ha subito un processo nullo perché basato su false
testimonianze (Mc 14, 55-56.59; Mt 26,59-60; cf. At 6,13). Secondo il diritto sia giudaico
che romano, il processo deve essere rifatto perché un'ingiustizia giuridica
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1 Aggiungendo a questo verbo la preposizione parà-, che indica vicinanza, prospettiva, si
ha il signifcato di “invito, conforto”, da cui “consolatore”, mentre aggiungendo la preposizione
ek-, che indica origine, provenienza, si ha il termine ekklesìa, “chiesa”, che letteralmente
signifca “chiamata, convocata [da parte di Dio]”: è questa la sua origine e la sua
motivazione di esistenza.

2 Nel sistema giudiziario semitico, il “consolatore” è una fgura giuridica e richiama quella
del go’el, “riscattatore, redentore”, dell'AT. Quando una persona veniva deferita in giudizio
davanti agli anziani radunati alla porta della città, se uno dei giudici, stimati e autorevole, si
fosse alzato e andasse a collocarsi accanto all’imputato/a, senza nemmeno proferire una
sola parola, quella persona era salva sulla garanzia di colui che ne rivendicava l'innocenza
sul suo onore e la sua credibilità. La fgura del paràclito è dunque una fgura stimata per la
sua dirittura e autorevolezza, riconosciuta da tutti: in questo contesto il “consolatore” è
anche “avvocato”, perché prende le difese di qualcuno e testimonia in suo favore.
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è stata consumata a danno di un innocente: Gesù non può più essere tradotto in
tribunale, perché egli ora è assente nel corpo e non può essere giudicato. Questo
compito spetta ai discepoli, che nel 2° discorso dell’ultima Cena sono messi di
fronte alla situazione di odio e di persecuzione cui andranno incontro (Gv 15,18-
27; At 8,1; 9,1; 17,5, ecc.; 1Ts 3,3; Rm 8,18; Fil 1,29; Col 1,24; 1Pt 4,14-16; Gc 1,12; Ap
5,4). La ekklesìa è tutt’uno con il suo Signore perché è la “sposa dell’Agnello” (Ap
21,2.9; 19,7); Cristo è il “capo”, la Chiesa il “corpo” (Ef 3,23; Col 1,18.24). In
questo regime sponsale, il compito della Chiesa nel mondo è uno solo:
pretendere di essere riconosciuta come carne del suo Sposo ed esigere di essere
tradotta nei tribunali in attuazione del mandato del Signore che impone di non
preparare alcuna difesa perché parlerà lo Spirito Santo, il Consolatore,
l'Avvocato: «Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità,
non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo
Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12; Gv
14,26). La Pentecoste è dunque il ristabilimento della verità riguardo a Gesù e la
coscienza della missione che ora diventa “testimonianza” condotta davanti al
mondo ingiusto e menzognero. Il rapporto tra la Chiesa e il mondo, intendendo
per “mondo” ciò che è potere e oppressione, può essere solo un rapporto
antitetico, inconciliabile: mai la Chiesa può accordarsi con il potere del mondo e
tanto meno può chiedere privilegi, perché la Chiesa deve essere giudicata dal
mondo al posto di Gesù e questo nuovo giudizio deve convincere il mondo della
sua superbia e dell’innocenza di Gesù che non si è sottratto all’ingiustizia, ma l’ha
accettata su di sé donando la sua vita per i suoi carnefci, cioè lo stesso mondo
che lo ha odiato e ucciso (cf. Lc 23,34). Quando la Chiesa va a braccetto con il
potere (politico, economico, militare) o si trasforma essa stessa in un potere,
tradisce la sua missione essenziale, cessa di essere la “sposa dell’Agnello” per
diventare soltanto una prostituta, che non svende solo se stessa, ma anche
l’innocenza del suo sposo, barattandola per meno di trenta denari. Quando la
Chiesa è riverita, osannata, circuita, omaggiata dagli uomini di potere è segno che
ha già oltrepassato il confne del degrado spirituale, rinchiuso lo Spirito santo
nella vetrina degli ammennicoli ornamentali e privilegiato l’istituzione sulla
profezia e sul martirio. La vocazione della Chiesa è il “martirio” nel senso
etimologico della parola: dare la vita in testimonianza per il suo Signore.
Pentecoste è l’annuncio universale che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza
del corpo che è la Chiesa, la quale deve essere cosciente di essere solo uno
strumento docile al fuoco dello Spirito con il quale incendiare il mondo. Se, però,
la Chiesa usa i metodi del mondo e si adegua al suo stile, essa è un pericolo per il
mondo, uno ostacolo alla conversione e pietra di scandalo per i deboli e i poveri.
Diventa inutile, dannosa, falsa.
A Pentecoste si rinnova l’alleanza del Sinai che è stata portata a compimento sul
Golgota, perché Gesù stesso è l’alleanza eterna il cui Spirito si fa «Consolatore,
Avvocato», difensore di coloro che accettano di ripercorrere le vie del mondo
per convincere gli uomini e le donne di tutti i tempi ad affrontare l'odio e la violenza
per testimoniare con amore e giustizia in favore di Gesù, il Giusto crocifsso,
e per ristabilire la verità dell’umanità stessa che prendendo coscienza del suo
errore possa convertirsi ed entrare nel «mistero» della vita, che è la persona
stessa di Gesù di Nazareth, l’uomo nuovo e vero, il Figlio di Dio il cui Spirito respira
in ciascuno di noi.

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