venerdì 5 marzo 2010

Approfondiamo la Parola domenicale: Le Lectio del prete Carmine Miccoli

Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)
LECTIO DIVINA
“...se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (cf. Lucac 13,1-9)

O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascolta -
re la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’
tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella
tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,
contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e
a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnovamento
dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio bene -
detto nei secoli dei secoli. A.: Amen.

L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Luca 13,1-9 (CEI 2008).

1 In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei,
il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2 Prendendo
la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di
tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? 3 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete
tutti allo stesso modo. 4 O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe
e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?
5 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». 6 Diceva anche
questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne
a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7 Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni
che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. 8 Tàglialo dunque! Perché
deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno,
finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9 Vedremo se porterà
frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Note di esegesi per la comprensione del testo

Il brano del vangelo che leggeremo anche nella liturgia è un invito al discernimento:
tutti gli avvenimenti della vita, ordinari, straordinari, imprevisti sono i segni attraverso
i quali possiamo scorgere il disegno di Dio sulla nostra storia, grazie all'ascolto
della Parola che ci aiuta a leggerli ed interpretarli. Gli avvenimenti della
vita offrono la materia di rifessione, la Parola di Dio la prospettiva e l’orizzonte
di signifcato. Ciò che accade nella nostra vita non è separato da Dio o a lui
estraneo, nemmeno quelle realtà che scioccamente chiamiamo «banali», come se
nella vita di ciascuno di noi, che vale il sangue del Figlio di Dio (Ef 2,13; Gal 2,20;
Ap 1,5) potesse esserci qualcosa di banale.
La rivelazione del Nome di Dio ci insegna che nessuno di noi può pretendere di
possedere Dio o di ridurlo ai propri schemi o alla propria ideologia, ma che lo si
può e lo si deve incontrare nella storia e negli eventi attraverso la fatica della ricerca
e il discernimento dello Spirito. È la prospettiva di fondo che troviamo nel
vangelo, dove di fronte all’eterna richiesta di segni straordinari e miracolosi, Gesù
risponde: i segni di Dio li può trovare chi sa cogliere la sua presenza tra le pieghe
degli avvenimenti. Uno dei segni più evidenti e scandalosi è la morte (vv. 1-4), in
questo caso la morte violenta e prematura, in cui sono coinvolti anche persone
incolpevoli. L'episodio richiama ad un'azione di repressione dei Romani (di cui
non sappiamo nulla, trattandosi di una delle innumerevoli sommosse che scoppiavano
in quel periodo di occupazione) e di un incidente che fece notizia, come il
crollo di una torre in costruzione (oggi si parlerebbe di «morti bianche»). Gesù
dice chiaramente che le vittime avrebbero potuto essere chiunque, quindi coloro
che ne sono stati colpiti non colpevoli più di quelli che sono rimasti in vita. La casualità
fa parte della vita e gli incidenti sono il segno della fragilità dell’esistenza,
ma anche dei condizionamenti della libertà umana: la repressione, infatti, avrebbe
potuto essere evitata con una buona politica, così come anche l’incidente, se nella
costruzione si fossero osservate le regole della buona ingegneria (materiale e
progetti).
A chi guarda dall’esterno appaiono due incidenti e nulla più. Bisogna andare più a
fondo e domandarsi non solo perché ciò accade (è una domanda inutile, visto
che la vita e gli esseri umani sono imperfetti), ma qual è il senso di ciò che accade.
Gesù invita a scoprire il nucleo della vita, che passa anche per la morte. La
morte è il segno più evidente della drammatica fragilità dell’esistenza, che dovrebbe
insegnarci la misura del limite: ognuno di noi può morire adesso, fra un
giorno, fra un anno o chissà quando. In ogni caso ognuno di noi è sotto il segno
della provvisorietà costitutiva della nostra stessa vita e questo dovrebbe spingerci
a vivere ogni situazione e relazione umana con intensità e partecipazione. La
stessa morte dovrebbe essere un’occasione per mettere a fuoco i motivi che
animano la vita e le scelte che la costituiscono.
Gesù invita alla conversione, cioè alla ristrutturazione del pensiero: il termine
greco metànoia signifca «cambio di pensiero, di mentalità», quasi un andare oltre
il proprio modo di vivere per scoprire una dimensione altra. In ebraico si parla di
teshuvàh, ossia di pentimento come ritorno, come cambiamento di direzione. L’invito
alla conversione che Gesù fa nel vangelo partendo da due fatti di cronaca non è
un invito a gesti penitenziali, a sacrifci fsici o spirituali, come purtroppo abbiamo
inteso, deformando il senso delle parole secondo uno spiritualismo disincarnato e
intimista. Questo concetto di penitenza che abbiamo oggi non deriva dalle Scritture
e dalla tradizione ebraico-cristiana più autentica, ma dallo sviluppo religioso
nella sua comprensione culturale; Gesù, invece, non parla di pratiche penitenziali,
ma della «penitenza» che consiste nell'accettare la misura della morte, come fragilità
e trasformazione, presente in ogni avvenimento, in ogni persona, in ogni progetto,
fno a superare i confni della propria progettualità per immergersi nel Regno
di Dio e farlo diventare il proprio disegno di vita. Fare penitenza per Gesù si -
gnifca accogliere la volontà del Padre come dimensione della propria vita e della
propria fede, altrimenti si avrà una religione senza Dio e una vita senza prospettiva,
perché se non si accetta la morte, sarà questa a dominare e a rendere vana la
vita. Paradossalmente, accettare la morte di ogni giorno signifca svuotare la morte
del senso distruttivo che ha in sé e colmarla del senso di pienezza che il progetto
del Regno comporta: è qui il mistero della croce. Se siamo in grado di stare
ai suoi piedi siamo in grado di affrontare la vita fno alla morte, che non diventa
più l’ultima parola, ma il momento della trasfgurazione in una vita “altra”. Tutto
ciò signifca che in ogni istante dobbiamo cercare il senso di ciò che viviamo: in
questo consiste l'invito a fare penitenza per non perire (vv. 3.5).
La parabola del fco è un esempio (in ebraico mashàl) con cui Gesù spiega tutto
questo, nel contesto della dimensione di attesa che è proprio della natura umana
e che l’evangelista Lc applica al Regno. Si spiega così l’attesa del padrone da parte
dei servi (12,35-38), il padrone che vigila sul ladro (12,39-40), l’amministratore
che attente il giudizio del padrone (12,47-48). Non solo, in questa attesa Gesù arriva
con il fuoco in mano (12,49-50) per bruciare le scorie della storia, per cui
urge riconciliarsi con i nemici perché manca il tempo (12,57-59). Tutto il capitolo
12 è in questa prospettiva, fno a sfociare nel nostro testo che è l’invito alla grande
penitenza. Dio concede un supplemento di tempo, un anno di grazia, come abbiamo
già visto nella sinagoga di Nazareth (cf. Lc 4,19; Is 61,2). Il tempo concesso
al fco è un avvertimento: c’è poco tempo e bisogna impegnarlo tutto e fno in
fondo. Le occasioni nella vita e nella grazia non si ripetono: bisogna coglierle al
volo se si vuole viverla fno all’ultima goccia. L’alternativa è vivacchiare, ovvero
fare fnta di vivere in attesa della morte. Probabilmente la parabola fu pronunciata
all’inizio della vita pubblica nel contesto della predicazione iniziale, ma ben presto
fu estrapolata dal suo contesto per essere applicata al Regno nella sua globalità
L’ascolto della Parola, soprattutto in comunità, è l’anno di grazia supplementare
che ogni volta il Signore ci offre per prendere consapevolezza della morte nella
prospettiva della vita eterna. La parola, come la vita, è tenue e fragile, esposta al -
l'ambiguità e all'incomprensione, ma è segno di Dio e della sua presenza che salva.
Possiamo assaporarla, se ci immergiamo nella storia per incontrare il Dio di
Gesù, il Cristo, nell’incontro con i fratelli e le sorelle negli avvenimenti che li e ci
riguardano.
- pro manuscripto -

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