sabato 5 marzo 2011

Le lectio del prete Carmine Miccoli

Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)
LECTIO DIVINA

“Non chi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli,
ma colui che fa la volontà del Padre...”
(cf. Mt 7,21)

Dopo un’opportuna introduzione, si può invocare lo Spirito Santo con il canone Veni Sancte Spiritus
oVieni, Spirito Creatore (Taizè), o altra preghiera simile, come la seguente.

P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare
la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà.
Fa’ tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella
tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,
contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e
a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnovamento dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto nei secoli dei secoli. A.: Amen.

Canto (facoltativo): Alleluia (Taizè).

L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Matteo
(Mt 7,21-27; trad. CEI 2008).

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:] 21 «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”,

entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei

cieli. 22 In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato

nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo

nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. 23 Ma allora io dichiarerò loro:

“Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. 24 Perciò

chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo sag -

gio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi,

soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata

sulla roccia. 26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà

simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia,

strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde,

e la sua rovina fu grande».

Segue la meditazione della Parola proposta dalla guida della celebrazione; dopo un momento personale di

silenzio per la lectio, si prosegue con la condivisione comune sulla Parola ascoltata. Al termine, ognuno

dei presenti può proporre un’intenzione di preghiera; ad ognuna, l’assemblea canta o risponde con un’acclamazione.

Si conclude con la preghiera del Padre nostro… [e la benedizione finale].

Note di esegesi per la comprensione del testo

Il brano del vangelo riportato nella liturgia di oggi è tratto dal capitolo 7 di Mt,

quasi in conclusione del “discorso della montagna” di Gesù, che abbiamo ascoltato

in queste settimane. Questo capitolo, ancora nello stadio orale e comunque

prima della redazione fnale come oggi la possediamo, era composto da tre ammonimenti

severi, ognuno dei quali era seguita da un'illustrazione esplicativa, da cui

rileviamo la fnalità strettamente catechetica per cui i vangeli furono redatti1. Di

seguito lo schema completo:

Ammonimenti severi (Mt 7) Illustrazioni (Mt 7)

1. vv. 1-2 1 Non giudicate, per non essere

giudicati; 2 perché con il

giudizio con il quale giudicate

sarete giudicati voi e con

la misura con la quale misurate

sarà misurato a voi.

vv. 3-5 3 Perché guardi la pagliuzza

che è nell’occhio del tuo

fratello, e non ti accorgi

della trave che è nel tuo

occhio? 4 O come dirai al

tuo fratello: “Lascia che

tolga la pagliuzza dal tuo

occhio”, mentre nel tuo

occhio c’è la trave? 5 Ipocrita!

Togli prima la trave

dal tuo occhio e allora ci

vedrai bene per togliere la

pagliuzza dall’occhio del

tuo fratello.

2. v. 15 15 Guardatevi dai falsi profeti,

che vengono a voi in veste di

pecore, ma dentro sono lupi

rapaci!

vv. 16-20 16 Dai loro frutti li riconoscerete.

Si raccoglie forse

uva dagli spini, o fchi dai

rovi? 17 Così ogni albero

buono produce frutti buoni

e ogni albero cattivo

produce frutti cattivi; 18 un

albero buono non può

1 R. FABRIS (Matteo, Roma 1982, 180-187) propone un’altra divisione, presentando il brano

odierno come quarta suddivisione della sezione 7,13-29, alla luce delle tematiche «binarie

»: a) le due porte e le due vie: salvezza e rovina (7,13-14); b) i falsi profeti, pecore e

lupi: criterio di discernimento (7,15-20); c) veri e falsi discepoli: coerenza tra dire e fare

(7,21-23); d) le due case: unità tra ascoltare e fare (7,24-27).

produrre frutti cattivi, né

un albero cattivo produrre

frutti buoni. 19 Ogni albero

che non dà buon frutto

viene tagliato e gettato nel

fuoco. 20 Dai loro frutti

dunque li riconoscerete.

3. v. 21 21 Non chiunque mi dice: “Signore,

Signore”, entrerà nel

regno dei cieli, ma colui che

fa la volontà del Padre mio

che è nei cieli.

vv. 24-27 24 Perciò chiunque ascolta

queste mie parole e le

mette in pratica, sarà simile

a un uomo saggio, che

ha costruito la sua casa

sulla roccia. 25 Cadde la

pioggia, strariparono i fumi,

soffarono i venti e si

abbatterono su quella

casa, ma essa non cadde,

perché era fondata sulla

roccia. 26 Chiunque ascolta

queste mie parole e non le

mette in pratica, sarà simile

a un uomo stolto, che

ha costruito la sua casa

sulla sabbia. 27 Cadde la

pioggia, strariparono i fumi,

soffarono i venti e si

abbatterono su quella

casa, ed essa cadde, e la

sua rovina fu grande.

La parabola delle «due case», l’una costruita sulla roccia della Parola e l’altra sulla

sabbia dell’indifferenza, è dunque la spiegazione del tema «fare la volontà del Padre

» cioè del mettere in pratica. In termini moderni si può parlare di rapporto

essenziale e vitale tra ortodossia e ortoprassi: deve esistere e vedersi una corrispondenza

diretta tra le scelte pratiche della vita (ortoprassi) e le motivazioni

ideali, il principio di fondo (ortodossia) che ispira quelle scelte. Senza un rapporto

dinamico e vitale tra l’ideale la vita, tra le scelte e la fede, si cade nell’ideologia

che spesso serve a coprire nefandezze frutto dello scollamento tra «dire e fare»

e che il popolo nella sua saggezza a codifcato nel detto: «predica bene, ma razzola

male». L’ideologo, in genere, cammina rapito con la testa sopra le nuvole da

non vedere come le sue scelte di vita sono in fagrante contraddizione con i gli

stessi principi asseriti.

I versetti di Mt 7,22-23, che prolungano l’ammonimento del v. 21, probabilmente

sono stati aggiunti successivamente perché caricano inutilmente la linearità del

versetto in questione; ne è prova che nel passo parallelo di Lc questi due versetti

mancano (cf. Lc 6,46-49). L’ammonimento del v. 2I ruota attorno al binomio «fare–

non fare», mentre la parabola delle due case riportata dal vangelo di oggi è imperniata

sul binomio «ascoltare–fare» (o «non fare»: vv. 24.26)2. Questi tre richiami

al «fare/non fare la volontà del Padre» e «ascoltare–non mettere in pratica» sono

un evidente anticipo della parabola dei due fgli che il padre manda nella vigna (Mt

21,28-31) e che lo stesso Gesù legge come discriminante della valutazione fnale

tra coloro che materialmente appartengono al mondo della religione rituale e

che presumono di essere in diritto di primogenitura e coloro che la religione delle

apparenze espelle in nome in nome di una purità formale e che invece, in forza

delle loro scelte di vita, si trovano ad essere molto più vicini al cuore di Dio di

quanto essi stessi non ne hanno coscienza (cf. Mt 21,31b-32).

Il vangelo ripropone il problema del rapporto «religione–fede»: si può essere religiosi,

anzi religiosissimi e vivere di opere rituali, con celebrazioni perfette, processioni

e riti a sazietà, vivere cioè la religiosità del «dire» e nello stesso tempo essere

distanti dalla fede che si nutre di Parola e si abbandona alla volontà del Padre.

Credere è vivere le esigenze etiche ed esistenziali degli imperativi del Vangelo

nella logica di una vita di giustizia e di condivisione che assume in sé la storia e le

sue contraddizioni, caricandosi come Cristo il peso e il peccato del mondo affnché

tutti si salvino, secondo la prospettiva della volontà del Padre (1Tm 2,4; Gv

6,39). Si può vivere dalla mattina alla sera in chiesa e vivere una vita pagana; si può

stare tutta una vita fuori della chiesa e vivere secondo lo Spirito, perché nessuno

può imbrigliare Dio nelle categorie anguste della propria visione di vita. La categoria

teologica del «fuori della Chiesa non c’è salvezza», formalmente esatta, può

e deve essere tradotta più coerentemente con «fuori dello Spirito non c’è salvezza

», che infne si riduce al principio di sintesi di tutto il vangelo: «fuori dell’Amore,

non c’è salvezza». Nessuno può ardire di misurare le potenzialità o stabilire i

confni dello Spirito in forza del perimetro della propria sacrestia.

Mt è preoccupato da un punto di vista catechetico, specialmente se si considera

che il suo vangelo è indirizzato in prevalenza a cristiani provenienti dal giudaismo

e quindi ossessionati dall’osservanza «materiale» delle prescrizioni religiose, specialmente

quelle concernenti la purità rituale. Lo stesso tema è ripreso e con parole

forti affrontato anche da Giacomo (cf. Gc 1,22-25) e da Paolo in termini veementi.

Mt scrive verso la fne del sec. I d. C. e già teme che il formalismo di appartenenza

prenda il sopravvento sulla genuinità dell’adesione all’idea del Regno. In

questo contesto di formalismo religioso eccessivo si spiega l’inserzione qui dovuta

alla mano del redattore fnale di Mt 7,22-23, dove si fa esplicito riferimento alla

vacuità e inutilità di una religione ossessivamente chiusa in se stessa e avvitata nei

2 La ricorrente espressione «Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21; 10,32.33; 12,50; 16,17;

18,10.19) è della mano del redattore fnale.

suoi riti senza vita che Gesù stesso bolla come «opere d’iniquità». Molti di noi

hanno forse fatto l’esperienza di parrocchie dove attorno al parroco ruota un

certo numero di laici che, all’inizio erano presi da forti ideali di adesione al

vangelo e alla fne si sono trasformati in una siepe impenetrabile che ha fnito per

impedire agli esterni di avvicinarsi e al parroco di andare fuori. Molte parrocchie

sono chiuse in piccole sètte di laici clericali che impongono uno stile senza vita e

senza senso; i parroci non hanno la forza o la voglia di rompere questo cerchio

mortale e si atrofzzano, svilendo la rivoluzione del vangelo in camomilla

tranquillante.

Forse nella comunità a cui si rivolge Matteo vi erano persone ben identifcabili,

magari molto impegnate nell’organizzazione, forse anche dotati di carismi eclatanti,

ma che conducevano una vita «a prescindere» dalle esigenze etiche della fede,

come anche Paolo ha dovuto sperimentare a Corinto (cf. 1Cor 12-13): a costoro

Mt ricorda che la fede è un appello alla coscienza che impone anche un impegno

visibile. Se guardiamo attorno a noi, non possiamo non constatare che nelle chiese

si legge e proclama il vangelo da duemila anni, eppure nelle zone dove più si è

espresso un cristianesimo e una religiosità di appartenenza, è saltato il tappo e

vengono fuori le aberrazioni più esasperate, i razzismi più feroci, gli antisemitismi

viscerali e i sentimenti xenofobi da lager nazista da parte di coloro che si fanno

vanto di essere cristiani e fanno ogni giorno i gargarismi con i «valori» da difendere

e da porre come baluardo di una fantomatica «civiltà cristiana». Non è il

problema del vangelo che espone la realtà umana come si dovrebbe vedere dal

punto di vista di Dio, cioè dell’interesse integrale di ciascuna persona vivente sul

pianeta terra; il problema è che chi legge il vangelo si ferma alla lettura e non cer -

ca strumenti e metodi adeguati per fare analisi d’intervento. Ci provò la Chiesa

dell’America Latina con le teologie della liberazione: con la scusa che utilizzava

metodi di analisi marxista fu perseguitata, decapitata e annientata con il risultato

che oggi il continente latinoamericano è una palestra di sètte e gruppuscoli che

tutto cercano tranne il bene del popolo, in funzione del potere dominante e delle

oligarchie economiche, usando delle Scritture come si usa di una droga consolatoria

e imbonitrice. Il rapporto tra «dire» e «fare/mettere in pratica» è tutto qui:

il credente deve scegliere e adottare un metodo di analisi e di lettura della storia

che possa quadrare con la prospettiva del Vangelo e poi andare fno in fondo, impegnandosi

a servizio del popolo di Dio dentro e fuori i confni della Chiese, a

servizio defnitivo non di questa o quella religione, ma del Regno di Dio che viene

dal futuro, ma cammina in avanti con le gambe delle persone e nelle scelte dei

singoli e dei gruppi. Non si può stare sempre in cattedra senza mai scendere sulle

strade della vita concreta delle persone. Gesù oggi ci dice che dobbiamo valutare

le fondamenta delle nostre scelte per verifcare se sotto c’è la roccia o c’è la sabbia

e questo impone un coinvolgimento diretto, un impegno nella città dell’uomo,

sapendo che essa e solo essa è la premessa della città di Dio. Solo la Parola di

Dio nella Chiesa è insindacabile; tutto il resto, comprese le scelte e le proposte

dell’autorità, deve essere valutato in base al criterio del discernimento, che Paolo

enuncia così: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21). Alla fne

della storia non saremo giudicati sull’obbedienza, ma se avremo messo in pratica

la Parola che ci genera «nella libertà della gloria dei fgli di Dio» (cf. Rm 8,21).

- pro manuscripto -

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