Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)
LECTIO DIVINA
“Non chi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli,
ma colui che fa la volontà del Padre...”
(cf. Mt 7,21)
Dopo un’opportuna introduzione, si può invocare lo Spirito Santo con il canone Veni Sancte Spiritus
oVieni, Spirito Creatore (Taizè), o altra preghiera simile, come la seguente.
P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare
la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà.
Fa’ tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella
tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,
contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e
a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnovamento dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto nei secoli dei secoli. A.: Amen.
Canto (facoltativo): Alleluia (Taizè).
L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Matteo
(Mt 7,21-27; trad. CEI 2008).
[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:] 21 «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”,
entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli. 22 In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato
nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo
nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. 23 Ma allora io dichiarerò loro:
“Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. 24 Perciò
chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo sag -
gio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi,
soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata
sulla roccia. 26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà
simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde,
e la sua rovina fu grande».
Segue la meditazione della Parola proposta dalla guida della celebrazione; dopo un momento personale di
silenzio per la lectio, si prosegue con la condivisione comune sulla Parola ascoltata. Al termine, ognuno
dei presenti può proporre un’intenzione di preghiera; ad ognuna, l’assemblea canta o risponde con un’acclamazione.
Si conclude con la preghiera del Padre nostro… [e la benedizione finale].
Note di esegesi per la comprensione del testo
Il brano del vangelo riportato nella liturgia di oggi è tratto dal capitolo 7 di Mt,
quasi in conclusione del “discorso della montagna” di Gesù, che abbiamo ascoltato
in queste settimane. Questo capitolo, ancora nello stadio orale e comunque
prima della redazione fnale come oggi la possediamo, era composto da tre ammonimenti
severi, ognuno dei quali era seguita da un'illustrazione esplicativa, da cui
rileviamo la fnalità strettamente catechetica per cui i vangeli furono redatti1. Di
seguito lo schema completo:
Ammonimenti severi (Mt 7) Illustrazioni (Mt 7)
1. vv. 1-2 1 Non giudicate, per non essere
giudicati; 2 perché con il
giudizio con il quale giudicate
sarete giudicati voi e con
la misura con la quale misurate
sarà misurato a voi.
vv. 3-5 3 Perché guardi la pagliuzza
che è nell’occhio del tuo
fratello, e non ti accorgi
della trave che è nel tuo
occhio? 4 O come dirai al
tuo fratello: “Lascia che
tolga la pagliuzza dal tuo
occhio”, mentre nel tuo
occhio c’è la trave? 5 Ipocrita!
Togli prima la trave
dal tuo occhio e allora ci
vedrai bene per togliere la
pagliuzza dall’occhio del
tuo fratello.
2. v. 15 15 Guardatevi dai falsi profeti,
che vengono a voi in veste di
pecore, ma dentro sono lupi
rapaci!
vv. 16-20 16 Dai loro frutti li riconoscerete.
Si raccoglie forse
uva dagli spini, o fchi dai
rovi? 17 Così ogni albero
buono produce frutti buoni
e ogni albero cattivo
produce frutti cattivi; 18 un
albero buono non può
1 R. FABRIS (Matteo, Roma 1982, 180-187) propone un’altra divisione, presentando il brano
odierno come quarta suddivisione della sezione 7,13-29, alla luce delle tematiche «binarie
»: a) le due porte e le due vie: salvezza e rovina (7,13-14); b) i falsi profeti, pecore e
lupi: criterio di discernimento (7,15-20); c) veri e falsi discepoli: coerenza tra dire e fare
(7,21-23); d) le due case: unità tra ascoltare e fare (7,24-27).
produrre frutti cattivi, né
un albero cattivo produrre
frutti buoni. 19 Ogni albero
che non dà buon frutto
viene tagliato e gettato nel
fuoco. 20 Dai loro frutti
dunque li riconoscerete.
3. v. 21 21 Non chiunque mi dice: “Signore,
Signore”, entrerà nel
regno dei cieli, ma colui che
fa la volontà del Padre mio
che è nei cieli.
vv. 24-27 24 Perciò chiunque ascolta
queste mie parole e le
mette in pratica, sarà simile
a un uomo saggio, che
ha costruito la sua casa
sulla roccia. 25 Cadde la
pioggia, strariparono i fumi,
soffarono i venti e si
abbatterono su quella
casa, ma essa non cadde,
perché era fondata sulla
roccia. 26 Chiunque ascolta
queste mie parole e non le
mette in pratica, sarà simile
a un uomo stolto, che
ha costruito la sua casa
sulla sabbia. 27 Cadde la
pioggia, strariparono i fumi,
soffarono i venti e si
abbatterono su quella
casa, ed essa cadde, e la
sua rovina fu grande.
La parabola delle «due case», l’una costruita sulla roccia della Parola e l’altra sulla
sabbia dell’indifferenza, è dunque la spiegazione del tema «fare la volontà del Padre
» cioè del mettere in pratica. In termini moderni si può parlare di rapporto
essenziale e vitale tra ortodossia e ortoprassi: deve esistere e vedersi una corrispondenza
diretta tra le scelte pratiche della vita (ortoprassi) e le motivazioni
ideali, il principio di fondo (ortodossia) che ispira quelle scelte. Senza un rapporto
dinamico e vitale tra l’ideale la vita, tra le scelte e la fede, si cade nell’ideologia
che spesso serve a coprire nefandezze frutto dello scollamento tra «dire e fare»
e che il popolo nella sua saggezza a codifcato nel detto: «predica bene, ma razzola
male». L’ideologo, in genere, cammina rapito con la testa sopra le nuvole da
non vedere come le sue scelte di vita sono in fagrante contraddizione con i gli
stessi principi asseriti.
I versetti di Mt 7,22-23, che prolungano l’ammonimento del v. 21, probabilmente
sono stati aggiunti successivamente perché caricano inutilmente la linearità del
versetto in questione; ne è prova che nel passo parallelo di Lc questi due versetti
mancano (cf. Lc 6,46-49). L’ammonimento del v. 2I ruota attorno al binomio «fare–
non fare», mentre la parabola delle due case riportata dal vangelo di oggi è imperniata
sul binomio «ascoltare–fare» (o «non fare»: vv. 24.26)2. Questi tre richiami
al «fare/non fare la volontà del Padre» e «ascoltare–non mettere in pratica» sono
un evidente anticipo della parabola dei due fgli che il padre manda nella vigna (Mt
21,28-31) e che lo stesso Gesù legge come discriminante della valutazione fnale
tra coloro che materialmente appartengono al mondo della religione rituale e
che presumono di essere in diritto di primogenitura e coloro che la religione delle
apparenze espelle in nome in nome di una purità formale e che invece, in forza
delle loro scelte di vita, si trovano ad essere molto più vicini al cuore di Dio di
quanto essi stessi non ne hanno coscienza (cf. Mt 21,31b-32).
Il vangelo ripropone il problema del rapporto «religione–fede»: si può essere religiosi,
anzi religiosissimi e vivere di opere rituali, con celebrazioni perfette, processioni
e riti a sazietà, vivere cioè la religiosità del «dire» e nello stesso tempo essere
distanti dalla fede che si nutre di Parola e si abbandona alla volontà del Padre.
Credere è vivere le esigenze etiche ed esistenziali degli imperativi del Vangelo
nella logica di una vita di giustizia e di condivisione che assume in sé la storia e le
sue contraddizioni, caricandosi come Cristo il peso e il peccato del mondo affnché
tutti si salvino, secondo la prospettiva della volontà del Padre (1Tm 2,4; Gv
6,39). Si può vivere dalla mattina alla sera in chiesa e vivere una vita pagana; si può
stare tutta una vita fuori della chiesa e vivere secondo lo Spirito, perché nessuno
può imbrigliare Dio nelle categorie anguste della propria visione di vita. La categoria
teologica del «fuori della Chiesa non c’è salvezza», formalmente esatta, può
e deve essere tradotta più coerentemente con «fuori dello Spirito non c’è salvezza
», che infne si riduce al principio di sintesi di tutto il vangelo: «fuori dell’Amore,
non c’è salvezza». Nessuno può ardire di misurare le potenzialità o stabilire i
confni dello Spirito in forza del perimetro della propria sacrestia.
Mt è preoccupato da un punto di vista catechetico, specialmente se si considera
che il suo vangelo è indirizzato in prevalenza a cristiani provenienti dal giudaismo
e quindi ossessionati dall’osservanza «materiale» delle prescrizioni religiose, specialmente
quelle concernenti la purità rituale. Lo stesso tema è ripreso e con parole
forti affrontato anche da Giacomo (cf. Gc 1,22-25) e da Paolo in termini veementi.
Mt scrive verso la fne del sec. I d. C. e già teme che il formalismo di appartenenza
prenda il sopravvento sulla genuinità dell’adesione all’idea del Regno. In
questo contesto di formalismo religioso eccessivo si spiega l’inserzione qui dovuta
alla mano del redattore fnale di Mt 7,22-23, dove si fa esplicito riferimento alla
vacuità e inutilità di una religione ossessivamente chiusa in se stessa e avvitata nei
2 La ricorrente espressione «Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21; 10,32.33; 12,50; 16,17;
18,10.19) è della mano del redattore fnale.
suoi riti senza vita che Gesù stesso bolla come «opere d’iniquità». Molti di noi
hanno forse fatto l’esperienza di parrocchie dove attorno al parroco ruota un
certo numero di laici che, all’inizio erano presi da forti ideali di adesione al
vangelo e alla fne si sono trasformati in una siepe impenetrabile che ha fnito per
impedire agli esterni di avvicinarsi e al parroco di andare fuori. Molte parrocchie
sono chiuse in piccole sètte di laici clericali che impongono uno stile senza vita e
senza senso; i parroci non hanno la forza o la voglia di rompere questo cerchio
mortale e si atrofzzano, svilendo la rivoluzione del vangelo in camomilla
tranquillante.
Forse nella comunità a cui si rivolge Matteo vi erano persone ben identifcabili,
magari molto impegnate nell’organizzazione, forse anche dotati di carismi eclatanti,
ma che conducevano una vita «a prescindere» dalle esigenze etiche della fede,
come anche Paolo ha dovuto sperimentare a Corinto (cf. 1Cor 12-13): a costoro
Mt ricorda che la fede è un appello alla coscienza che impone anche un impegno
visibile. Se guardiamo attorno a noi, non possiamo non constatare che nelle chiese
si legge e proclama il vangelo da duemila anni, eppure nelle zone dove più si è
espresso un cristianesimo e una religiosità di appartenenza, è saltato il tappo e
vengono fuori le aberrazioni più esasperate, i razzismi più feroci, gli antisemitismi
viscerali e i sentimenti xenofobi da lager nazista da parte di coloro che si fanno
vanto di essere cristiani e fanno ogni giorno i gargarismi con i «valori» da difendere
e da porre come baluardo di una fantomatica «civiltà cristiana». Non è il
problema del vangelo che espone la realtà umana come si dovrebbe vedere dal
punto di vista di Dio, cioè dell’interesse integrale di ciascuna persona vivente sul
pianeta terra; il problema è che chi legge il vangelo si ferma alla lettura e non cer -
ca strumenti e metodi adeguati per fare analisi d’intervento. Ci provò la Chiesa
dell’America Latina con le teologie della liberazione: con la scusa che utilizzava
metodi di analisi marxista fu perseguitata, decapitata e annientata con il risultato
che oggi il continente latinoamericano è una palestra di sètte e gruppuscoli che
tutto cercano tranne il bene del popolo, in funzione del potere dominante e delle
oligarchie economiche, usando delle Scritture come si usa di una droga consolatoria
e imbonitrice. Il rapporto tra «dire» e «fare/mettere in pratica» è tutto qui:
il credente deve scegliere e adottare un metodo di analisi e di lettura della storia
che possa quadrare con la prospettiva del Vangelo e poi andare fno in fondo, impegnandosi
a servizio del popolo di Dio dentro e fuori i confni della Chiese, a
servizio defnitivo non di questa o quella religione, ma del Regno di Dio che viene
dal futuro, ma cammina in avanti con le gambe delle persone e nelle scelte dei
singoli e dei gruppi. Non si può stare sempre in cattedra senza mai scendere sulle
strade della vita concreta delle persone. Gesù oggi ci dice che dobbiamo valutare
le fondamenta delle nostre scelte per verifcare se sotto c’è la roccia o c’è la sabbia
e questo impone un coinvolgimento diretto, un impegno nella città dell’uomo,
sapendo che essa e solo essa è la premessa della città di Dio. Solo la Parola di
Dio nella Chiesa è insindacabile; tutto il resto, comprese le scelte e le proposte
dell’autorità, deve essere valutato in base al criterio del discernimento, che Paolo
enuncia così: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21). Alla fne
della storia non saremo giudicati sull’obbedienza, ma se avremo messo in pratica
la Parola che ci genera «nella libertà della gloria dei fgli di Dio» (cf. Rm 8,21).
- pro manuscripto -
sabato 5 marzo 2011
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