Matteo 5. 1-12 - Le beatitudini di Gesù.
Il brano delle “Beatitudini” proposto da Matteo risente della mentalità giudaica
della comunità cristiana delle origini, anche nei suoi aspetti apparentemente più
banali; il vangelo riporta otto beatitudini (l’ultima, la nona, è un aggiunta posteriore),
ossia sette beatitudini più una, per dire che il discorso programmatico di
Gesù ha una prospettiva di pienezza abbondante. Le beatitudini, infatti, sono l’introduzione
al primo dei cinque discorsi di Gesù, che Matteo presenta come nuovo
Mosè, come legislatore dell’Alleanza nuova.1 A nessuno sfugge il particolare
che al v. 1 l'autore usa la stessa espressione di Es 19,3: «Mosè salì sulla montagna
di Dio…». Anche Gesù «salì sulla montagna», segno evidente che l’evangelista
vuole porre un parallelo tra i due personaggi. Mosè sulla montagna del Sinai per
ricevere la Toràh è solo: infatti, in Es 19,12 nessuno può salire sulla montagna,
pena la morte. Nella nuova alleanza sul monte, è Dio stesso che convoca le folle
e discepoli possono accostarsi a lui (v. 1). Mosè riceve la Toràh scritta in tavole di
pietra, mentre Gesù parla direttamente al popolo radunato, senza intermediari (v.
2). La Toràh di Mosè era piena di divieti e sanzioni, tanto che la tradizione aveva
individuato ben 365 precetti negativi da osservare, uno per ogni giorno dell’anno,
insieme ai 248 positivi, che corrispondono al numero delle ossa e delle nervature
che compongono il corpo umano. Dal monte di Cristo scendono invece otto
beatitudini, cioè la pienezza messianica della felicità, indirizzata ai poveri, cioè a
coloro che sono esclusi sia dalla società civile che da quella religiosa.
Alcuni codici antichi riportano una variante di testo: la 4a e la 5a beatitudine sono
invertite, di modo che alla prima che dichiara la beatitudine dei poveri (v. 3) segua
quella che dichiara beati i miti (v. 5). La logica della variante di testo sta nel fatto
che in aramaico lo stesso termine ‘ane/‘anì sta sia per povero che per mite, per
cui la seconda beatitudine sarebbe un prolungamento della prima e una sua lettura
spirituale. Non basta la povertà materiale per essere poveri quanto allo spirito,
perché la povertà sociale senza una qualità morale è una condanna alla disperazione.
Usando la stessa parola aramaica per esprimere due concetti, Mt esprime
le due dimensioni: la povertà sociologica e la mitezza interiore. Se accettiamo la
variante, ci troviamo di fronte ad una costruzione straordinaria che esprime un
messaggio teologico anche attraverso il signifcato dei numeri (ghematrìa) che noi
occidentali abbiamo perso del tutto. Possiamo verifcarlo con una traduzione letterale
del testo e verifcando la struttura linguistica e numerica del brano:
1 Vedendo poi le folle salì su la montagna e mettendosi seduto gli s’accostarono i suoi discepoli;
2 e aprendo la sua bocca ammaestrò loro dicendo: [24 parole] [24]
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1 Nei capp. 5-6 del vangelo è riportato il “discorso della montagna”, quasi la costituente
del nuovo Regno; al cap. 10 quello sulla missione; al cap. 13 quello sul Regno; al cap. 18
quello sulla comunità dei nuovi credenti; ai capp. 24-25 quello escatologico. Per Matteo,
Gesù pronuncia cinque discorsi, come Mosè che, secondo la tradizione giudaica, è l’autore
dei primi cinque libri della Bibbia, la Toràh o Pentateuco.
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3 Beati i poveri in spirito, perché loro è il regno dei cieli [12 parole] [12]
5 Beati i miti perché essi erediteranno la terra [8 parole]
4 Beati gli affitti, perché saranno consolati [6 parole] [26]
6 Beati gli affamati e assetati della giustizia, perché saranno saziati [10 parole]
7 Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia [6 parole]
8 Beati i puri di cuore perché essi il Dio vedranno [10 parole] [26]
9 Beati i pacifcatori perché saranno chiamati fgli di-Dio [8 parole] [8]
10 Beati i perseguitati per giustizia, perché loro è il Regno dei cieli [12 parole] [12]
I vv. 1-2 sono l’ambientazione teologico-geografca e sono formati da 24 parole,
cioè 12+12. Mosè portava la Toràh per le 12 tribù d’Israele, Gesù parla anche all'altro
Israele simboleggiato dai 12 apostoli. La 1a beatitudine riprende il numero
12 per dire che sono dichiarati beati gli anawim, cioè i poveri di YHWH di tutti i
tempi. Nel nuovo Regno si entra solo da poveri e il nuovo popolo sarà formato
solo da poveri, da uomini e donne abbandonati alla volontà di Dio. Ecco il senso
delle 12 parole che formano la 1a beatitudine. Anche l’ultima beatitudine contiene
12 parole: tutte le beatitudini sono per la totalità dei popoli rappresentati da
Israele e dalla Chiesa. Le prime sei divise a gruppi di tre hanno lo stesso numero
fnale di parole: 26 il primo e 26 il secondo gruppo. Il numero 26 in ebraico è il
valore numerico del Nome di Dio, YHWH (10+5+6+5=26): il cuore della rivelazione
di Gesù è YHWH, il Padre, come Gv afferma nel prologo (cf. 1,18). La beatitudine
della pace riprende il numero 8 che è il numero messianico per eccellenza
e la pace è il dono messianico che riassume tutti gli altri. L’ultima, l’ottava beatitudine,
ritorna al numero 12, il numero delle tribù e degli apostoli, quasi presagendo
che non può esserci regno senza persecuzione, non può esserci giustizia a buon
mercato o frutto di compromessi, ma solo nella fedeltà piena, che esige anche la
vita.
Da queste indicazioni secondo il metodo esegetico ebraico ricaviamo che la santità
di Dio è il suo Nome, partecipato a tutti i popoli in Gesù venuto a radunarli
sul monte delle beatitudini per formare un unico popolo (cf. Gal 3,28). Le beatitudini
pertanto sono il metodo che Gesù ci consegna per essere santi come Dio è
santo (cf. Lv 19,2; 1Pt 1,16): otto beatitudini, cioè otto atteggiamenti interiori, che
ribaltano la la logica del mondo e dei poteri di ogni tempo.
Povero è chi non ha posizioni da difendere, ma chi sa di dovere dipendere da altri.
Il povero protende le mani e dipende dall’amore accogliente dell’altro. Il vero povero
nello spirito è Gesù che si è affdato tutto alla volontà del Padre e completamente
nelle mani degli uomini che ne hanno fatto scempio. Mite (che in aramaico
è lo stesso termine che povero) aggiunge a questo una qualità interiore, una
valore morale che rende la povertà materiale un atteggiamento dello spirito, sull’esempio
di Gesù che si presenta come mite ed umile (Mt 11,29; 21,5) e chiede ai
suoi discepoli di imitarlo (2Cor 10,1; Gal 5,23; Tt 3,2; 1Pt 3,16). Affitto (lett.,
colui/colei che è nel lutto) è chi sta lontano da Gerusalemme e dal Tempio perché
in esilio; questi crede nella consolazione promessa dal profeta Isaia (cf. 40,1) e
quindi sa aprirsi all’intervento imprevedibile di Dio, giunto nell’uomo di Nazareth
(Lc 2,25). Misericordioso è chi esercitano la carità e il perdono, perché in ebraico
misericordia ha attinenza con rahamim, “viscere, utero” che forma e genera. Essi
esercitano un’azione materna in quanto genera e in quanto rinnova: è il senso del
nostro chiedere misericordia nella preghiera, certi di essere trasformati da Dio. I
costruttori di pace sono coloro che non hanno pregiudizi e quindi sono liberi nelle
loro relazioni con gli altri per cui non hanno atteggiamenti ostili. In ebraico, la
pace (shalom) è il primo e la somma dei beni messianici, tanto da essere sinonimo
di salvezza. Nominando i puri di cuore, Mt fa riferimento alla purità cultuale che i
Farisei avevano relegato alla sfera esteriore, mentre ora Gesù la trasferisce a
quella del cuore, cioè alla coscienza (15,1-20) per un culto spirituale in un Tempio
spirituale (Rom 12,1): il rapporto con Dio tre volte Santo (cf Is 6, 3; Ap 4, 8) non è
più in un luogo, ma una comunione di cuori (cf. Mt 15,1-20). Perseguitati a causa
della giustizia sono coloro che hanno coscienza del progetto salvifco di Dio, vi
aderiscono e collaborano perché ne possano benefciare anche quelli che
apparentemente non ne avrebbero diritto. Essi, infatti, hanno il senso della
giustizia di Dio che accoglie il peccatore prima ancora che questi abbia espiato la
colpa. Gli affamati e gli assetati di giustizia prendono posizione in difesa di chi non
può difendersi, di chi non ha voce, di chi non è considerato: sono i giusti che si
fanno carico delle ingiustizie per camminare con i fratelli e le sorelle crocifssi
sulle vie del mondo. Piuttosto che recriminare contro gli altri, essi sondano la
propria coscienza per adeguarla sempre più all’ideale delle beatitudini, la santità
come perfezione dell'amore. Essere santi come credenti signifca essere coloro che
scelgono di vivere la loro vita sull’esempio e sul modello di Gesù, povero nello
spirito e mite di cuore; affitto sulla croce e puro di cuore fno al perdono dei suoi
carnefci; artefce e costruttore di pace che accoglie nel suo Regno il compagno di
morte e di risurrezione; perseguitato per la giustizia di Dio perché si è
immedesimato nella volontà del Padre, diventando così egli stesso giustifcazione
di tutta l’umanità di tutti i tempi.
sabato 31 ottobre 2009
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