sabato 20 novembre 2010

Approfondiamo la Parola: Luca 23,32-43 - La lectio del prete Camine Miccoli

+ O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare la tua


parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’ tacere in noi ogni

altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella tua parola, letta, ma non

accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita, contemplata, ma non realizzata,

manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro

incontro con la tua parola sarà rinnovamento dell’alleanza e comunione con te e con il

Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto nei secoli dei secoli. A.: Amen.


L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Luca (23,[33]35-43; trad. CEI 2008).

[33 Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, [i soldati] vi crocifissero lui e i malfattori,
uno a destra e l'altro a sinistra. 34 Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché
non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.]
35 Il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri!
Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36 Anche i soldati lo deridevano, gli si
accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: 37 «Se tu sei il re dei Giudei, salva te
stesso». 38 Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso
e noi!». 40 L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu
che sei condannato alla stessa pena? 41 Noi, giustamente, perché riceviamo quello che
abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42 E disse:
«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 43 Gli rispose: «In verità io
ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Note di esegesi per la comprensione del testo

Il brano che abbiamo appena letto è tratto dal racconto della passione di Gesù, il

nucleo più imporante e più antico del Vangelo; con esso siamo invitati a rifettere

sulla realtà del Regno di Dio e sulla messianicità singolare di Gesù che bisogna

ben intendere, per cogliere la novità della fede nel Risorto.

Il versetti che parlano della crocifssione (vv. 33-34, non riportati dalla liturgia domenicale)

sono seguiti dal nostro brano, che si divide in due parti distinte: i vv. 35-38

descrivono la parodia della investitura regale di Gesù; i vv. 39-43 l’episodio dei

due ladroni, dove si può vedere la mano propria di Lc. Gesù è re, ma esercita la

sua regalità in maniera particolare, perché non somiglia a nessun sovrano e potente

di questa terra, come egli stesso dice a Pilato (cf. Gv 18,36-37). Il suo trono

non è un seggio di oro e pietre preziose, ma il supplizio della croce; la sua corte

non sono dignitari e nobili, ma i rifuti dell’umanità, malfattori e assassini. Sul trono

della gogna c’è il suo stemma: «“Costui” è il Re dei Giudei» (v. 38), ma Lc non

dice che è il motivo della condanna come invece afferma Mt 27,37. I capi lo

scherniscono, come anche i soldati pagani, mentre il popolo «sta a guardare»: il

popolo sta sempre a guardare e non si sporca mai le mani direttamente, ma si

predispone a correre dietro come massa a chi ha in animo di ingannarlo e coinvolgerlo

in un’avventura di potere, pronto a saltare sul carro del vincitore di turno.

L’intronizzazione da burla diventa, come sempre nel vangelo, una profezia che

i presenti non sanno cogliere (cf. Gv 19,1-3). L’iscrizione sulla croce sostituisce la

formula di consacrazione e di investitura, come avvenne nel battesimo, quando il

Padre fece udire la sua voce: «Tu sei il mio Figlio, il prediletto: in te mi sono compiaciuto

» (Lc 3,22), o come nella trasfgurazione, prima d’intraprendere l’esodo

verso Gerusalemme, quando dalla nube si udi la voce del Padre che investiva il Figlio

come suo Messia: «Questi è il mio Figlio, l’eletto; ascoltatelo» (Lc 9,35). Ora

non c’è più la voce del Padre perché il Figlio deve sperimentare la condizione

umana fno alla feccia, senza sconti e senza scorciatoie: per incontrare gli esseri

umani, anche Dio deve passare attraverso la solitudine, l’abbandono, il fallimento,

la disperazione, la morte. Gesù è solo con la sua missione di Figlio e con la sua

regalità derisa: chi può credere a questo re crocifsso, tra due malfattori? Gesù fa

paura al potere civile e religioso e per questo deve essere eliminato. I soldati, custodi

armati di un potere fasullo perché non si regge senza armi, chiedono che dimostri

i veri titoli della sua regalità. Essi pretendono i titoli esteriori, espressione

della prepotenza del potere: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso» (v. 37)1.

Per salvarsi dalla morte, Gesù avrebbe dovuto venire meno alla sua identità di Figlio

che offre la vita per amore fedele. Il popolo è accecato da chi lo manovra e

1 Lc mette in bocca ai soldati le parole che invece in Mt 27,42-43 più logicamente mette

in bocca ai capi del popolo; è questo un altro segno che Lc vuole addolcire le responsabilità

della morte di Gesù da parte dei Giudei.

lo inganna, come sempre, e non sa vedere quello che è davanti ai suoi occhi,

come vero e proprio «spettacolo» terribile e sublime (v. 35).

La seconda parte, che riguarda il racconto dei due ladroni (vv. 39-43), è propria di

Lc, sebbene la notizia scarna appartenga alla tradizione sinottica (cf. Mt 27,38; Mc

15,28). La Toràh di Mosè stabilisce che la morte deve essere testimoniata da due

o tre testimoni (Dt 17,6). Nella trasfgurazione i testimoni furono Mosè ed Elia,

cioè la Legge e la Profezia (Lc 9,28-36); nella risurrezione i testimoni saranno due

personaggi misteriosi, angelici (Lc 24,4). Qui i testimoni sono soltanto due volgari

briganti, condannati a morte: la beffa da un punto di vista umano è totale. Chi è il

Cristo? Egli è Re solo percorrendo fno in fondo l’investitura beffarda, fno a toccare

l’abisso dell’ignominia, bevendo il calice fno alla feccia.

Quale messaggio arriva alla noi, alla Chiesa intera da questo trono di scherno?

Quando la Chiesa si schiera con i potenti o fa la corte al potere e a chi lo esercita,

si allontana dal trono della croce; forse diventa importante, forse raggiunge accordi

vantaggiosi, certamente è circuita, adulata e riverita come «potenza», ma

rinnega il suo Signore e Re, il re dei briganti e dei malfattori, il re degli esclusi e

dei reclusi, il re di coloro che non contano nulla, il re dei falliti e dei diseredati: il

Cristo di Dio. La Chiesa è rappresentativa di Cristo quando è perseguitata, insultata

e derisa, mai quando è richiesta di essere alleata di sistemi e di strutture di

peccato. Cristo è un re che anche quando è beffato e deriso, sul trono della croce,

trova ancora la forza di perdonare e accogliere, liberare e salvare. Al brigante

che lo implora non chiede di convertirsi, non chiede nemmeno il pentimento

come premessa del suo perdono, ma lo include nella sua vita e nel suo regno senza

alcuna condizione.

«Oggi con me sarai nel paradiso!» (v. 43): Gesù non afferma che oggi il ladrone sarà

salvo, libero di tornare a casa, ma solo che sarà con lui; le due vite si fondono insieme

nella prospettiva della grazia e del regno. Insieme, nell’unico mondo possibile:

quello del perdono e dell’accoglienza, della dignità che sa riscattare con una

parola anche un brigante sull’orlo della morte. «Io sarò con te» è la formula di fedeltà

di Dio con i patriarchi, con Giosuè, con Israele (Gen 26,3; 31,3; Es 3,12; Dt

31,23; Gs 1,5; 1Re 11,38, etc.), una formula che ora sulla croce si ribalta: non è più

Dio che scende, ma è il brigante che sale a Dio. Nella risposta di Gesù c’è una parola,

«oggi», che teologicamente e spiritualmente è tanto pregnante da formare

un criterio di lettura di tutto il vangelo di Lc che, infatti, può essere letto alla luce

di questo «oggi» (gr. sémeron), che ci dà la dimensione dell’attualità della Parola di

Dio. Il termine ricorre 41 volte nel NT e 11 volte solo nel vangelo di Lc, di cui 8

volte nello stesso senso pregnante del brano odierno:

1. Lc 2,11 Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è Cristo

Signore.

2. Lc 4,21 Allora cominciò a dire: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che

voi avete ascoltato».

3. Lc 5,26 Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio. Pieni di timore,

dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».

4. Lc 19,5 Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo,

scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».

5. Lc 19,9 Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché

anch’egli è fglio di Abramo».

6. Lc 22,34 Gesù gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima

che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi».

7. Lc 22,61 Allora il Signore si voltò e fssò lo sugardo su Pietro, e Pietro si

ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il

gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte».

8. Lc 23,43 Gesù gli rispose: «In verità ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Oggi, noi dove siamo? Dove vogliamo essere? Con chi vogliamo essere? Qual è il

nostro «oggi» di persone, di coppia, di genitori, di fgli, di amici, di testimoni della

vita donata e liberatrice di Cristo nel mondo? Abbiamo «quest'oggi» per rifettere

e pregare e stare ai piedi della Croce, il trono del fallimento di Dio come premessa

della sua investitura regale e nello stesso tempo il trono del perdono senza

condizioni. «Oggi» è il nostro giorno, l’unico che conta per dar senso a tutta la

nostra vita, a tutta la storia umana.

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