sabato 20 marzo 2010

Giornata dei Martiri Missionari

La mia vita appartiene a voi
+ Oscar Arnulfo Romero
(Vescovo di San Salvador - El Salvador in C. A.)

"Sono spesso stato minacciato di morte... Come pastore sono obbligato, per mandato divino, a dare la vita per coloro che amo, che sono salvadoregni, anche per quelli che mi vogliono uccidere. Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare. Ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, possa il mio sangue essere semente di libertà e segno che la speranza sarà presto realtà. Se è accetta a Dio, possa la mia morte servire alla liberazione del mio popolo. Perdono e benedico coloro che ne saranno la causa... perderanno il loro tempo: morirà un Vescovo, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà mai”. La chiara coscienza che la propria vita non era sua, rimbalza da questo testamento spirituale, perla del suo essere ed esistere per la Chiesa e per il suo popolo.
Sono passati ormai 30 anni, da quando quel 24 marzo 1980, Romero venne ucciso da un sicario con un colpo al cuore mentre stava celebrando l'Eucaristia nella cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza. Nell'omelia aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni.
Oggi vogliamo ricordare non solo un martire, ma la nostra stessa provenienza, la radice del nostro esistere: veniamo dalla vita, viviamo nella vita e non possiamo possederla, siamo destinati a lasciarla e a donarla pienamente, a tutti.
Quando Mauricio Funes è stato eletto presidente de El Salvador, nel suo discorso ha citato il "suo maestro e guida spirituale" mons. Romero e quando ha fatto il suo nome è scattato un applauso liberatorio, tutti in piedi e con le lacrime agli occhi. Il ricordare produce sempre lacrime, tristezza, ma anche tanta gioia soprattutto per chi rimane, per chi vive ancora la fatica del dover lottare con chi vuole calpestare i diritti elementari della vita. Chi rimane ha più speranza sapendo che qualcuno ci ha creduto davvero e ha dato la sua vita per questo ideale di giustizia, di pace, senza paura, sapendo che con questo esempio altri potranno avere la forza di continuare a lottare. Ancora oggi piangiamo e soffriamo se ricordiamo chi è morto credendo nel valore essenziale della vita, dono prezioso per tutti, e si mette in prima fila per lottare contro chi la vuole sopprimere.
Uno si rende conto così di appartenere alla vita di tutta l’umanità e di dover agire secondo il valore supremo della vita: donarla. Ricordare che Romero è stato ucciso sicuro e convinto che la vita non apparteneva a se stesso ma all’umanità ci fa riflettere ed è per questo che si piange, si pensa, si parla uno con l’altro quasi a cercar certezze, quasi a voler accertarsi che è proprio così: il bene è stato ucciso. Il bene viene ucciso. Ogni volta che qualcuno in nome di questo bene muore, sentiamo anche noi che la nostra vita non ci appartiene, che potrebbe esserci tolta da un momento all’altro se agiamo in nome di questo bene che è la vita, il benessere per tutti. Sono ancora molti quelli che muoiono in nome di Cristo, offrendo il loro sangue a causa della fedeltà al Vangelo (cfr. Mt 5,11-12), seme di un’umanità nuova, perché risorta!

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