GESU’ il FIGLIO, fa festa per noi con il PADRE
La 4a domenica di Quaresima è improntata al tema della gioia. Anticamente in questo
giorno si interrompeva il digiuno che caratterizzava la Quaresima perché segna la metà
del cammino penitenziale. La prima parola della liturgia è «Laetare, rallegrati!», che apre
l’antifona d’ingresso, tratta da due versetti del Terzo Isaia (Is 66,10-11). Il tema della
gioia è anche il cuore della parabola del «padre di due figli» ribelli, riduttivamente conosciuta
come parabola del figliol prodigo. Al brano di Lc si potrebbero dare molti titoli,
nessuno dei quali ha esaurito la prospettiva del racconto evangelico; quello però
che si può dire con certezza è che questa parabola contiene il cuore del messaggio
evangelico e si potrebbe sintetizzare come «annuncio di gioia» perché il comportamento
di Gesù è scandaloso agli occhi del perbenismo moralistico e puritano: egli accoglie,
s’intrattiene e parla e mangia con la feccia dell’umanità del suo e di ogni tempo.
Tutti/e coloro che erano al suo tempo condannati, evitati, emarginati, vilipesi, violati e
odiati diventano i privilegiati del suo vangelo, i beniamini della sua predicazione di un
messaggio pieno di speranza e di gioia. Il tema della gioia, infatti, percorre l’intero capitolo
15 di Lc dall’inizio alla fine, ricorrendo ben otto volte (cf. Lc 15,5-
6.7.9.10.23.24.32).
Le lettura di questa liturgia sono caratterizzate dal «ritorno a casa»: il popolo d’Israele
torna a casa, cioè prende possesso della promessa dell’alleanza dopo 400 anni di esilio
in terra di Egitto e 40 anni di peregrinazione nomade nel deserto; il figlio più giovane
della parabola lucana lascia la casa e va in esilio in terra lontana, che scambia per terra
della sua libertà, confondendo, come i suoi antenati, la libertà con le cipolle e i cocomeri
d’Egitto (cf. Nm 11,5-6), barattando la realtà della sua casa e di suo padre con ciò
che è lontano e che ancora non esiste, se non nella sua immaginazione. Lontano dal
padre, però, egli perde il residuo di libertà che aveva e sperimenta la schiavitù, scivolando
fino all’abisso dell’impurità totale, ritrovandosi a pascolare i porci che la Toràh
proibisce di mangiare e di toccare perché «immondi» (cf. Dt 14,8). Il figlio ormai schiavo
ha nostalgia non della casa di suo padre, ma del benessere che in essa aveva sperimento;
egli non torna per amore del padre che vede come padrone, ma per necessità,
per sfamare la fame (cf. Lc 15,17). Anche se con motivazione insufficiente, torna a
casa, spinto non dalla sua disposizione del cuore, ma dalla forza del padre che non lo
ha mai abbandonato e che come una calamita lo attrae a sé sempre di più. La chiave
del «ritorno a casa» dovrebbe essere la consapevolezza del proprio stato come situazione
di malessere e rimpianto di ciò che si è perduto e volere riprendere le relazioni
spezzate. La Bibbia definisce ciò come «conversione», che in ebraico deriva dal verbo
shûb che contiene l’idea del cambiamento di rotta, dopo una discussione a cui segue un
giudizio. Da esso deriva il sostantivo teshuvàh, che letteralmente significa «risposta»,
dopo aver preso coscienza della realtà e dopo avervi ragionato.
Nella 2a lettura Paolo fa un passo avanti e definisce la «conversione/ritorno» come «ri -
conciliazione», usando il verbo katallàsso, che indica una successione temporale di cambiamento.
Nella lettura di oggi il verbo ricorre tre volte, più due volte con il sostantivo
katallagê, «cambiamento/riconciliazione». In 2Cor 5,20 si trova con un significato particolare,
perché Paolo usa il verbo passivo, «lasciatevi riconciliare», radicando l’intervento
decisivo del cambiamento non nello sforzo o nella volontà della persona, ma nella
natura stessa di Dio, perché è lui che converte, che cambia, che riconcilia (cf. 2Cor
5,18-20). La conversione non è un atteggiamento morale basato sulla volontà, ma una
disponibilità ad entrare nella riconciliazione come opera di Dio per mezzo di Gesù
Cristo. Il profeta Geremia avrebbe usato l’immagine della creta nelle mani del vasaio
che la modella e rimodella finché non trova la forma giusta (cf. Ger 18,6; Sir 33,13). La
conversione, come la intende Paolo, è un atto cristologico e da parte dell’uomo
acquista il senso antropologico di disponibilità all’incontro che genera il cambiamento
(cf. 2Cor 5,17-18). Nella stessa parabola lucana c'è, al centro, questa visione teologica,
che ha permesso ai giudeo-cristiani di accogliere i credenti provenienti dal mondo
pagano. L’accoglienza incondizionata di ogni uomo e donna è conseguenza diretta
della fede nel Dio di Gesù Cristo che non fa differenza tra «giudei e greci». Una sola è
la discriminante: accogliere o rifiutare Cristo (cf. Gv 3,18).
La Quaresima è il tempo dell’accoglienza di Dio che non guarda la nostra etnia, la nostra
cultura, le nostre condizioni personali: egli irrompe nella nostra vita e ci chiede di
accettare la scommessa dell’amore. Chi ama cambia se stesso per adeguarsi alla persona
amata alla quale non chiede alcunché come contropartita, ma solo la gioia di la -
sciarsi amare. Solo chi ama sa abituarsi al cambiamento e sa viverlo come atto d’amore
che noi sperimentiamo nell’Eucaristia e che anticipiamo come premessa e promessa
del mondo futuro che è la dimensione dello Spirito Santo che invochiamo.
Invocazione penitenziale
Signore, lontani da te e soli ci siamo smarriti; abbi pietà di noi.
Signore pietà!
Cristo, come figli ribelli ci siamo allontanati dal Padre e siamo divenuti schiavi; abbi pietà di noi. Cristo pietà!
Signore, non siamo capaci di perdonare gli altri quando sbagliano;
abbi pietà di noi.
Signore pietà!
Preghiera dell’Assemblea
+ O Dio, Padre buono e grande nel perdono, accogli nell'abbraccio del tuo amore i figli che tornano a te con tutto il cuore. Ricoprili delle splendide vesti di salvezza, perché possano gustare la tua gioia nella cena pasquale dell'Agnello, Gesù Cristo… Amen!
LITURGIA DELLA PAROLA
Dal libro di Giosuè
5, 9...12
In quei giorni. Il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l'infamia d'Egitto». Gli Israeliti si accamparono a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico (…) Il giorno dopo gli Israeliti non ebbero più manna; quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan. Parola di Dio!
Salmo responsoriale - 33
R./ Bonum est confidere in Domino. Bonum sperare in Domino!
1. Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
2. Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.
3. Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 5, 17...21
Fratelli e sorelle. Se uno è unito a Cristo è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo ed ha affidato a noi l’annuncio della riconciliazione con lui. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori, per mezzo nostro è Dio stesso che ci esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.
Cristo non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché per mezzo di lui noi potessimo ritrovare un nuovo rapporto con Lui.
Parola di Dio!
Gloria e lode a te, Signore Gesù!
Mi alzerò e andrò da mio Padre e
gli dirò: Padre, ho peccato davanti a te.
Gloria e lode a te, Signore Gesù!
+ Dal vangelo secondo Luca
15, 1-3.11-32
Gli esattori delle tasse e la gente di cattiva reputazione si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo. I farisei e i maestri della Legge mormoravano: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi il patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sue sostanze.
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gli dava nulla.
Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti dipendenti di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Ritornerò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Si mise in cammino verso suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio che ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
Parola del Signore!
Professione di Fede - Simbolo Apostolico
Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
la Parola si fa Preghiera
+ Fratelli e sorelle, Gesù oggi ci annuncia e ci comunica la misericordia del Padre, il perdono che tutti cerchiamo. Uniti a tutti i credenti in Cristo preghiamo: - Accoglici in te, o Padre!
- La Chiesa manifesti sempre il cuore del Vangelo: la misericordia del Padre verso ogni essere umano, preghiamo.
- I governanti, con coraggio e costanza, promuovano sempre la pace al di là di ogni conflitto e rivalità tra i popoli, preghiamo.
- I giovani sappiano di poter trovare sempre nei genitori persone che li attendono con pazienza e fiducia, preghiamo.
- I genitori, di fronte alle scelte dei figli non si scoraggino, ma diano fiducia e liberi orientamenti, con responsabilità e speranza, preghiamo.
- In questa quaresima, lo Spirito santo ci aiuti a riscoprire il sacramento del Perdono, fonte di riconciliazione tra noi, preghiamo.
dalla Parola all’ Eucaristica
Ti ringraziamo, o Padre che ci ami senza limiti, per il Pane che in abbondanza ci doni quando torniamo a te: è il corpo di Gesù, nostro fratello maggiore. Nel tuo Spirito ci rallegriamo e facciamo festa, perché eravamo morti e ci hai riportati alla Vita. Ora e per sempre. Amen!
Preghiera Eucaristica - Acclamazioni
+ Prendete, e mangiate… e bevetene tutti…
- Grazie, Gesù che ci vuoi bene!
+ Mistero della fede!
- Tu ci hai rendenti con la tua Croce
e la tua Risurrezione.
Salvaci, o Salvatore del mondo!
alla Comunione
“Rallegrati, figlio mio, perché tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
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