La lectio del prete Carmine Miccoli
Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)
“Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” (cf. Lc 17,19)
Si può invocare lo Spirito Santo.
P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare
la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’
tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella
tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,
contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e
a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnova -
mento dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto
nei secoli dei secoli. A.: Amen.
L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Luca 17,11-19 (trad. CEI 2008).
11 Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza
13 e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14 Appena li vide,
Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono
purificati. 15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce,
16 e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17 Ma
Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 19 Non
si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo
straniero?». E gli disse: 19 «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Note di esegesi per la comprensione del testo
Il contesto del vangelo di oggi è totalmente giudaico. La Legge (Lv 13,45-46; 14,2-7) defnisce
«lebbra» ogni malattia della pelle: chiunque ne è affetto è impuro fno a guarigione accertata.
L’accertamento deve essere rituale: il sacerdote del Tempio deve constatare la
guarigione e dichiarare il guarito immune da impurità. Gesù si sottomette a questa legisla -
zione per dare credibilità giuridica alla sua azione. Il numero dieci è il numero minimo
previsto dalla Legge per formare un gruppo uffciale: i lebbrosi sono dieci, formano un
gruppo, una comunità valida ritualmente, nello stesso momento in cui sono esclusi dalla liturgia.
C’è nella religione uffciale una contraddizione palese: espelle coloro che hanno più
bisogno di essere comunità. Su dieci lebbrosi guariti, nove sono Giudei e non si preoccupano
nemmeno di essere riconoscenti. Uno solo, un «samaritano», cioè un nemico e considerato
pagano, ritorna a «ringraziare». Il testo greco usa il participio presente attivo eucharistôn,
lo stesso verbo che esprime il sacramento dell’Eucaristia. La ritualità cieca della
religione uffciale spesso impedisce di esprimere i sentimenti che invece il pagano, il «laico
» nel cuore, sa esprimere con umanità: per questo egli è «sacramento» della gratuità di
Dio.
Gesù prosegue il suo viaggio. Egli sa da dove parte e sa esattamente dove deve e
vuole arrivare: la sua mèta è la città di Dio, dove compirà la sua volontà e dove
offrirà se stesso per vivere il senso pieno della sua vita. In tutto il vangelo di Lc
l’espressione greca eis Ierousalêm, «verso Gerusalemme» ricorre sette volte
(2,41.45;4,9 9,51.53; 13,22; 17,11) e il protagonista esplicito o implicito è sempre
lui: Gesù. Egli sa ciò che vuole e oggi ci insegna come dobbiamo essere per vivere
come lui il comandamento dell’amore gratuito.
La legislazione del Levitico stabiliva l’emarginazione dei lebbrosi, banditi dalla vita
della comunità. In caso di guarigione, solo i sacerdoti del Tempio potevano dichiararla
uffcialmente e quindi riammettere gli esclusi nella comunità. Nella Bibbia, la
lebbra è simbolo del peccato, per cui la guarigione di dieci lebbrosi ha un signifcato
più profondo: essa è segno della guarigione interiore, cioè siamo salvati gratuitamente
per grazia e non per merito. Nessuno può essere così lebbroso da
dire: per me non c’è speranza, perché proprio in quel momento si scoprirà che se
non hai speranza sei privilegiato dal Dio che salva, come il fglio prodigo, come
Lazzaro, come il cieco.
La gratuità è l’insegnamento più importante del brando del Vangelo di oggi: entrati
in una logica di mercato, compriamo tutto, anche Dio, credendo così di avere
diritto a tutto ciò che vogliamo. Le chiese, da luogo trasparente di gratuità, rischiano
di essere «stazioni di self-service», dove qualcuno vende e qualche altro
compra la quantità di Dio che gli serve in quella occasione o per quel viaggio. La
nostra fede langue e diventa una religione da quattro soldi perché ancora non abbiamo
imparato che credere è molto più semplice di quanto facciamo: basta imparare
a saper ricevere, perché Dio non accetta di essere pagato, ma chiede solo
di essere accolto.
Dieci persone sono state guarite. Il numero dieci è il numero minimo prescritto
per celebrare la Pasqua, quindi per essere una comunità pasquale. Ci troviamo di
fronte ad una comunità di lebbrosi che non possono stare nella comunità ufficiale,
in quanto sono espulsi da ogni convivenza civile e costretti a vivere ai margini
dell’abitato, portando alla caviglia un campanello per avvertire coloro che incontrano
di allontanarsi, ricordando a se e a chi si avvicina loro che la loro condizione
è immonda. Per i lebbrosi è la morte civile, decretata in nome della Legge.
Questi hanno le caratteristiche per essere «comunità» (sono dieci), ma non possono
fare parte della comunità. Gesù di fronte ad una religione che non sa nemmeno
prendersi cura dei suoi fgli, reagisce da par suo: accetta la sottomissione
alle regole, ma solo per farle scoppiare dall’interno. Rimanda i dieci (cioè la comunità
«non-comunità») al Tempio perché si presentino al sacerdote, come prescrive
la Legge. Così facendo pone il sigillo notarile uffciale alla sua disobbedienza
alla Legge: sarà la stessa Legge a testimoniare che egli s’intrattiene e parla con i
lebbrosi che libera dalle loro catene e nello stesso tempo a dichiarare l’impotenza
della Legge stessa di fronte alla liberazione dell’uomo. Le religioni impongono
obblighi, prescrivono rituali, rendono schiavi ancora di più, non liberano i prigionieri,
non guariscono i lebbrosi, non danno la vista ai ciechi e il passo agli storpi,
mentre Gesù opera queste liberazioni come segni dell’irruzione di Dio nella storia
dell'umanità per costruire un mondo nuovo dove nessuno deve essere emarginato
ed espulso (cf. Lc 7,22). La fede esprime la capacità umana di tendere all’incontro
come comunione d’amore.
Nove dei guariti sono credenti e uno pagano, secondo la logica ebraica. I nove
credenti ricevono la guarigione come un atto dovuto e continuano per la loro
strada. Solo il pagano, un samaritano(1), una volta guarito, «sente» che deve tornare
indietro a ringraziare. I nove osservavano la Legge, la morale e la liturgia con tutte
le prescrizioni del caso, ma sono prigionieri della loro stessa religiosità che impedisce
loro di vedere il volto di Dio. Non sanno esprimere sentimenti, sanno
dire parole, giaculatorie, rosari, sanno fare processioni, ma non sanno cosa sia l’amore.
Sono i farisei di tutti i tempi che pensano a Dio come ad una «persona
dabbene» e pertanto non può non pensare che come loro. Essi sono i guardiani
della religione del dovere. Il pagano, invece, estraneo alla religione d’Israele e ignaro
di riti e convenzioni, sa cogliere ciò che è accaduto: ha colto l’avvenimento e
lo esprime con un atto di fede pura, quello che lo fa tornare per ringraziare. Il samaritano
è l’esatto opposto del fglio più giovane della parabola del «figlio prodigo », che «ritorna» dal padre solo per convenienza e per interesse (Lc 15,17-19),
mentre il lebbroso guarito ritorna sui suoi passi per «incontrare» colui che lo ha
salvato: «si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo» (v. 16).
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1 Tra Samaritani e Giudei vi era una inimicizia ancestrale: l’odio è radicato e risale almeno
al dopo esilio, al tempo di Neemìa (sec. IV a.C.), quando ai Samaritani fu proibito offrire
sacrifci al Tempio e ai Giudei sposare una donna samaritana. Un Giudeo che offendeva un
altro Giudeo chiamandolo «samaritano», commetteva un delitto punibile con i quaranta
colpi meno uno, cioè con 39 frustate. Eppure, il Talmud insegnava che i Samaritani sono più
scrupolosi dei Giudei nell’osservare la Toràh (cf. Houl 4a).
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Nella parabola del fglio prodigo è il padre che «si gettò» (gr. epèpesen) sul fglio, mentre
nel racconto odierno è il Samaritano che si gettò con la faccia ai suoi piedi. I nove
credenti appartengono alla religione del mercato, il pagano appartiene alla vita
che sa cogliere la fede: «Va la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19). Nel nostro tempo
tanti cristiani assomigliano ai nove lebbrosi giudei: praticano molto, ma non
sanno contemplare; fanno spesso la comunione, ma non sanno ringraziare; amano
Dio con tutto il cuore e disprezzano gl’immigrati e chi scappa dalla povertà, dalla
guerra e dalla disperazione; vanno in chiesa ed escludono gli altri; parlano a Dio e
sparlano di tutti. In una parola: sono cattolici integerrimi… fnché Dio pensa
come loro. La loro religione è rivolta al loro piccolo interesse, ripiegata sul proprio
inutile egoismo. Credono in un Dio registratore di cassa che rilascia scontrini
per accumulare punti in vista del premio eterno, ma senza sconvolgere gli affari
terreni. Una religiosità narcisistica, individualistica, mercantile.
Questo brano ci invita ad iniziare una conversione radicale: non basta essere religiosi,
bisogna credere; non basta credere, bisogna amare; non basta amare, bisogna
amare gratuitamente senza chiedere in cambio nulla. È necessario aprirsi alla
gratuità, che non è solo generosità. Dio ci ama come siamo e se ci lasciamo amare,
ci trasforma a sua immagine e noi ameremo gli altri come Dio li ama senza
pretendere da loro nulla in restituzione. Nel mondo vogliamo essere il segno che
Dio è venuto non per condannare il mondo, ma per salvarlo e lo si può salvare
solo in un modo: amando senza riserve, in pura perdita, come una sorgente che
spande acqua senza mai impoverirsi. Tornando a casa e al lavoro, camminando per
le strade, anche noi possiamo essere parola fragile e forte che nutre con l’amore
coloro che accogliamo.
- pro manuscripto -
venerdì 8 ottobre 2010
Approfondiamo la Parola domenicale: Luca 17,11-19 - 10 ottobre 2010
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La Parola che si fa vita
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