venerdì 8 ottobre 2010

Approfondiamo la Parola domenicale: Luca 17,11-19 - 10 ottobre 2010

La lectio del prete Carmine Miccoli

Chiesa del Purgatorio – Lanciano (CH)


“Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” (cf. Lc 17,19)

Si può invocare lo Spirito Santo.

P.: O Padre, noi ti ringraziamo perché ci hai riuniti alla tua presenza per farci ascoltare

la tua parola: in essa tu ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà. Fa’

tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua e perché non troviamo condanna nella

tua parola, letta, ma non accolta, meditata, ma non amata, pregata, ma non custodita,

contemplata, ma non realizzata, manda il tuo Spirito Santo ad aprire le nostre menti e

a guarire i nostri cuori. Solo così il nostro incontro con la tua parola sarà rinnova -

mento dell’alleanza e comunione con te e con il Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto

nei secoli dei secoli. A.: Amen.


L.: Ascoltiamo la Parola del Signore dal racconto dell'evangelista Luca 17,11-19 (trad. CEI 2008).

11 Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.

12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza

13 e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14 Appena li vide,

Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono

purificati. 15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce,

16 e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17 Ma

Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 19 Non

si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo

straniero?». E gli disse: 19 «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».


Note di esegesi per la comprensione del testo

Il contesto del vangelo di oggi è totalmente giudaico. La Legge (Lv 13,45-46; 14,2-7) defnisce

«lebbra» ogni malattia della pelle: chiunque ne è affetto è impuro fno a guarigione accertata.

L’accertamento deve essere rituale: il sacerdote del Tempio deve constatare la

guarigione e dichiarare il guarito immune da impurità. Gesù si sottomette a questa legisla -

zione per dare credibilità giuridica alla sua azione. Il numero dieci è il numero minimo

previsto dalla Legge per formare un gruppo uffciale: i lebbrosi sono dieci, formano un

gruppo, una comunità valida ritualmente, nello stesso momento in cui sono esclusi dalla liturgia.

C’è nella religione uffciale una contraddizione palese: espelle coloro che hanno più

bisogno di essere comunità. Su dieci lebbrosi guariti, nove sono Giudei e non si preoccupano

nemmeno di essere riconoscenti. Uno solo, un «samaritano», cioè un nemico e considerato

pagano, ritorna a «ringraziare». Il testo greco usa il participio presente attivo eucharistôn,

lo stesso verbo che esprime il sacramento dell’Eucaristia. La ritualità cieca della

religione uffciale spesso impedisce di esprimere i sentimenti che invece il pagano, il «laico

» nel cuore, sa esprimere con umanità: per questo egli è «sacramento» della gratuità di

Dio.

Gesù prosegue il suo viaggio. Egli sa da dove parte e sa esattamente dove deve e

vuole arrivare: la sua mèta è la città di Dio, dove compirà la sua volontà e dove

offrirà se stesso per vivere il senso pieno della sua vita. In tutto il vangelo di Lc

l’espressione greca eis Ierousalêm, «verso Gerusalemme» ricorre sette volte

(2,41.45;4,9 9,51.53; 13,22; 17,11) e il protagonista esplicito o implicito è sempre

lui: Gesù. Egli sa ciò che vuole e oggi ci insegna come dobbiamo essere per vivere

come lui il comandamento dell’amore gratuito.

La legislazione del Levitico stabiliva l’emarginazione dei lebbrosi, banditi dalla vita

della comunità. In caso di guarigione, solo i sacerdoti del Tempio potevano dichiararla

uffcialmente e quindi riammettere gli esclusi nella comunità. Nella Bibbia, la

lebbra è simbolo del peccato, per cui la guarigione di dieci lebbrosi ha un signifcato

più profondo: essa è segno della guarigione interiore, cioè siamo salvati gratuitamente

per grazia e non per merito. Nessuno può essere così lebbroso da

dire: per me non c’è speranza, perché proprio in quel momento si scoprirà che se

non hai speranza sei privilegiato dal Dio che salva, come il fglio prodigo, come

Lazzaro, come il cieco.

La gratuità è l’insegnamento più importante del brando del Vangelo di oggi: entrati

in una logica di mercato, compriamo tutto, anche Dio, credendo così di avere

diritto a tutto ciò che vogliamo. Le chiese, da luogo trasparente di gratuità, rischiano

di essere «stazioni di self-service», dove qualcuno vende e qualche altro

compra la quantità di Dio che gli serve in quella occasione o per quel viaggio. La

nostra fede langue e diventa una religione da quattro soldi perché ancora non abbiamo

imparato che credere è molto più semplice di quanto facciamo: basta imparare

a saper ricevere, perché Dio non accetta di essere pagato, ma chiede solo

di essere accolto.

Dieci persone sono state guarite. Il numero dieci è il numero minimo prescritto

per celebrare la Pasqua, quindi per essere una comunità pasquale. Ci troviamo di

fronte ad una comunità di lebbrosi che non possono stare nella comunità ufficiale,

in quanto sono espulsi da ogni convivenza civile e costretti a vivere ai margini

dell’abitato, portando alla caviglia un campanello per avvertire coloro che incontrano

di allontanarsi, ricordando a se e a chi si avvicina loro che la loro condizione

è immonda. Per i lebbrosi è la morte civile, decretata in nome della Legge.

Questi hanno le caratteristiche per essere «comunità» (sono dieci), ma non possono

fare parte della comunità. Gesù di fronte ad una religione che non sa nemmeno

prendersi cura dei suoi fgli, reagisce da par suo: accetta la sottomissione

alle regole, ma solo per farle scoppiare dall’interno. Rimanda i dieci (cioè la comunità

«non-comunità») al Tempio perché si presentino al sacerdote, come prescrive

la Legge. Così facendo pone il sigillo notarile uffciale alla sua disobbedienza

alla Legge: sarà la stessa Legge a testimoniare che egli s’intrattiene e parla con i

lebbrosi che libera dalle loro catene e nello stesso tempo a dichiarare l’impotenza

della Legge stessa di fronte alla liberazione dell’uomo. Le religioni impongono

obblighi, prescrivono rituali, rendono schiavi ancora di più, non liberano i prigionieri,

non guariscono i lebbrosi, non danno la vista ai ciechi e il passo agli storpi,

mentre Gesù opera queste liberazioni come segni dell’irruzione di Dio nella storia

dell'umanità per costruire un mondo nuovo dove nessuno deve essere emarginato

ed espulso (cf. Lc 7,22). La fede esprime la capacità umana di tendere all’incontro

come comunione d’amore.

Nove dei guariti sono credenti e uno pagano, secondo la logica ebraica. I nove

credenti ricevono la guarigione come un atto dovuto e continuano per la loro

strada. Solo il pagano, un samaritano(1), una volta guarito, «sente» che deve tornare

indietro a ringraziare. I nove osservavano la Legge, la morale e la liturgia con tutte

le prescrizioni del caso, ma sono prigionieri della loro stessa religiosità che impedisce

loro di vedere il volto di Dio. Non sanno esprimere sentimenti, sanno

dire parole, giaculatorie, rosari, sanno fare processioni, ma non sanno cosa sia l’amore.

Sono i farisei di tutti i tempi che pensano a Dio come ad una «persona

dabbene» e pertanto non può non pensare che come loro. Essi sono i guardiani

della religione del dovere. Il pagano, invece, estraneo alla religione d’Israele e ignaro

di riti e convenzioni, sa cogliere ciò che è accaduto: ha colto l’avvenimento e

lo esprime con un atto di fede pura, quello che lo fa tornare per ringraziare. Il samaritano

è l’esatto opposto del fglio più giovane della parabola del «figlio prodigo », che «ritorna» dal padre solo per convenienza e per interesse (Lc 15,17-19),

mentre il lebbroso guarito ritorna sui suoi passi per «incontrare» colui che lo ha

salvato: «si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo» (v. 16).
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1 Tra Samaritani e Giudei vi era una inimicizia ancestrale: l’odio è radicato e risale almeno

al dopo esilio, al tempo di Neemìa (sec. IV a.C.), quando ai Samaritani fu proibito offrire

sacrifci al Tempio e ai Giudei sposare una donna samaritana. Un Giudeo che offendeva un

altro Giudeo chiamandolo «samaritano», commetteva un delitto punibile con i quaranta

colpi meno uno, cioè con 39 frustate. Eppure, il Talmud insegnava che i Samaritani sono più

scrupolosi dei Giudei nell’osservare la Toràh (cf. Houl 4a).
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Nella parabola del fglio prodigo è il padre che «si gettò» (gr. epèpesen) sul fglio, mentre

nel racconto odierno è il Samaritano che si gettò con la faccia ai suoi piedi. I nove

credenti appartengono alla religione del mercato, il pagano appartiene alla vita

che sa cogliere la fede: «Va la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19). Nel nostro tempo

tanti cristiani assomigliano ai nove lebbrosi giudei: praticano molto, ma non

sanno contemplare; fanno spesso la comunione, ma non sanno ringraziare; amano

Dio con tutto il cuore e disprezzano gl’immigrati e chi scappa dalla povertà, dalla

guerra e dalla disperazione; vanno in chiesa ed escludono gli altri; parlano a Dio e

sparlano di tutti. In una parola: sono cattolici integerrimi… fnché Dio pensa

come loro. La loro religione è rivolta al loro piccolo interesse, ripiegata sul proprio

inutile egoismo. Credono in un Dio registratore di cassa che rilascia scontrini

per accumulare punti in vista del premio eterno, ma senza sconvolgere gli affari

terreni. Una religiosità narcisistica, individualistica, mercantile.

Questo brano ci invita ad iniziare una conversione radicale: non basta essere religiosi,

bisogna credere; non basta credere, bisogna amare; non basta amare, bisogna

amare gratuitamente senza chiedere in cambio nulla. È necessario aprirsi alla

gratuità, che non è solo generosità. Dio ci ama come siamo e se ci lasciamo amare,

ci trasforma a sua immagine e noi ameremo gli altri come Dio li ama senza

pretendere da loro nulla in restituzione. Nel mondo vogliamo essere il segno che

Dio è venuto non per condannare il mondo, ma per salvarlo e lo si può salvare

solo in un modo: amando senza riserve, in pura perdita, come una sorgente che

spande acqua senza mai impoverirsi. Tornando a casa e al lavoro, camminando per

le strade, anche noi possiamo essere parola fragile e forte che nutre con l’amore

coloro che accogliamo.

- pro manuscripto -

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